Salviamo il salvabile. I commenti della chiesa di base a chiusura del Sinodo di I.Colanicchia

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 38 del 01/11/2014

Tra i commenti e le valutazioni a chiusura del Sinodo, ce n’è davvero per tutti i gusti. C’è chi, come Thomas Reese (National Catholic Reporter, 18/10) e Massimo Faggioli (Huffington Post, 19/10), l’ha letto come una vittoria di Francesco, interessato forse più ad aprire un nuovo processo, a inaugurare un vero dialogo, che a controllarne gli esiti. C’è chi ha messo in luce la spaccatura all’interno della gerarchia, che ha impedito l’approvazione a maggioranza di due terzi dei tre paragrafi della Relatio finale relativi ai divorziati risposati, alla loro comunione spirituale o sacramentale e agli omosessuali. C’è chi ha letto questo risultato – per esempio il card. Vincent Nichols e l’arcivescovo di Gatineau, mons. Paul-André Durocher, entrambi presenti al Sinodo – spingendosi ad affermare che alcuni di quei “no” potrebbero essere stati motivati dal rifiuto di accettare un testo ritenuto troppo timido.

Sia come sia, i giochi sono tutt’altro che chiusi e tra un anno le cose potrebbero andare molto diversamente. Come scrive John Allen (Crux, 20/10), non è detto che ponendo al Sinodo del 2015 le medesime domande il papa ottenga le stesse risposte: in 12 mesi, per esempio, ha tutto il tempo di operare sui dicasteri di Curia, i cui vertici partecipano d’ufficio ai lavori sinodali, in maniera tale da alterare, almeno parzialmente, la composizione del Sinodo del prossimo anno.

Già uno dei campioni del conservatorismo, il card. Raymond Burke, è in procinto di lasciare l’incarico di Prefetto della Segnatura apostolica e dunque con tutta probabilità l’anno prossimo non ci sarà

E scenari simili sarebbero certo graditi a tutte quelle realtà della Chiesa di base che in questi giorni hanno espresso profonda delusione per l’arretramento della Relatio finale rispetto a quella pronunciata dal card. Péter Erdö a metà dei lavori sinodali.

Elementi positivi e criticità…

In una riflessione diffusa al termine dei lavori sinodali, Vittorio Bellavite, portavoce della sezione italiana di Noi Siamo Chiesa, esprime apprezzamento per il fatto che il Sinodo «abbia rovesciato la precedente demonizzazione del matrimonio civile e delle convivenza e che ne abbia colto invece “gli elementi positivi”», come anche per il fatto «che si sia rotto il tabù assoluto della proibizione della partecipazione dei divorziati risposati all’eucaristia». Le soluzioni prospettate, però, soprattutto nella Relatio post disceptationem, per Bellavite «appartengono ancora alla logica della procedura tesa alla dichiarazione di nullità del matrimonio»: «Ci sembra una strada insufficiente. Si abbia il coraggio di prendere atto anche dei casi di matrimoni del tutto validi che si sono conclusi per i motivi più diversi, in cui i coniugi, se del caso dopo un percorso penitenziale, siano liberi di stringere un secondo vincolo di tipo sacramentale che sia pienamente accettato nella comunità ecclesiale».

E ancora: «Non capisco cosa significhi parlare di possibile “comunione spirituale” dei divorziati risposati. Di che si tratta? Perché allora non potrebbero accedere a quella sacramentale? Chi dice queste cose non pecca di un po’ di furbizia o di ipocrisia?».

Quanto al paragrafo sulle persone con orientamento omosessuale, Bellavite si dice «sbigottito». «La marcia indietro rispetto alla Relatio post disceptationem è completa e lascia amareggiati». «Suppongo che la faziosa controffensiva dei conservatori sia stata efficace e che i tanti 62 voti contrari a questo paragrafo siano di vescovi che non accettano che nulla cambi e che si continui quindi negli errori di demonizzazione e di esclusione del passato». In ogni caso, è la valutazione di Bellavite, «il dibattito al Sinodo sembra aver preso strade diverse da quelle che ha seguito fino ad ora la Conferenza episcopale italiana sulle questioni della famiglia. Niente toni da crociata, niente “campagne”, niente “valori non negoziabili”, niente “legge naturale”». «I dodici mesi che ci separano dal Sinodo ordinario del prossimo ottobre dovrebbero fare emergere meglio nella Chiesa – questo l’auspicio – la consapevolezza che ogni cristiano e la Chiesa tutta devono essere sempre in cammino. Chi si ferma rimane solo a fare il testimone del passato».

Amaro il commento di Gianni Geraci, portavoce del Gruppo del Guado di Milano. «Il Sinodo è finito e, come capita spesso dentro la Chiesa cattolica, la paura di alcuni non ha permesso ai padri sinodali di dire, alle persone omosessuali, quello che una Chiesa davvero preoccupata di annunciare a tutti il Vangelo di Gesù, avrebbe dovuto dire». «I padri sinodali – prosegue – hanno discusso due settimane per arrivare a scrivere un breve testo in cui non si fa altro che copiare alcuni passaggi di vecchi documenti»: «Di tutte le altre cose che erano scritte nella Relatio post disceptationem che era stata letta all’inizio della scorsa settimana non è rimasta traccia. Resta invece traccia, al punto 56, di un’altra affermazione sull’omosessualità, quella in cui si dichiarano inaccettabili le pressioni che i pastori subiscono quando si parla di omosessualità». Alla luce di quest’ultima affermazione, per Geraci, «ha senso chiedersi quali pressioni abbiano spinto il Sinodo straordinario sulla famiglia a cambiare, in maniera così radicale, i paragrafi dedicati all’omosessualità nella sua relazione finale: perché queste pressioni, dettate da una paura tutt’altro che evangelica, sono state ritenute accettabili, mentre le aspettative degli omosessuali credenti, delle loro famiglie, della società, delle comunità cristiane e di molti vescovi che si sono lasciati intervistare in questi ultimi giorni, sono state ritenute inaccettabili?».

Uno spiraglio comunque c’è. «Non possiamo nasconderci il fatto – scrive ancora – che il dibattito intorno alle cose da dire alle persone omosessuali è stato particolarmente vivace e ha spinto alcuni vescovi a dissentire molto chiaramente da quanto stava emergendo»: «È proprio questo dissenso che ci deve far capire finalmente una cosa: si può essere dei bravi cattolici anche quando non si condividono alcune affermazioni che il magistero propone ai fedeli come non infallibili e come non definitive e che quindi, visto che tutte le cose che il Magistero dice sull’omosessualità appartengono a questo tipo di affermazioni, si può essere dei bravi cattolici anche se non si condividono certe uscite imbarazzanti con cui il Magistero ha parlato di omosessualità».

… con uno sguardo al prossimo anno

Punta sulla possibilità di dare vita a un dialogo fecondo da qui al Sinodo ordinario nell’ottobre 2015 il movimento internazionale We Are Church mettendo l’accento sulla necessità di «un ritorno al primato della coscienza individuale; di una visione che tenga conto di ogni aspetto della sessualità e che in tal modo si apra anche ad un nuovo approccio alle questioni dell’omosessualità; di una nuova ricerca nell’interpretazione dei testi biblici e del messaggio di Gesù; di una più completa comprensione del sacramento del matrimonio». Obiettivo finale: «L’accoglienza delle coppie dei divorziati risposati, secondo la prassi delle Chiese ortodosse e come suggerito ripetutamente da molti vescovi tedeschi; l’impegno attivo da parte della Chiesa contro la criminalizzazione delle persone omosessuali che sono perseguitate in molti Paesi, rischiando addirittura la pena di morte; una visione del matrimonio e delle varie forme di famiglia che sia concepita come comunità di vita, imperniata su valori d’amore e solidarietà».

Allo stesso modo, confida nel lavoro che si potrà fare nei mesi – cruciali – che ci separano dal prossimo Sinodo, anche Equally Blessed – la coalizione che riunisce quattro organizzazioni statunitensi impegnate per il riconoscimento dei diritti delle persone lgbt nella Chiesa e nella società (Call To Action, DignityUSA, Fortunate Families, e New Ways Ministry) – pur sottolineando che malgrado «il messaggio del Sinodo ai fedeli dice che “Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre aperta nell’accoglienza, senza escludere nessuno”» «nel documento finale il Sinodo cerca di chiudere quella porta alle migliaia di cattolici lgbt e alle loro famiglie lasciate fuori al freddo da una Chiesa che rifiuta di riconoscere la santità delle loro vite e del loro amore».

Una delusione facile da capire, scrive su America (18/10) il gesuita p. James Martin, il quale tuttavia rileva che «la questione dei cattolici lgbt è ora parte della discussione e insistendo affinché questi paragrafi fossero conservati, nonostante non siano stati approvati, papa Francesco ha fatto sì che rimanessero sul tavolo». Insomma, al prossimo Sinodo se ne dovrà parlare per forza.

Sosteniamo il papa!

A sostegno di questa lettura, che interpreta l’atteggiamento di papa Francesco come maggiormente favorevole all’ipotesi “aperturista”, anche il settimanale cattolico francese Témoignage chrétien. «A chiusura di questa prima fase del Sinodo, appare chiaro che la volontà del papa di prendere in considerazione le realtà familiari e approcciarvisi con tenerezza, attenzione e misericordia si scontra con la resistenza di coloro che privilegiano a ogni costo la difesa della dottrina», si legge in un editoriale firmato da Jean-Pierre Mignard, Christine Pedotti e Bernard Stephan (20/10). Per questo Témoignage chrétien aderisce e invita ad aderire all’appello in sostegno al papa lanciato dalla Conferenza dei battezzati e delle battezzate di Francia, nel quale si esprime sostegno «all’azione del papa in favore della famiglia, di tutte le famiglie» e al suo «pressante appello per una evoluzione dello sguardo e delle disposizioni della Chiesa verso le famiglie».

La musica è cambiata

Benché non si possa sapere come finirà l’anno prossimo, il Sinodo per Raniero La Valle ha già segnato una svolta e ha superato due soglie. «La prima è stata nel mutamento della percezione di che cosa sia il “deposito” che la Chiesa deve custodire e promuovere. Se prima il deposito era inteso come un insieme di dottrine, derivate da Dio, ora il deposito è inteso come le persone amate da Dio, e perciò non solo le persone della Chiesa, anche quelle del “mondo”. Sono loro di cui la Chiesa deve avere cura, che deve custodire, coltivare, far crescere. La seconda è stata il seguito della prima: di nessuno si è parlato come di persone prive di valore o escluse dalla comunione o giacenti in uno stato , cioè in una condizione di vita di peccato, di disordine “oggettivo” (come si diceva degli omosessuali, dei divorziati risposati), ma di tutti si è parlato con comprensione e amore».

«Il papa è riuscito a liberare la parola», gli fa eco Jean-Pierre Denis, direttore del settimanale cattolico francese La vie (21/10). «Ora gli resta la parte difficile: controllare il processo che ha iniziato, per approdare a una decisione sufficientemente abile da evitare sia uno scisma che la sensazione di aver mancato l’appuntamento con il proprio pontificato; infine permettere alla Chiesa di passare ad altro. Il tutto in un anno? Una sfida…».