Jobs Act : la start-up dello sfruttamento 2.0

Midnight Rider
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Quando avevo 20 anni mollai l’università. Per due settimane. Volevo guadagnarmi da vivere, disporre di soldi da spendere senza chiedere niente a nessuno. Mia madre piangeva ogni giorno, neanche mi fosse stato diagnosticato un male incurabile.

Mentre cercavo lavoro su un giornale di annunci, risposi a un’inserzione in cui si offriva un lavoro di facile distribuzione e si promettevano ottimi guadagni. Mi presentai al colloquio e mi trovai di fronte una tipa loschissima di Roma, tale signora Lucia, e un cretino azzimato di Milano, tale signor Gianni, che si spacciava per ex dirigente Fininvest.

Benché fossi giovane e relativamente inesperto, la faccenda puzzava di bruciato in maniera nauseante. Ad ogni angolo della stanzetta in cui si tenevano i colloqui, all’interno di un anonimo edificio di periferia, si accendeva un neon con la scritta “inculata imminente”, tanto più che i reclutatori cercavano di lusingarmi con il fatto che la mia maturità classica (la “formazione umanistica” come l’aveva mellifluamente definita quella furbacchiona di Lucia) si sarebbe rivelata preziosa per l’espletamento delle mie mansioni lavorative. In sostanza si trattava di vendite porta a porta. Ogni settimana la tipologia di merce cambiava: libri di cucina, favole, pubblicazioni di storia, gadget di nessuna utilità e paccottiglia varia.

Il compenso era garantito su base statistica. La garanzia era rappresentata da un grafico tracciato su un foglio di carta. Puntava radiosamente verso l’alto.

Gianni & Lucia ti fornivano il materiale da smerciare e sulla base delle vendite realizzate il vucumprà “local” percepiva una percentuale, forse in nero forse con ritenuta d’acconto, non ricordo. Fissavano degli improbabili obiettivi di vendita denominati “Campana” e “Campanaccio” il cui raggiungimento ti avrebbe regalato un misero bonus.

Benzina, macchina, pasti, umiliazioni e minacce fisiche da parte di potenziali clienti non così potenziali erano a carico mio.

Feci un giorno di “lavoro” assieme a due tipi il cui sogno – indotto – era “diventare imprenditori” e aprire la loro filiale di distribuzione. Erano due ragazzi della mia età il cui obiettivo era sfruttare a loro volta il business del porta a porta. A sentire Gianni & Lucia (chissà come si chiamavano davvero) «diventare imprenditori di sé stessi» era una cosa da niente, e loro ne erano la testimonianza diretta.

Intanto i due poveri cristi che mi scarrozzavano in giro a spese loro (io ero in prova) si smazzavano i soldi guadagnati con i lavori precedenti.

Correva l’anno 1998 e la crisi era ancora inimmaginabile al nord. Un lavoro in fabbrica o nel terziario non si negava a nessuno.

Magari un giorno scriverò qualcosa su quelle poche e interminabili ore passate a fare il porta a porta. Fatto sta che al termine della giornata (alquanto istruttiva, a dire il vero) ho deciso di reiscrivermi all’università, con grande gioia da parte di mia madre. Sono stato il primo del mio corso a terminare gli studi.

Oggi non è cambiato molto. La differenza è che adesso non ci sono più il signor Gianni e la signora Lucia, papponi facilmente identificabili.

O meglio, ci sono. Ma nel mare magnum della sopraffazione e dell’abuso sono pesci piccoli destinati ad essere inghiottiti dai veri squali, padroni incontrastati di tutti i torbidi fondali della melmosa società liquida. L’unica alternativa per questi pesciolini è abboccare all’amo di una denuncia per truffa o rimanere incastrati nelle maglie di una condanna per bancarotta fraudolenta, corredata da foto e nome sul giornale. Che sollievo, altri pericolosi criminali assicurati alla giustizia.

I nuovi magnaccia 2.0 si sono efficacemente riorganizzati ed hanno abbandonato il settore del porta a porta, che hanno di buon grado ceduto ad Amazon.

Il racket dello sfruttamento del lavoro si è dato una ripulita, non opera più in sottoscala pieni di muffa, ha accuratamente allargato il proprio giro d’azione. Certo è stata un’impresa che ha richiesto l’impegno di tutti. Trent’anni di tivù commerciale hanno contribuito alla costruzione di un illusorio immaginario collettivo recentemente sfociato nella fiaba delle app in grado di migliorare la vita di milioni di persone e di renderci tutti potenziali miliardari grazie alla creazione di quelle start-up che tanto piacciono al più famoso boy scout italiano e a favore delle quali il governo sta facendo non poco in questi ultimi tempi.

Basta avere l’idea giusta ed essere speciale. Unicità da condividere su Instagram. Un milione di ilike. Il telecomando sostituito dal nuovo smart-phone per cui si dorme all’addiaccio e si fanno file chilometriche. È il nuovo rito pseduo-religioso al termine del quale puoi finalmente “fotografare e condividere” la vita che ti molla inesorabilmente mentre ti infili comodamente cappio e manette. Una nazione spogliata della propria coscienza e della propria identità. Siamo tutti “potenzialmente” uguali, fatta eccezione per la Maserati targata San Marino.
I truffatori di oggi non si chiamano Gianni e Lucia. Hanno comunque mantenuto nomi e cognomi comuni vicini alla tradizione, almeno quelli.

Mario Monti, Elsa Fornero, Maurizio Sacconi, Matteo Renzi, Guido Angeletti, Enrico Poletti, Raffele Bonanni, Piero Ichino, Alessandra Moretti, Susanna Camusso. Tutte brave persone. Per carità, non hanno deciso tutto loro, non sono mica così bravi…

Si sono fatti consigliare da professionisti del settore, gente che può vantare esperienza decennale in campo internazionale come Christine Lagarde e Mario Draghi.

Questi grandi reclutatori hanno anche assunto dei collaboratori a tempo pieno che si occupano delle pubbliche relazioni e del marketing. Ferruccio De Bortoli, Ezio Mauro e Giavazzi, pardon, il Professor Giavazzi. Hanno reclutato forze fresche come Mario Calabresi e persino eroici veterani come Eugenio Scalfari, quest’ultimo arruolatosi in realtà come volontario.

I trafficanti di vite umane del 2014 non parlano più di “Campana” e “Campanaccio”: oggi si ragiona in termini di “progresso”, “innovazione”, “stare al passo con i tempi”. Si è partiti dalla “rottamazione” per approdare al “cambiamento violento” – unica vera certezza dei prossimi mesi a venire – per il quale Matteo è disposto a «sfidare i poteri forti». Che poi – fatte le debite proporzioni, si intende – è come se un altro Matteo, Messina Denaro, dicesse che è pronto a sfidare la mafia.

Come al solito, le parole in inglese sono venute ad aiutarci per dare un nome nuovo all’ormai desueta e inflazionata “schiavitù”. La cancellazione dei diritti e delle tutele dei lavoratori profuma di City se la chiamiamo Jobs Act.
Lavorare 17 ore al giorno per intascare pochi spiccioli e condurre un’esistenza senza alcuna prospettiva per il futuro suona come un concetto troppo antico. Proviamo con Share Economy, allora.
Cavolo, funziona! Sembra una cosa bella che ci fa stare insieme e risparmiare, anche un po’ socialista, forse.

Non tutti gli slogan sono andati in pensione, però. Oggi più che mai è il momento giusto per diventare “imprenditori di noi stessi”.
Formula che vince non si cambia. E se vi venisse in mente di sfuggire alle grinfie degli sfruttatori andando all’università, loro hanno già trovato un rimedio: distruggerla.