Si cambi strategia per ridare stabilità e pace al medio oriente, culla della nostra civiltà, e al mondo di G.Franzoni

Giovanni Franzoni
Presidente della “Associazione di amicizia Italia-Iraq – L’Iraq agli iracheni”.

Il Medio Oriente è in preda alle guerre, alla devastazione e ad un arretramento spaventoso delle sue forme statuali e delle condizioni di vita dei suoi abitanti: nel nostro mondo, si pensa ormai a quei paesi, solo come a luoghi di guerra e di violenza. Eppure è lì che si formarono i primi embrioni della nostra civiltà, nacquero le prime religioni, si svilupparono la filosofia, la letteratura, l’astronomia, la medicina e altre discipline scientifiche.

Il sovvertimento portato in quelle terre dal colonialismo occidentale nel ‘900, che alterò profondamente gli equilibri prima esistenti, ha avuto una accelerazione all’inizio di questo millennio con guerre ed azioni coperte che hanno fatto leva sulle frange più estremiste ed oscurantiste dell’islam favorendone la radicalizzazione e la diffusione.

Tra queste prevale ora l’ISIS, o Stato Islamico, che sta compiendo massacri nei confronti di popolazioni, comunità religiose, minoranze e sta commettendo crimini di guerra in spregio a tutti i valori dell’umanità: intere comunità messe in fuga, persone decapitate, donne violentate, vendute al mercato, ridotte in schiavitù, bambini lasciati alla morte per fame e per sete, anziani assassinati.

Ma l’informazione diffusa su ciò che sta succedendo non dice tutta la verità che invece è necessario riconoscere se si vogliono fermare le tante guerre in corso e con esse questa organizzazione del terrore che non è nata dal nulla.

L’ISIS, ha una storia di almeno dieci anni, iniziata con l’invasione dell’Iraq da parte di Stati Uniti e GB, che vi perseguirono una politica di divisone settaria, poi continuata dal Governo Al Maliki. Tale Governo, a maggioranza sciita, amministrò il paese in modo pessimo perché corrotto e non democratico, ma fu anche ostacolato nella sua azione da gruppi qaedisti armati anche dalla CIA, nonostante fosse stato imposto dalla stessa amministrazione USA, allo scopo di indebolirlo ed arginare l’influenza iraniana.

Ora l’ISIS, diventato la forza prevalente, dilaga, “apparentemente” al di fuori del controllo di quelli stessi Stati che ne hanno favorito lo sviluppo, in primis Turchia, Arabia Saudita, Qatar e USA con l’acquiescenza degli Stati della UE, in funzione dei propri scopi nella regione.

Ciò è riconosciuto da importanti media e siti occidentali ed è documentato e scritto in atti e reports investigativi statunitensi. Non è un mistero che USA e Regno Unito perseguono in Medio Oriente una politica del “divide et impera”, che nutre conflitti tra gruppi etnici e religiosi e tra stati per impedire che si formino realtà statuali autonome e democratiche, per rendere dipendente la regione e sfruttarla a favore degli interessi strategici ed economici propri e di Israele.

In questo senso sono state utilizzate e indirizzate anche le rivolte delle popolazioni arabe, insorte contro governi autoritari, fino a destabilizzare e disgregare Libia, Siria, e Iraq.

Ora, si mette in risalto la crudeltà sanguinaria dell’ISIS, e ciò legittimerebbe un intervento armato, anche al di fuori della copertura ONU. A tale scopo si cerca di costituire una coalizione internazionale, a guida USA, per estirpare le “vere cause del terrorismo”, tramite azioni di terra e bombardamenti “mirati” in Iraq e in Siria. Per le azioni di terra, in cui è inevitabile la morte di molti soldati, sarebbero armate le fanterie arabe e kurde, e la cosiddetta “opposizione militare moderata” in Siria, mentre ai paesi occidentali spetterebbe l’attuazione ed il coordinamento dei bombardamenti.

E’ difficile credere che questa strategia sia solo finalizzata a battere lo Stato islamico: la storia recente dimostra che gli interventi di guerra promossi e/o effettuati da americani e alleati, non hanno risolto i problemi ma li hanno moltiplicati, ed hanno provocato solo distruzione e morte. Lo stesso Obama aveva detto fino a poco tempo fa, che non vi era soluzione militare per l’attuale crisi.

Parlare di supporto armato all’opposizione siriana moderata, significa non tener conto della realtà sul terreno e che lo stesso “esercito siriano libero” si è macchiato di crimini ed ha decapitato almeno sei prigionieri, mentre le armi potrebbero facilmente passare allo stesso ISIS. E comunque una prima risposta dal fronte islamista è arrivata e dice che tra miliziani dell’ISIS e gruppi di opposizione moderati e islamisti è stato firmato un patto di non aggressione.

Tutto ciò rafforza il dubbio che la coalizione dei volenterosi abbia obiettivi diversi da quelli dichiarati e che l’intervento contro l’ISIS possa fornire all’ Amministrazione americana la scusa per promuovere contro la Siria quella guerra che non è stata possibile un anno fa, per tripartire definitivamente l’Iraq e per ridisegnare la mappa del Medio Oriente, in un gioco tra potenze mondiali e regionali tutto sulla pelle delle popolazioni.

Obama dice ora che è necessario intervenire perché è minacciata la sicurezza americana. Ma l’ISIS, come sottolineato anche da forze di Intelligence USA, non rappresenta una minaccia per gli Sti Uniti. Lo stesso gruppo islamista ha precisato che “non intende dichiarare guerra agli USA” (del resto non ha mai sfiorato neppure Israele), avendo come obiettivo la creazione del califfato, cioè di uno stato, dove stabilire la propria legge e gestire i propri affari.

La maggior parte dei kurdi, degli iracheni e delle minoranze perseguitate, non vuole un intervento armato occidentale, perché è consapevole che questa disastrosa situazione è il frutto degli interventi militari e delle scelte divisive che l’Occidente ha compiuto in Iraq e Siria e negli altri paesi della regione.

Già da anni, per contrastare le forze jihadiste, si è organizzata intorno alle formazioni kurde in Siria e Turchia una resistenza popolare alla quale partecipano anche arabi, turcomanni, armeni e assiri, con una elevata presenza di donne: sono queste le forze che per prime sono corse in aiuto ai Peshmerga del Kurdistan iracheno, e sono queste le forze che stanno cercando di creare una alternativa realmente democratica e laica.

Il nostro è un appello contro una nuova guerra e per risolvere quelle esistenti. Anche Papa Francesco, in modo insistente e forte, si è detto contrario alla guerra, ha attaccato le imprese che dalle guerre traggono profitto e ha fatto affermazioni molto precise: non si è limitato a dire no ai bombardamenti e all’uso dei droni, ma ha specificato che bisogna fermare l’ISIS.
Per noi ciò significa mettere in atto una strategia che tolga loro l’erba sotto ai piedi:

– Utilizzando una diplomazia seria e convincente per fermare l’afflusso di mezzi, risorse e finanziamenti all’ISIS, oltre che la possibilità di commerciare il petrolio: cioè colpirne l’economia ed interrompere le fonti di sostentamento che sono ben note.
– Impedendo ai militanti dell’ISIS di attraversare i confini tra Turchia – Siria – Iraq, e ai volontari jihadisti internazionali di recarsi nella regione.
– Sostenendo, anche in accordo con i governi, i nuclei di resistenza popolare che si sono formati sul campo, dove le diverse popolazioni si sono costituite in una forza di difesa comune e cercano di far fronte con i propri mezzi contro chi li aggredisce nel più totale disprezzo dell’umanità.

Inoltre, non siamo noi a doverlo dire, bisognerebbe richiamare fortemente le Nazioni Unite a svolgere il loro ruolo che consiste nel difendere la pace e prevenire “il flagello della guerra”. E’ questo un obiettivo che la Comunità Internazionale dovrebbe perseguire, nonostante esse siano ormai ampiamente screditate per la loro inerzia e per essere subalterne al potere di veto di cui gli USA, in particolare, fanno un uso sistematico.

Bisogna che gli Stati si rendano conto che il gioco sta diventando estremamente pericoloso e che è interesse di tutti poter avere un po’ di stabilità. Se si vuole veramente sconfiggere lo Stato Islamico, bisogna avviare un processo che ponga fine alle guerre civili in Siria e in Iraq preservandone l’integrità.

Questo chiediamo anche alla diplomazia del nostro paese, che si è schierato nella coalizione dei volenterosi, a differenza di altri paesi europei, nonostante la crisi che divora la società italiana. Non ci sono soldi per l’istruzione, per il lavoro, per garantire l’uguaglianza e l’universalità nell’accesso alle cure, per mettere in sicurezza il nostro territorio a rischio, ma ci sono i soldi per andare in guerra, contravvenendo ancora una volta alla nostra Costituzione.

Questo momento così tragico, per quanto sta avvenendo anche nei nostri mari e nella stessa Europa, e per gli scenari che si prospettano, mentre si ricorda il centenario della 1°guerra mondiale, l’inutile strage che devastò l’Europa e dalla quale partì la spartizione dell’impero ottomano, senza tenere in alcun conto le contiguità e l’intersecazione tra le popolazioni arabe, può essere l’occasione per una svolta nelle relazioni internazionali. Se non sarà colta, le guerre non si fermeranno e le conseguenze saranno sempre più sanguinose.