Legge d’Instabilità

Antonio Rei
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Tanti numeri, ma nessuna direzione chiara, se non quella scelta per il moribondo articolo 18. Il Presidente del Consiglio ha annunciato ieri durante l’incontro con i sindacati che la prossima legge di Stabilità conterrà una manovra da 23-24 miliardi. Di questi, sette serviranno a stabilizzare il bonus Irpef da 80 euro e uno ad allentare il patto di stabilità dei Comuni.

Le spese indifferibili come le missioni peseranno per quattro miliardi, mentre l’assunzione dei precari della scuola richiederà un miliardo e mezzo e la proroga al 2015 dell’ecobonus al 65% non dovrebbe costare più di 600 milioni. Agli ammortizzatori sociali sarà concesso un altro miliardo e mezzo, mentre resta da definire l’impatto di un eventuale primo intervento per anticipare il Tfr in busta paga.

Su questi due ultimi punti si misura tutta la vacuità e la miopia del programma economico renziano, oltre al talento dimostrato ancora una volta dal Premier nel prendere in giro gli italiani mentre finge di salvarli.

Come altro si può definire, se non come una canzonatura, quel miliardino e mezzo destinato agli ammortizzatori sociali? Non è nemmeno poco, è una somma ridicola. Per avere un termine di paragone è sufficiente dare un’occhiata all’ultimo Bilancio sociale Inps:?su una spesa di 22,7 miliardi versata nel 2012 per cassa integrazione, disoccupazione e mobilità, la percentuale coperta da imprese e lavoratori è stata del 37,5% (8,5 miliardi), mentre il resto (62,3 %, pari a 14,3 miliardi) è stato a carico dello Stato.

Una vera riforma degli ammortizzatori sociali richiederebbe quindi all’incirca dieci volte la somma stanziata dal governo. Non si può fare, perché i soldi non ci sono, a meno di non sforare il beneamato tetto del 3% imposto dal trattato di Maastricht per il rapporto deficit-Pil. E noi non abbiamo alcuna intenzione di fare i cattivi bambini come i francesi: “Non ci tratti da studentelli”, dice Renzi alla cancelliera Merkel, ma poi ubbidisce alla maestra e fa tutti i compiti a casa che gli vengono assegnati.

Veniamo ora al capitolo Tfr e chiariamo subito che con questa follia il Tesoro non c’entra. Anzi, i tecnici di Padoan – in prima battuta – hanno rigettato esplicitamente la paternità dell’iniziativa. L’idea è di anticipare nelle buste paga dei dipendenti del settore privato, a partire dal 2015, il Trattamento di fine rapporto (per intero o in parte). I lavoratori potrebbero scegliere se accettare o meno e l’anticipo avverrebbe grazie alla mediazione delle banche, che si sostituirebbero ai dipendenti nel ruolo di creditori delle imprese o dell’Inps.

Da parte loro, le aziende e l’Istituto nazionale di previdenza continuerebbero a versare gli importi dovuti al termine dei rapporti di lavoro, come hanno sempre fatto, solo che darebbero quei soldi agli istituti di credito e non più ai lavoratori, che li avrebbero già incassati.

Con questo passaggio si eviterebbe di affossare i bilanci dell’Inps (che gestisce un fondo del Tesoro in cui le aziende con più di 50 dipendenti parcheggiano i Tfr lasciati in azienda dai dipendenti) e delle Pmi con meno di 50 dipendenti (che tengono in cassa i fondi dei Tfr). Non è chiarissimo cosa ci guadagnino le banche, perché pensare che lo facciano per amor di patria è assai complesso.

L’altro grande problema è fiscale. Ad oggi il Tfr gode di una tassazione privilegiata e il suo spostamento in busta paga rischia di aumentare il reddito, alzando così l’aliquota marginale Irpef. Risultato: su quei soldi, che sono già nostri, pagheremmo più tasse. Per evitare uno smacco simile a danno dei lavoratori il governo potrebbe scegliere la strada della ritenuta alla fonte o della tassazione separata rispetto allo stipendio, magari corrispondendo il Tfr in una sola busta paga l’anno.

Se anche tutte queste difficoltà tecniche fossero superate, tuttavia, rimarrebbe comunque un problema di prospettiva. Il Tfr può già essere anticipato al lavoratore, ma solo per l’acquisto della prima casa o per sostenere spese mediche. Insomma, la motivazione deve essere seria, altrimenti quei soldi non si toccano, sono una forma di risparmio forzato che servirà in futuro, quando il rapporto fra popolazione attiva e pensionati sarà più svantaggioso e il sistema previdenziale ancora meno sostenibile.

Anticipare il Tfr vuol dire trasferire il reddito futuro nel presente, scaricando il costo dei consumi di oggi sulle spalle delle future generazioni. Una specialità in cui l’Italia è campione del mondo. E dire che dovevamo cambiare verso.