Uganda: la legge, i gay, le Chiese

Rosa Ana De Santis
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Di ritorno da Kampala leggo come la stagione dell’Ebola trova spazio sulle pagine dei giornali italiani. L’epidemia raggiunge numeri sorprendenti, ma, d’altro canto, la cronaca nazionale colleziona i tradizionali vuoti estivi e così l’Africa letta in Italia è solo quella del contagio mortale. Ma il Congo è grande quanto l’Europa e i casi di malattia scoperti sono lontanissimi da Arua, West Nile, nel Nord dell’Uganda dove sono tornata dopo 8 anni di nostalgia.

Le ultime notizie seguite passo passo sul Daily Monitor alla vigilia della partenza, il 1 agosto, titolano l’abrogazione della legge anti gay da parte della Corte Costituzionale Ugandese. L’approvazione di questa legge durissima, il cui iter avevo seguito sui titoli allarmanti dei giornali, prevedeva fino all’ergastolo per chi avesse relazioni omosessuali o transgender.

A voler leggere bene la norma si scopre che la severissima misura legislativa vuole colpire la dilagante prostituzione e una finta omosessualità dietro cui spesso si celano relazioni a pagamento, magari tra adolescenti e poverissimi che omosessuali non lo sono affatto, ma diventano comodi e facili oggetti sessuali per uomini ricchi e spesso stranieri.

In ogni caso le parole hanno un peso e la condanna al carcere per l’omosessualità costa all’Uganda un biasimo generale e sanzioni, specialmente dai paesi amici e finanziatori, USA in testa. Gli stessi, dicono alcuni colleghi della stampa locale, che finanziano pseudo associazioni LGBT, create ad arte con pagamento di finti affiliati per buttare giù la legge e la credibilità di un paese.

E’ evidente che esiste un piano reale del problema, di ben altra natura da quello pubblicizzato e reso mediatico. Me ne accorgo appena sbarcata ad Entebbe. Il viaggio dall’aeroporto al Nord del Paese, passando per la capitale Kampala, è una continua scoperta di chiese e luoghi di culto. Musulmani più sobri e separati, i cristiani invece un’armata Brancaleone. Chiesa anglicana e cattolica in testa e poi una costellazione di altre Chiese evangeliche, nate come funghi e di provenienza statunitense.

Le chiese superano le umilissime case della gente, reclutano fedeli utilizzando ad arte la comoda e ingenua credulità delle persone che fanno fatica a cogliere tutto ciò che distingue una Chiesa dall’altra. Santoni improvvisati, guaritori che oggi ci sono e domani, fatta cassa, spariscono lasciando le persone in totale confusione.

Ho chiaro che si tratta di una nuova forma di colonialismo, solo all’apparenza meno crudele dello sfruttamento delle multinazionali. L’ingaggio dei fedeli è una nuova modalità per pilotare la coscienza sociale e per lasciare intatte condizioni e ingiustizie che colpiscono la maggioranza della popolazione. Non hanno fatto eccezione, per amore di verità va detto, i missionari cattolici, specialmente quelli della prima ora.

Al fondo dell’esasperazione anti omosessualità, cavalcata ad arte dal governo, ci sono quindi proprio loro: le sette pentecostali che sul versante morale e moraleggiante possono vantare assurdità di ogni tipo. Non è un caso che il Presidente Museveni sia seguace della setta evangelica pentecostale “Centro dei miracoli”, fondata dal pastore Kayanja. E’ questo il substrato dove attinge una feroce ghettizzazione morale ai danni dei “diversi”. Capisco ancora meglio che dietro questa legge c’è una longa manus dietro le quinte che rende, tutto quel che sembra chiaro sui quotidiani italiani, molto poco credibile dentro i confini del paese. Il come è quasi grottesco.

Da un lato le Chiese cristiane dell’ultima ora hanno una regia statunitense di espansione nel paese, lo mostra la loro fioritura sul territorio, il reclutamento grossolano delle persone, la sparizione delle stesse con estrema disinvoltura, il monopolio e il controllo che esercitano su interi territori in una competizione con le altre istituzioni religiose che somiglia ad una concorrenza di mercato qualsiasi.

Dall’altro gli stessi Stati Uniti, nel momento dell’ approvazione della legge, ne diventano detrattori in due modalità: una ufficiale con le banche e gli aiuti internazionali, minacciando di chiudere i rubinetti e una nell’ombra, stipendiando queste nuove ed improvvise organizzazioni associative di vittime e di “perseguitati”.

La legge cade e mentre sono lì, giornali e tv mi restituiscono l’idea che la questione dell’omosessualità, che pure non è risolta nelle Chiese in generale e in moltissimi paesi, non sia però cosi urgente e impellente come la stampa internazionale ha voluto far credere. Il paese non se ne cura per niente. Si parla di acqua, di elettricità per interi villaggi ancora sprovvisti, di strade in costruzione, di una guerra finita dopo 25 anni e delle macerie lasciate.

Un dato è certo. una legge come questa non ha aiutato la gente comune a capire e a comprendere. Avrà avuto l’impatto di un cattivo esempio, soprattutto in giovanissimi facilmente manipolabili, incoraggiando atteggiamenti discriminatori e omofobici, lasciando instabilità e disordine in più su una società già provata da una storia durissima. Ma soprattutto avrà autorizzato in una modalità astuta più che in passato, come per tanti altri paesi africani, un principio “eteronomico” indiscutibile nella gestione degli affari di casa.

Accade per il caffè, per il thè, per i prodotti locali, accade ora anche nelle preghiere e nella vita delle persone. E’ dall’esterno che si decide, si promuove con la mano destra e si decostruisce con la sinistra, indebolendo le istituzioni e trasformando un paese in un ostaggio. Non è più la volta dei fucili, ma ancora una volta sarà in nome di Dio.