Paraguay, metafora di un Continente di A.Esposito

Alessandro Esposito – pastore valdese in Argentina
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Chissà se qualcuno ricorda ancora il nome di Alfredo Strossner e gli atti efferati della più lunga tra le dittature del Centro e Sud America, rimasta, come molte altre, impunita. O se altri rammenta sia pur vagamente di Fernando Lugo, vescovo socialista (ah, gli ossimori…) che vinse a sorpresa le elezioni nel 2008 e fu destituito quattro anni più tardi da un colpo di stato ammantato di liceità parlamentare ed in realtà orchestrato dall’oligarchia latifondista ancora oggi al potere (nessuno ne ha più fatto menzione: anche a sinistra, ormai, la memoria storica e la denuncia hanno l’effimera durata dello scoop giornalistico). Meglio non farsi illusioni: il Paraguay giace da sempre nell’oblio della disinformazione ingenerato dall’autoreferenzialità dei media occidentali.

A ridestare dal torpore e dall’indifferenza quel che resta di un ricordo sbiadito e raffazzonato, un film presentato un anno e mezzo fa al Festival Internazionale del Cinema di San Sebastian, in Spagna, ed ora proiettato nelle sale di mezzo Sudamerica: Siete cajas, del regista paraguayano Juan Carlos Maneglia.

L’azione si svolge interamente nell’atmosfera claustrofobica del mercado cuatro, uno dei più grandi di tutta l’America Latina, situato nel pieno centro della capitale Asunción e vera e propria galleria di ritratti umani dai profili più improbabili. Il film alterna dialoghi in spagnolo a vivaci scambi in lingua guaranì e restituisce appieno l’umanità ed il degrado di una vita vissuta ai margini e messa quotidianamente alle corde da un sistema esasperante, il cui unico valore è rappresentato dal dollaro: vera e propria valuta-rifugio delle instabili economie del Continente che, di fatto, vantano (si fa per dire) tutte quante, senza eccezione, una quotazione ufficiale ed una in nero del biglietto verde.

Tra accondiscendenza generalizzata al populismo di stampo caudillista e corruzione diffusa ed istituzionalizzata, tra menzogne di governo e rivoluzioni fallite, tra emarginazione di massa e quotidianità fatta di espedienti, la vita degli esclusi nella capitale paraguayana è rappresentativa della situazione di un continente, nel quale, a giudizio del Dipló (edizione sudamericana de Le monde diplomatique), la divaricazione tra ricchezza e povertà è andata aumentando sensibilmente nell’arco di quest’ultimo decennio[1].

Non resta se non el pueblo, con le sue lotte, le sue speranze, la sua profonda dignità: tutto ciò che una classe politica inadeguata, attenta unicamente a salvaguardare i privilegi di una casta da cui essa trae innegabili benefici, non è più in grado di rappresentare né di difendere.

[1] Si veda in proposito il numero di settembre del mensile di informazione politica, in particolare gli articoli a cura di Thomas Piketty e Russel Jacoby (consultabili in lingua spagnola sul sito www.eldiplo.org).