Del cattolicesimo. O del rifiuto di divenire adulti di A.Esposito

Alessandro Esposito
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Sul quotidiano La Repubblica di mercoledì 3 settembre Andrea Tarquini ha dedicato un interessante articolo alla pubblicazione in lingua tedesca dell’ultimo libro del teologo Hans Küng, Morire felici, dedicato al tema dell’eutanasia come diritto all’autodeterminazione del soggetto per ciò che attiene alle scelte di fine vita. Un diritto tra i tanti che l’Italia si mostra refrattaria a riconoscere e a tutelare, complice l’inveterato servilismo che la politica nostrana ha mostrato in secula seculorum nei riguardi della morale guelfa e del monopolio delle coscienze cui essa, in verità, mira.

Prima, però, di affrettarsi ad elogiare l’auspicata svolta in seno al cattolicesimo, è bene gettare un sia pur rapido sguardo all’autore di affermazioni giudicate audaci e in verità da considerare acquisite nel più ampio ed assai meno ascoltato panorama laico. Hans Küng è teologo sistematico (ossia dedito all’approfondimento di questioni afferenti ai – presunti – fondamenti filosofici della teologia), peraltro, a giudizio di chi scrive e non solo, assai competente. Il problema è se sia possibile definirlo “teologo cattolico”, poiché, a quanto mi consta, gli fu interdetto l’insegnamento nelle facoltà ossequienti al pensiero monista di santa romana chiesa a motivo dei suoi (fondati) dubbi relativi al dogma (sic!) dell’infallibilità papale.

Fautore del suo allontanamento dall’insegnamento universitario (avvenuto nell’aprile del 1979), manco a dirlo, il tanto osannato Karol Wojtyla che, sin dall’inizio del suo pontificato, si dedicò ad epurare la chiesa cattolica da ogni sia pur vaga venatura di dissenso teologico. In tale encomiabile intento il papa polacco fu presto affiancato dall’inflessibile prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (il cui solo nome dovrebbe instillare inquietudine in quanti si dicono amanti del profeta di Nazareth e del suo messaggio), cardinale Joseph Ratzinger, che, entrato in carica nel 1981, coadiuvò Wojtyla nel progetto reazionario teso a vanificare i piccoli passi in avanti prospettati dal concilio Vaticano II e, di fatto, mai compiuti.

Giova pertanto ricordare che Hans Küng proseguì la propria carriera accademica non certo grazie al consenso della sua chiesa e delle autorità ad essa preposte, bensì a motivo della disponibilità manifestata in tal senso dal protestantesimo tedesco, con il cui appoggio Küng poté fondare l’istituto ecumenico di Tübingen.

Di qui, pertanto, le mie perplessità in ordine al fatto che Küng possa essere definito stricto sensu un teologo cattolico, dacché i vertici del cattolicesimo lo hanno chiaramente esautorato, estromesso e persino condannato: la sua, come minimo, è la posizione di un dissidente che, pertanto, riveste in seno al cattolicesimo una condizione di marginalità.

Però, è risaputo, il cattolicesimo è un coacervo di antinomie ed ogni espressione teologica può, di volta in volta, essere tacciata d’eresia o risultare utile al fine di attestare un (inesistente) pluralismo interno alla chiesa di Roma in materia etica o storico-religiosa. Di qui gli sperticati elogi destinati ad un teologo dissidente che, in verità, non fa che riproporre quanto in ambito laico si ripete invano da anni.

Il diritto all’autodeterminazione della coscienza sotto il profilo etico è una rivendicazione sorta in seno all’universo laico, quello di cui l’istituzione cattolica si ostina a non riconoscere l’esistenza. Küng si situa pertanto in un solco tracciato da altri, lungo un sentiero che la sua tradizione d’appartenenza non soltanto rinnega ma persino demonizza e reprime.

La legge del cattolicesimo ufficiale è l’eteronomia, la cieca e nefasta sottomissione della coscienza al principio d’autorità: pertanto, non è possibile riconoscersi nel cattolicesimo come struttura d’oppressione che nega le libertà fondamentali del soggetto e, al contempo, schierarsi con quanti difendono il diritto all’autodeterminazione nel trattamento di fine vita. Küng lotta per un cristianesimo adulto, finalmente affrancato dall’istituzione e dal suo codice dogmatico-prescrittivo: ma ciò, in verità, significa abbandonare il cattolicesimo. Temo che i “cattolici del dissenso” non l’abbiano ancora compreso appieno.