Dove va il movimento per la pace?

Francesco Vignarca*
Adista Segni Nuovi n. 39 del 08/11/2014

Fermarsi a raccogliere le idee per cercare di elaborare un punto della situazione è sempre utile. In questo particolare momento è utile soprattutto per le realtà legate ai temi del disarmo o, più in generale, della pace. Non solo perché, nonostante non ci sia in atto un’esplicita partecipazione ad una guerra o un’azione militare da parte del nostro Paese, i conflitti e le problematiche sono così diffuse da aver fatto dire a papa Francesco: «È in atto la Terza guerra mondiale». Ma anche perché nel corso del 2014 sono andate a compimento alcune dinamiche di lungo periodo che interessano proprio l’associazionismo pacifista. Dinamiche che hanno la loro origine nelle grandi mobilitazioni del 2003, contro la guerra in Iraq.

In quel momento sembrava si fosse toccato un apice positivo, frustrato poi però dai risultati negativi sull’aspetto particolare del conflitto iracheno, che è stato immediatamente seguito da una sensibile decrescita di partecipazione, almeno di quella più esplicita ed eloquente, alle campagne contro la guerra. Non è un percorso che ha interessato solo i cosiddetti “pacifisti”, ma ha toccato tutte le esperienze associative e sociali, in un declino continuo rafforzato dalla crisi economica degli ultimi anni. Ciò significa che non esistono più i pacifisti? Che le loro istanze si sono ridotte nella tensione e nella capacità di mobilitazione? Non credo che sia così, anzi ritengo vero proprio il contrario.La perdita sul fronte della partecipazione personale ha in realtà favorito una scelta che alcuni gruppi avevano compiuto con autonomia e coscientemente: l’approfondimento e la capacità di intervento nelle questioni dal punto di vista concreto, pratico, istituzionale. È questo l’approccio che ha permesso a qualche Campagna ancora figlia delle precedenti larghe mobilitazioni di ottenere un risultato positivo importante non solo a livello istituzionale internazionale. Prova ne è che la ratifica del Trattato sugli armamenti, adottato in sede Onu nell’aprile 2013, che fissa per la prima volta regole internazionali sui trasferimenti di armi, è avvenuta in Italia. Ma questo tipo di percorso è riuscito anche per la prima volta a portare all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica al più alto livello una questione legata alla spesa militare. Sto parlando della Campagna “Taglia le ali alle armi” contro i caccia F35, che possiamo leggere come uno strumento per introdurre una riflessione più approfondita sul bilancio della Difesa italiana e sulle scelte ad esso legate.

Un risultato non da poco, perché di respiro sistemico e legato forse all’erosione di una vecchia cultura: quella che impediva in assoluto qualsiasi possibilità di discussione su certi temi legati alla Difesa. Ed è secondo questa prospettiva che dobbiamo leggere anche alcune turbolenze che hanno interessato proprio il mondo pacifista negli ultimi mesi. Situazioni su cui non è il caso di entrare nel dettaglio, anche perché fortunatamente non hanno creato impatti devastanti, ma sono invece servite per un riallineamento che ha comportato come risultato principale la ripresa di un percorso di lavoro e mobilitazione forte da parte di molte organizzazioni forse di recente un po’ dormienti. Lo si è visto nel grande successo dell’Arena di Pace e Disarmo dello scorso 25 aprile a Verona, proseguito poi con la tappa importante di “Un passo di pace” a Firenze (il 21 settembre) con le proposte concrete ed operative che sono state elaborate proprio in quell’occasione [v. Adista n. 34/14]. Lo si è visto anche con il buon successo di partecipazione della Marcia per la Pace Perugia-Assisi, considerata un patrimonio comune al di là delle problematiche legate alla sua organizzazione e ai contenuti della piattaforma di convocazione.

Tutto ciò fa ben sperare, perché dimostra una maturità del mondo pacifista forse insperata e che, grazie al modello di lavoro di rete e alla valorizzazione delle maggiori competenze di ciascuno, potrà portare in futuro a dei risultati ancora più positivi. Lo speriamo davvero, le premesse ci sono tutte. È il momento di far coagulare, in una visione armonica complessiva, un progetto di pace concreto e realizzabile da proporre alle nostre istituzioni. Lo si può fare ora come non mai, grazie anche agli stimoli provenienti da diversi mondi, sia religiosi che laici. Ed avendo a disposizione uno strumento propositivo forte ed innovativo come la campagna “Un’altra Difesa è possibile” (che richiede la costituzione di un Dipartimento della Difesa civile, non armata e nonviolenta) da utilizzare come nuovo orizzonte comune in cui far confluire le capacità, i contenuti e le forze di tutto l’arcobaleno pacifista italiano.

* Coordinatore Rete italiana per il disarmo