Ucraina: la storia che l’Occidente si racconta

Giulietto Chiesa
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La crisi attuale – spiega a Confronti il giornalista Giulietto Chiesa, già parlamentrare europeo, fondatore del laboratorio politico-culturale «Alternativa» – non parte dalla cosiddetta «annessione» della Crimea. Che, in realtà, è stata un vero, plebiscitario pronunciamento popolare. La storia è cominciata con un colpo di Stato, avvenuto a Kiev il 22 febbraio, con il rovesciamento violento di un presidente regolarmente eletto dalla maggioranza degli ucraini. Corrotto fin che si vuole, e anche un po’ di più. Ma se dovessimo applicare questi criteri, di governanti corrotti ce ne sono stati e ce ne sono in abbondanza anche nel resto d’Europa.

Devo a un amico russo un documento molto interessante, che presto ripubblicherò in edizione integrale su pandoratv.it: si tratta di un’intervista televisiva a Vladimir Putin risalente presumibilmente al 2004, cioè ai primi anni della sua prima presidenza. Ne traggo qualche citazione testuale che ci permette di collocare precisamente in quel contesto la fine dell’idillio tra la Russia di Eltsin e gli Stati Uniti. Parlo della Russia di Eltsin perché Putin ne faceva parte così intimamente da essere stato designato come successore.

E dunque quale fu la cosa che fece terminare l’idillio? Putin discorre sui missili antimissile che gli americani volevano piazzare nella Repubblica Ceca e poi in Polonia. È palesemente molto irritato: «Ci dicono che non abbiamo nulla da temere, perché serviranno alla difesa contro eventuali missili dell’Iran e della Corea del Nord. Ma noi sappiamo che questa minaccia oggi non c’è. Mentre quei missili, e i loro radar, copriranno tutto il nostro territorio, fino agli Urali. E quando noi chiediamo garanzie che non saranno usati per indebolire il nostro potenziale strategico, loro non ce le vogliono dare». Queste, più o meno, le sue parole. E poi c’è una vera e propria, sarcastica, filippica contro il generale Powell, allora segretario di Stato alla politica estera, che era andato al Consiglio di sicurezza dell’Onu agitando una fialetta «con qualche polverina dentro», presentandola come prova dell’esistenza in Iraq delle armi di distruzione di massa. «Ma poi si scoprì – esclama Putin – che le armi di distruzione di massa in Iraq non c’erano affatto.

«Allora – conclude il presidente russo – a me vengono i dubbi. I nostri partner sono davvero sinceri? Io ho l’impressione che i nostri partner non desiderino alleati. Loro vogliono dei vassalli. Vogliono comandare. Ma con la Russia non funziona così».

Putin diventò, in quel momento, io credo, il convitato di pietra nel consesso occidentale. In questi dieci anni, al di là delle parole, delle cerimonie, delle dichiarazioni di disponibilità a «resettare le relazioni», la diffidenza è cresciuta. La Russia, capitalista ormai senza alcun dubbio, faceva presente, senza mezzi termini, che non era disposta a subire altre umiliazioni, dopo essere stata colonizzata, svenduta, messa in angolo. Putin scopriva, improvvisamente, che la Russia non poteva più ritirarsi, perché si era già ritirata fin troppo. In quella intervista il neo presidente russo ricordava a Washington che i possessori della «triade» nucleare (in terra, in mare, nei cieli) erano ancora due, anche se il dominatore del mondo era divenuta, da dodici anni, l’America.

Come fu accolto quel messaggio a Washington? Come la prova che di Putin non ci si sarebbe più potuti fidare. E così si è andati avanti in questi dieci anni. Fino all’Ucraina. In mezzo c’è stato l’allargamento della Nato a tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, più addirittura i tre paesi che erano stati parte integrante dell’Unione Sovietica, cioè ai tre paesi baltici, Estonia Lettonia e Lituania. E si è continuato nel tentativo di far entrare la Georgia, fino al punto da incoraggiare l’allora presidente Saakashvili a tentare l’assalto contro le repubbliche dissidenti di Ossetia del Sud e di Abkhazia. Tentativo che la Russia di Putin stroncò con estrema decisione. Poi si è aggiunto all’elenco dei possibili pretendenti all’adesione alla Nato (prima che all’Unione europea) la Moldova. Infine è stata la volta dell’Ucraina.

Sorprendente davvero l’ondata di accuse contro Putin in questa ultima occasione, ancora in corso e trasformatasi in una sanguinosissima guerra civile. Vladimir Putin non ha provocato questa crisi. Si può dire, con dovizia di dati, che non l’ha voluta. Ma è finito sul banco degli imputati, come dittatore (sebbene goda di un altissimo consenso popolare) e come un cinico giocatore, che ha voluto annettersi la Crimea.

Questa è la storia che l’Occidente – non solo l’America ma anche parte dell’Europa – ha voluto raccontarsi. La storia non è cominciata con l’«annessione» della Crimea. Che, in realtà, è stata un vero, plebiscitario pronunciamento popolare. La storia è cominciata con un colpo di Stato, avvenuto a Kiev il 22 febbraio, con il rovesciamento violento di un presidente regolarmente eletto dalla maggioranza degli ucraini. Corrotto fin che si vuole, e anche un po’ di più. Ma se dovessimo applicare questi criteri, di governanti corrotti ce ne sono stati e ce ne sono in abbondanza anche nel resto d’Europa. Ma noi non li rovesciamo perché crediamo nello Stato di diritto. Invece gli europei hanno dimenticato tutti i principi europei e hanno applaudito un colpo di Stato al centro dell’Europa. Ma questa non è democrazia; questa è politica imperiale, che contrasta con i principi europei, proclamati a gran voce mentre si rimprovera alla Russia di non rispettarli.

La politica interna del regime di Putin non piace a molti in Occidente, questo è vero, anche se c’è molto da discutere circa i criteri con cui la si mostra attraverso i mass media occidentali. Ma il punto in questione non è qui. Il punto è di riconoscere cosa è in realtà accaduto in Ucraina e chi ha guidato l’orchestra. E se si guarda si vede che sul podio c’era l’America. Putin non andò sulla Euromaidan, come hanno fatto per 40 volte i maggiori dirigenti europei e alcuni altissimi dirigenti americani. E c’è ancora da chiedersi quale fosse l’interesse dell’Europa nell’avere nella Nato l’Ucraina, con un governo che è sorto portando in seno forze apertamente naziste.

Adesso la frittata è fatta. La Crimea è stata perduta dall’Ucraina e non sarà più ripresa. Due regioni intere hanno combattuto e, per ora, vinto, la guerra per la loro indipendenza. Ma non meno di 4000 morti sono rimasti sul terreno. E tornare indietro sarà impossibile pacificamente, tremendamente pericoloso per la pace mondiale se si cercherà di farlo con la forza. Io credo che sarà utile tornare a rileggere quell’intervista di Putin del 2004. Putin diceva all’Occidente che negli ultimi dodici anni i confini geografici della Russia non erano stati modificati. Ed era vero. La drammatica guerra di Cecenia era stata una guerra interna (sulla quale, per altro, gli Stati Uniti erano stati molto silenti, visto che a cominciarla era stato il loro Quisling: Boris Eltsin). Ma Putin ricordava anche che la Russia stava tornando a occupare un posto di gran lunga maggiore sulla carta politica del mondo, insieme alla Cina, agli Stati Uniti e all’Europa.

Parole, più che ragionevoli, vere e reali. Poiché l’America vuole solo vassalli e non alleati, l’Occidente è andato ad accendere la miccia più pericolosa di tutte: quella della bomba ucraina.

La domanda che ora tutti dovremmo porci è se è ancora possibile spegnere quella miccia.