Rischio scissione nella Chiesa e in Italia? di M.Vigli

Marcello Vigli
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Anche fra i non addetti ai lavori hanno suscitato curiosità e interesse la convocazione, lo svolgimento e la conclusione del recente Sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica per l’impatto traumatico che hanno avuto con la Tradizione che ne costituisce, insieme alla Bibbia, una delle fonti dottrinali. È noto infatti che proprio la funzione della Tradizione costituisce uno degli elementi di diversità con il Protestantesimo nelle sue diverse articolazioni.

I tradizionalisti non avevano ben accolto la scelta di papa Francesco di valorizzare il Sinodo – creato dal Concilio per affiancare il papa e ridimensionarne l’autorità – affidando ad esso la revisione della fin qui indiscussa condanna senza appello dei divorziati e degli omosessuali. Ancor meno era stato condiviso il coinvolgimento dei comuni fedeli con la distribuzione in tutte le diocesi di un questionario per conoscere le loro opinioni su tali questioni.

Lo svolgimento del dibattito nel Sinodo e il voto sui documenti, che ne hanno raccolto le conclusioni favorevoli a modeste innovazioni, hanno evidenziato una forte opposizione che si è rivelata, in sede di votazione della Relazione finale, alla scelta di ammorbidire quella condanna fatta dalla maggioranza dei padri sinodali e condivisa dal papa. I voti favorevoli al cambiamento sull’accesso ai sacramenti dei divorziati sono stati 104 contro 74 contrari e alla legalizzazione delle unioni fra omosessuali 118 contro 62. Gli altri 59 paragrafi del documento su 62 sono stati approvati con una maggioranza nettamente superiore ai due terzi, in parecchi casi vicina all’unanimità.

Tali risultati e soprattutto la loro pubblicizzazione, da un lato, assumono una notevole importanza perché rivelano una sorta di legittimazione che su questioni così rilevanti è lecito avere opinioni diverse, dall’altro, costituiscono una conferma di profonde divergenze su temi di grande rilievo all’interno della stessa gerarchia.

Divergenze che hanno assunto forme insolite nella Chiesa, come si può cogliere anche in episodi piccoli, ma tutt’altro che insignificanti. Uno fra gli altri: al termine della concelebrazione dell’eucarestia a conclusione del Sinodo, Papa Francesco ha ricevuto l’abbraccio da tutti i cardinali concelebranti, ma non sono andati a salutarlo Muller e papa Francesco fra i più decisi oppositori alla scelta della maggioranza.

Ancora più significativo un intervento dello stesso Burke – autorevole esponente dei cattolici conservatori negli Usa e da sempre critico nei confronti del papa che lo ha rimosso dalla Curia – che ha recentemente dichiarato la Chiesa è una nave senza timone, dando voce ad una opinione molto presente in Curia e non solo.

C’è chi ricorda il clima in cui maturò lo scisma lefebvriano, ma in questo momento le “azioni” di papa Francesco sono in aumento. Fra l’altro ha avuto grande successo l’incontro con i più di 100 delegati di organizzazioni popolari di tutto il mondo promosso a Roma, con il suo esplicito appoggio, dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi.

Un incontro inteso come una grande esperienza di dialogo, punto di partenza del processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno della Chiesa, come ha affermato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Un momento storico, l’ha definito Ignacio Ramonet, direttore di Le Monde diplomatique, sottolineando che qualcosa sta cambiando nella Chiesa e sta cambiando «nella direzione giusta».

Forse quel rischio di scisma nella Chiesa non ha fondamento.

Lo ha, invece, nel mondo del lavoro in Italia.

Lo sostiene il nostro Presidente del Consiglio che a Brescia, in visita ad una fabbrica da cui erano stati allontanati i lavoratori per consentire un tranquillo incontro con gli imprenditori bresciani, ha detto fra l’altro “Dobbiamo evitare un rischio pazzesco”: c’è “un disegno per dividere il mondo del lavoro”. Ma “non esiste una doppia Italia, dei lavoratori e dei padroni: c’è un’Italia unica e indivisibile e questa Italia non consentirà a nessuno di scendere nello scontro verbale e non solo, legato al mondo del lavoro”.

Fuori della fabbrica forte era la contestazione di operai e di antagonisti dei Centri sociali, che si sono scontrati con la polizia.

La spaccatura non è solo un rischio è una realtà, come stanno mostrando in questi giorni, al di là delle battute polemiche fra Renzi e la Cgil, le mobilitazioni dei lavoratori della Thyssen e della Meridiana.

Non altrettanto chiaro se c’è un disegno e soprattutto a chi lo si può attribuire.

Più chiaro appare che la scelta governativa di minacciare la eliminazione dell’art. 18 – non citata in realtà nel Jobs Act – simbolicamente restituendo al padrone un potere, che aveva perso, ha costituito un incentivo a quella divisione. Forse è solo la conseguenza indesiderata di un provvedimento ritenuto necessario, ma l’effetto è lo stesso. La dura polemica del Presidente del Consiglio con la dirigenza della Cgil e in generale con il sindacato non giova certo a rasserenare gli animi se non si accompagna con la denuncia delle responsabilità dei padroni per l’assenza di investimenti e innovazioni.

C’è chi pensa che in verità sia lui stesso a favorire la divisione e a perseguire la secessione della sinistra del Pd, o di una parte di essa: sta pensando di andare ad elezioni anticipate per sbarazzarsi di Civati & Co. e, approfittando dello stato comatoso del centrodestra, di fare bingo alle Politiche.