Frontex plus: un passo indietro nella tutela dei migranti

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 31 del 13/09/2014

Il ministro degli Interni, Angelino Alfano, esulta per le prime adesioni al programma Frontex Plus che, come annunciato a conclusione del vertice del 27 agosto scorso con la commissaria Ue Cecilia Malmström, da novembre dovrebbe prendere il posto dell’operazione Mare Nostrum nella gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa. Ma critiche piovono dal mondo del Terzo settore e del volontariato impegnato in prima linea nell’accoglienza dei migranti. Preoccupano i contorni ancora poco chiari del programma, il fatto che sia lasciata ai singoli Paesi membri la decisione di aderirvi o meno e soprattutto il raggio d’azione più limitato rispetto all’operazione lanciata nell’autunno dello scorso anno dal governo Letta, a seguito del naufragio in cui persero la vita quasi 400 migranti.

Di «arretramento politico ed etico» parla ad esempio, in un comunicato del 29 agosto scorso, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), esprimendo profondissima preoccupazione per le conclusioni del vertice che di fatto sconfessa, «pur dietro vuote formule rituali di apprezzamento dell’operazione stessa, l’importantissima novità, in termini di politica europea del diritto di asilo e di applicazione del diritto internazionale in materia di ricerca e soccorso in mare, rappresentata dall’operazione Mare Nostrum, grazie alla quale diverse migliaia di persone sono state tratte in salvo».

Le fa eco l’Arci sottolineando, in un comunicato del 29 agosto, che «l’Italia dovrebbe approfittare del semestre di presidenza dell’Unione Europea per far sì che i Paesi dell’Unione si occupino finalmente di questa situazione di instabilità diffusa che si vive nel bacino del Mediterraneo», intervenendo «con più coraggio sulle organizzazioni criminali dei trafficanti e degli scafisti»; affidando «alle Nazioni Unite la gestione di canali di ingresso umanitari»; istituendo, «come prevede la Direttiva 55/2001, un permesso di soggiorno europeo di protezione temporanea, che consentirebbe oltretutto di scegliere il Paese in cui spostarsi».

E netto è anche il commento del Centro Astalli che, in un comunicato diffuso il 29 agosto dal titolo «Una sconfitta per il diritto di asilo», ricorda come nelle ultime settimane insieme all’Unhcr e ai principali enti di tutela, abbia più volte auspicato che l’operazione Mare Nostrum divenisse un’operazione europea «per consentire un intervento più efficace di salvataggio dei migranti forzati». «Purtroppo al momento – è l’amara constatazione del centro dei gesuiti per i rifugiati – l’unico elemento di certezza che si evince a conclusione del vertice europeo è che “Frontex Plus” è solo una mera possibilità la cui realizzazione dipenderà molto dall’impegno e dalla volontà dei singoli Stati europei».

Della questione abbiamo parlato con p. Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli.

Gli esiti dell’incontro Alfano-Malmström, con l’annuncio della creazione di Frontex Plus, sono stati salutati con favore da molti, ma non dalle associazioni che nel nostro Paese si occupano da vicino di migranti. Quali, secondo lei, le criticità?

Innanzitutto preoccupa vedere che l’Unione europea sta lasciando ai singoli Paesi la decisione di come e se coinvolgersi in questo programma, e lo dimostra il fatto che il ministro Alfano sta girando l’Europa per guadagnare adesioni. Se come Ue diciamo che bisogna salvare le vite di questi migranti, tutti insieme si dovrebbe stabilire quale impegno profondere in questo programma.

In secondo luogo preoccupa il raggio d’azione di Frontex Plus che si limiterebbe a interventi di pattugliamento e soccorso all’interno delle acque territoriali europee, vale a dire fino a 12 miglia dalla costa, non spingendosi più nelle acque internazionali, come ha fatto invece Mare Nostrum. E allora mi domando: cosa succede se arriva un SOS a 100 miglia dalla costa?

In poco meno di un anno di lavoro l’operazione Mare Nostrum ha salvato più di 100mila migranti. Ma non è mancato chi ha messo in luce i rischi di una simile operazione, in particolare perché, attraverso l’impiego dell’esercito e dei mezzi da guerra in imprese umanitarie, si propaganda una visione “buona” dello strumento bellico e si legittimano agli occhi dell’opinione pubblica le ingenti spese per la Difesa. Lei che idea si è fatto?

Mare Nostrum è stato un mezzo passo messo in piedi dopo la tragedia del 3 ottobre 2013. Dico “mezzo passo” perché ha salvato molte vite ma non posso non pensare a quanti invece non ce l’hanno comunque fatta. La mia più profonda preoccupazione è che si faccia tutto il possibile per salvare vite umane, che questo avvenga con una nave della Croce rossa o della Marina militare mi interessa meno…

Tutti dicono che l’Italia non può essere lasciata da sola a gestire la questione: a suo avviso, quali potrebbero essere le strade per un impegno comunitario nella gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo?

Abbiamo sentito molto spesso il mantra “l’Europa ci ha abbandonato” ma questo mantra non ha motivo di essere: l’Italia è Europa e quindi ha il dovere di proporre e incentivare politiche comunitarie che vadano nella direzione della giustizia. Come i programmi di reinsediamento già previsti dall’Ue e timidamente realizzati che permettono ai richiedenti asilo di raggiungere l’Europa viaggiando in sicurezza. Tra parentesi: si fa un gran parlare dei trafficanti, ma nessuno si preoccupa di sottrarre loro la “clientela” costituendo canali sicuri! Anziché spendere per programmi come Frontex o Frontex Plus potremmo investire quelle somme per costruire canali sicuri… Cosa ci impedisce di agire secondo giustizia? Chi etichetta come “clandestino” o “irregolare” il migrante siriano, iracheno, afgano, mi deve spiegare come costoro potrebbero arrivare in Europa in un modo che non sia “irregolare”. Mi devono spiegare qual è l’alternativa per queste persone che mettono a rischio la propria vita.

E poi è indispensabile una riforma della Convenzione Dublino III (secondo cui è il Paese di primo approdo del richiedente a doversi far carico della procedura d’asilo, ndr): non è possibile che il denaro, le merci circolino liberamente ma che altrettanto non possano fare le persone nonostante ci si riempia la bocca dicendo che la persona è al centro!

Spesso si è parlato di radici cristiane dell’Europa, ma più come fortino da difendere che come universo di valori cui fare riferimento… Quale può essere il ruolo delle Chiese nella promozione di una diversa accoglienza dei cittadini stranieri?

L’impegno delle Chiese – e non solo di quella cattolica di cui faccio parte – è già molto concreto: basta vedere il lavoro che svolgono nei luoghi di sbarco e di accoglienza. E questa è una testimonianza importante. Se diciamo che al centro ci deve essere la persona e invece al centro alla fine c’è l’economia, tutto passa in secondo piano. Dobbiamo acquistare la capacità di essere onesti e di rimettere la persona davvero al centro, altrimenti sono solo parole vuote. Sono convinto che la vera sfida per trasformare questa realtà passa attraverso uno strumento prioritario: educare uomini e donne liberi e onesti capaci di sentirsi parte di un’unica comunità umana che si preoccupa per gli ultimi. Altrimenti l’unico criterio che ci guiderà continuerà a essere l’economia.