Grecia. La resistenza con la scopa

Sonia Mitralia
http://patasarribavlc.blogspot.it

Hanno sperimentato sulla loro vita il nuovo “ammortizzatore” sociale: otto mesi in mobilità col 75 per cento di uno stipendio di 550 euro. E poi si salvi chi può: tutte e 595 in mezzo alla strada. Che resistenza avrebbero potuto opporre tante donne povere, ignoranti, isolate, invecchiate senza diritti né sindacato? Se erano finite con la scopa in mano, poi, tanto intelligenti non dovevano essere… Si sarebbe aperta così la strada alle misure necessarie a contrastare la crisi: 25 mila nuovi licenziamenti nel settore pubblico per il bene della Grecia e dell’Europa. “Siamo donne delle pulizie, non siamo sceme”, hanno risposto Lisa, Despina, Georgia e le altre. E hanno inventato una resistenza tenace quanto fantasiosa, una lezione politica senza precedenti rivolta non solo alla Troika e ai suoi compari ma anche a chi, tra coloro che si oppongono ai sacrifici umani europei, continua a non considerarle un soggetto capace di decidere come e per cosa lottare. Umiliate per motivi di genere e di classe, picchiate brutalmente dalla polizia, ignorate dai sindacati e dalla sinistra politica, proprio come certi indigeni lontani, hanno dovuto far rumore per farsi ascoltare e crearsi un’immagine per rendersi visibili. Sono le risorse di chi vive in basso, della gente comune, cioè ribelle. Venerdì 22 settembre è la giornata di solidarietà internazionale con le 595 donne delle pulizie licenziate dal ministero delle finanze e da altri uffici pubblici in Grecia

Licenziate a settembre dello scorso anno, dopo undici mesi di lotta lunga e amara, messe in “mobilità” (essendo state licenziate al termine degli otto mesi previsti dalla normativa), in Grecia 595 donne delle pulizie della funzione pubblica sono diventate il simbolo della più fiera resistenza contro l’austerità.

Avendo avuto il coraggio di battersi contro un avversario tanto forte, il governo di Atene, la Bce, la Commissione e il Fmi, sono diventate una questione politica e leader di tutta la resistenza attuale contro la politica della Troika. E, tuttavia – dopo 11 mesi di lotta, dopo l’enorme sfida che hanno lanciato, dopo essersi trasformate nel principale nemico del governo e della Troika, dopo essere andate oltre l’applicazione delle misure di austerità e dopo una presenza molto veicolata dai media sulla scena politica, queste donne in lotta non vengono ancora considerate un soggetto politico dagli avversari dell’austerità.

Di certo, dall’inizio delle misure imposte dalla Troika, le donne sono scese in piazza in massa e la loro resistenza sembra possedere una dinamica propria e molto specifica, costituisce una lezione politica.

Durante questi quattro anni di politiche di austerità, anni che hanno trasformato la Grecia in un disastro sociale, economico e soprattutto umano, si è parlato molto poco della vita delle donne, e ancora meno delle loro lotte contro le imposizioni della Troika. Per questo l’opinione pubblica ha accolto con stupore questa lotta esemplare, condotta esclusivamente da donne. Ma è veramente una sorpresa? Le donne hanno partecipato in massa ai 26 scioperi generali greci. Durante il movimento degli indignati, hanno occupato le piazze, si sono accampate e hanno lottato. Si sono mobilitate in prima linea anche nella occupazione e autogestione della ERT (l’azienda radiotelevisiva pubblica).

Sono state ancora le donne, e in maniera veramente esemplare, l’anima delle assemblee durante lo sciopero della scuola e dell’università, e poi lo sono state nella lotta contro la “mobilità”, vale a dire contro il licenziamento, dopo otto mesi con il 75 per cento del salario. Venticinquemila dipendenti pubblici, in maggioranza donne, sono vittime dei tagli dei servizi pubblici. Le donne rappresentano poi la schiacciante maggioranza (95 per cento) del Movimento di solidarietà e dei servizi autogestiti che cerca di far fronte alla crisi sanitaria e umanitaria.

La massiccia partecipazione delle donne ai movimenti di resistenza contro la distruzione dello stato sociale, attraverso le politiche di austerità, dunque, non è una sorpresa e non è casuale: in primo luogo, è ben noto, perché le donne sono nel mirino delle politiche di austerità. La demolizione dello stato sociale e dei servizi pubblici ha attaccato le loro vite, come per la maggioranza dei dipendenti pubblici ma anche come utenti degli stessi servizi, per questo le donne sono state ancora una volta doppiamente colpite dai tagli.

Di conseguenza, le donne hanno mille ragioni per non accettare la regressione storica della loro condizione, cosa che equivarrebbe a un concreto ritorno al 19° secolo. Certamente, all’inizio le donne non si erano caratterizzate come “soggetto politico”, condividendo le stesse richieste e le stesse forme di lotta degli uomini. Erano sicuramente molte, ma già nella lotta esemplare contro l’estrazione dell’oro nell’area di Skouries, in Calcidia, nel nord della Grecia, quella contro la multinazionale canadese Eldorado, le donne si erano rapidamente distinte per le loro forme di lotta e per la loro radicalità.

E se la stampa e il pubblico non erano consapevoli della ripercussione dell’identità di genere nelle forme di lotta, la polizia lo era. Di fatto, i reparti antisommossa venivano impiegati in particolar modo contro le donne. Una repressione feroce e selettiva, per terrorizzare attraverso loro tutta la popolazione, per schiacciare ogni tipo di disobbedienza e movimento di resistenza. Criminalizzate, incarcerate, le donne sono state vittime di abusi umilianti, anche di natura sessuale, sui loro corpi.

In una seconda fase, poi, le donne hanno espresso iniziative e forme specifiche nelle loro lotte.

Tutto ha avuto inizio quando, per imporre la parte più difficile del suo programma di austerità e portare a termine gli accordi con i creditori, il governo si è concentrato sulle donne delle pulizie del ministero delle finanze e dell’amministrazione tributaria e doganale. Sono state inserite nel meccanismo della “mobilità”, dalla fine di agosto 2013, un fatto che ha comportato che per otto mesi venisse loro corrisposta una cifra pari a tre quarti del loro salario di 550 euro, prima del licenziamento definitivo.

Il governo ha seguito esattamente la stessa strategia utilizzata nella vicenda di Skouries. L’obiettivo era attaccare innanzitutto i più deboli e quelli con minori probabilità di ricevere sostegni, vale a dire le donne delle pulizie. In seguito sarebbe venuto il turno della maggioranza degli impiegati arrivando al licenziamento di 25 mila dipendenti pubblici. Questo è avvenuto in una fase in cui i movimenti di resistenza erano stati colpiti dall’austerità senza fine, erano atomizzati, stanchi, sfiniti, vulnerabili. Il governo riteneva che “questa categoria di lavoratrici”, queste povere donne di “classe sociale bassa”, con salari di appena 500 euro, e neanche molto intelligenti (da qui lo slogan “non siamo stupide, siamo donne delle pulizie”) sarebbero state schiacciate come mosche.

L’obiettivo è la privatizzazione dell’attività delle pulizie, un autentico regalo alle imprese private, cioè a organizzazioni mafiose, note come campioni nelle frodi fiscali, che subappaltano, con salari di 200 euro mensili o di 2 euro l’ora, con coperture assicurative parziali, nessun diritto sul lavoro. Insomma, l’equivalente di una condizione di semischiavitù o di galera.

Le lavoratrici licenziate e sacrificate sull’altare cannibale della Troika sono donne dai 45 ai 57 anni, a volte madri nubili, divorziate, vedove, indebitate, con figli o mariti disoccupati o lavoratori dipendenti con basse qualifiche, che si trovano nell’impossibilità di accedere al pensionamento anticipato. Non riescono ad accedervi dopo oltre 20 anni di lavoro, e senza alcuna possibilità di trovarne un altro.

Quelle donne hanno deciso di non farsi calpestare, di afferrare le redini della loro vita e di andare oltre le forme di lotta dei sindacati tradizionali. Alcune hanno preso l’iniziativa di organizzarsi in modo autonomo, una parte di loro aveva già lottato e vinto 10 anni prima, nella lotta per l’assunzione a tempo indeterminato.

Hanno lavorato come formiche, pazientemente, tessendo una ragnatela in tutto il paese. Visto che sono state sbattute sulla strada dal ministero, per loro lo sciopero non aveva più molto senso. Per cui hanno pensato di costruire un muro umano con i loro corpi, proprio nella strada, davanti all’ingresso principale del ministero delle finanze, nella piazza Syntagma, quella davanti al parlamento, il luogo più simbolico del potere.

Non è un caso che siano state delle donne a costruire forme di lotta così piene di immaginazione. Poco considerate per ragioni di genere e di classe, marginalizzate dai sindacati e senza legami con le organizzazioni tradizionali della sinistra greca, hanno dovuto fare rumore per farsi sentire, per farsi ascoltare, Hanno dovuto crearsi un’immagine per essere visibili.

Hanno sostituito gli scioperi passivi, le giornate di azioni effimere e inefficaci, con l’azione diretta e collettiva. Oltre alla nonviolenza utilizzano l’ironia e la “spettacolarizzazione”. Sono andate con corone di spine in testa nel giorno di Pasqua, con la corda al collo davanti alla sede del partito Nuova Democrazia, con musica e balli hanno chiesto la riassunzione immediata di tutte. Tutto questo non ha precedenti in Grecia.

Così adesso le donne delle pulizie occupano e bloccano l’accesso al ministero, inseguono i membri della Troika quando vogliono entrare e li costringono a fuggire e a uscire dalla porta di servizio insieme ai loro guardiaspalle. Si scontrano e lottano corpo a corpo con le unità speciali della polizia. Ogni giorno inventano nuove azioni che i media diffondono e mettono in allarme tutta la popolazione, insomma rompono l’isolamento.

In questo modo, le cifre record della disoccupazione e quella della povertà, cifre che abitualmente sono rappresentate da una statistica senza vita né anima, diventano astrazioni che si umanizzano, acquistano un volto, si trasformano in donne in carne e ossa, donne che hanno in più una personalità e una volontà politica propria. Si chiamano Lisa, Despina, Georgia, Fotini, Dimitri…E con il loro esempio, la forza, la perseveranza, la rabbia, la voglia di vincere, danno una speranza a tutte le vittime dell’austerità…

I reparti della polizia antisommossa maltrattano queste donne quasi ogni giorno, proprio perchè non servano d’esempio, i padroni temono il contagio. E tutta la Grecia assiste al triste spettacolo di queste donne, a volte di età avanzata, che giorno dopo giorno vengono calpestate, maltrattate e ferite da Rambo della polizia che potrebbero essere loro figli. Perchè? È proprio la Troika che chiede che vengano distrutte, perchè ormai rappresentano un esempio da imitare per tutti gli oppressi, perché sono alla avanguardia della protesta contro l’austerità, non solo in Grecia ma in tutta l’Europa. La loro lotta può essere contagiosa.

Oggi più che mai la lotta eroica di queste 595 donne delle pulizie è la nostra lotta. Non lasciamole sole. Lottano per noi, noi dobbiamo lottare per loro. Organizziamo la solidarietà europea e mondiale!