Unire le forze contro il nemico comune. Le prospettive dei movimenti dopo l’incontro in Vaticano

Claudia Fanti
Adista Documenti n. 40 del 15/11/2014

Sarà più difficile per un governo trattare come terrorista un dirigente sociale che ha incontrato il papa, ha potuto parlargli della propria lotta e gli ha sentito dire che questa lotta è una benedizione per l’umanità. E sarà più difficile anche per un vescovo negare il suo sostegno alle rivendicazioni popolari sui temi della terra, del lavoro e della casa (ma anche della pace e dell’ambiente), dopo che il papa ha voluto personalmente incontrare i dirigenti dei movimenti di tutto il mondo per discutere di tali problemi. È per questo, e per molto altro, che l’incontro mondiale dei movimenti popolari che si è svolto in Vaticano dal 27 al 29 ottobre (di cui Adista, che ha avuto l’opportunità di seguirlo, ha parlato estesamente sul numero di Notizie 39/14) è stato indubbiamente un successo. Un successo che avrà frutti duraturi, perché la collaborazione con il Vaticano continuerà, sotto forma di una sorta di “tavolo di dialogo” tra i movimenti e papa Francesco. E un successo, soprattutto, perché, per molti rappresentanti dei movimenti popolari, l’incontro è apparso – come ci ha spiegato João Pedro Stédile del Movimento dei Senza Terra del Brasile e di Via Campesina – «una legittimazione dei nostri diritti contro gli interessi delle borghesie locali». E ha offerto un’ulteriore spinta per la costruzione di una grande articolazione internazionale di tutti i movimenti popolari del mondo, in grado di fronteggiare quella che è realmente una crisi globale: economica, sociale, ambientale, politica. «La profezia di Marx – ha evidenziato Stédile – non è mai stata così attuale: lavoratori di tutto il mondo uniamoci!».

Di seguito, la Dichiarazione finale dell’Incontro Mondiale dei movimenti popolari, seguita da ampi stralci del discorso di papa Francesco – da più parti ritenuto storico – ai partecipanti riuniti il 28 ottobre nell’Aula vecchia del Sinodo; dallo schema dell’apprezzatissimo intervento di Silvia Ribeiro dell’Etc group nella sessione dell’incontro dedicata ai cambiamenti climatici (in una nostra traduzione dallo spagnolo) e dall’intervista concessa ad Adista da Stédile (con cui non abbiamo potuto evitare di affrontare anche l’attuale situazione brasiliana all’indomani delle elezioni; v. Adista Notizie nn. 36 e 39/14).

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Tre giorni storici

Dichiarazione finale dell’Incontro dei Movimenti Popolari

In conclusione dell’Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari, vogliamo far giungere all’opinione pubblica una breve sintesi di quanto avvenuto in questi tre giorni storici.

1. Convocata dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze e da diversi movimenti popolari sotto l’ispirazione di papa Francesco, una delegazione di oltre 100 dirigenti sociali di tutti i continenti si è riunita a Roma per discutere, sulla base di tre tematiche – terra, lavoro, casa – i grandi problemi e le grandi sfide che affronta la famiglia umana (specialmente esclusione, disuguaglianza, violenza e crisi ambientale) nella prospettiva dei poveri e delle loro organizzazioni.

2. Le giornate di lavoro si sono svolte nello spirito della “cultura dell’incontro” e dell’integrazione di compagni, compagne, fratelli e sorelle di diversi continenti, generazioni, impieghi, religioni, idee ed esperienze. Oltre ai settori rappresentativi dei tre principali ambiti tematici dell’incontro, ha partecipato un importante numero di vescovi e operatori di pastorale, intellettuali e docenti universitari, che hanno contribuito in maniera significativa all’incontro ma sempre rispettando il protagonismo dei settori e dei movimenti popolari. L’incontro non è stato esente da tensioni ma le abbiamo potute assumere collettivamente come fratelli

3. In primo luogo, e sempre dalla prospettiva dei poveri e dei popoli poveri, in questo caso dei contadini, dei lavoratori senza diritti e degli abitanti delle periferie degradate (villas, favelas, chabolas, slums), si sono analizzate le cause strutturali della disuguaglianza e dell’esclusione, a partire dalla dimensione sistemica globale fino alle sue espressioni locali. Si sono condivisi i dati spaventosi della disuguaglianza e della concentrazione della ricchezza nelle mani di un pugno di mega miliardari. I diversi relatori hanno concordato sul fatto che si debba individuare nella natura ingiusta e predatoria del sistema capitalista, il quale pone il lucro al di sopra dell’essere umano, la radice dei mali sociali e ambientali. L’enorme potere delle imprese transazionali, che pretendono divorare e privatizzare tutto – merci, servizi, sistemi di pensiero – sono i principali protagonisti di questa sinfonia di distruzione.

4. Durante il lavoro in gruppi si è concluso che l’accesso pieno, stabile, sicuro e integrale alla terra, al lavoro e alla casa è un diritto umano inalienabile, inerente alla persona e alla sua dignità, e deve essere garantito e rispettato. La casa e il quartiere come uno spazio inviolabile per Stati e imprese, la terra come un bene comune che deve essere condiviso tra tutti coloro che in essa lavorano evitando il suo accaparramento e il lavoro degno come asse strutturante di un progetto di vita sono state alcune delle rivendicazioni condivise.

5. Abbiamo anche affrontato il problema della violenza e della guerra, una guerra totale o, come dice papa Francesco, una terza guerra mondiale a rate. Senza perdere di vista il carattere globale di questi problemi, si è trattata con particolare intensità la situazione in Medio Oriente, soprattutto l’aggressione contro i popoli palestinese e curdo. La violenza scatenata dalle mafie del narcoterrorismo, del traffico di armi e della tratta di persone è stata anch’essa oggetto di profondo dibattito. I temi delle espulsioni violente, dell’agribusiness, dell’attività mineraria contaminante e di tutte le forme di estrattivismo, come pure la repressione sui contadini, i popoli originari e gli afrodiscendenti sono stati presenti in tutti i laboratori. E così anche il grave problema dei colpi di Stato, come quelli in Honduras e in Paraguay, e l’interventismo delle grandi potenze nei Paesi più poveri.

6. La questione ambientale è stata presente in un ricco scambio tra la prospettiva accademica e quella popolare. Abbiamo potuto conoscere i dati più recenti sulla contaminazione e sul cambiamento climatico, le previsioni su futuri disastri naturali e le prove scientifiche del fatto che l’imminente catastrofe ecologica è spiegata dal consumismo insaziabile e dalla pratica di un industrialismo irresponsabile promosso dal potere economico. Dobbiamo combattere la cultura dello scarto e, sebbene le sue cause siano strutturali, dobbiamo anche noi promuovere un cambiamento dal basso negli stili e nelle condotte dei nostri popoli, dando la priorità agli scambi all’interno dell’economia popolare e al recupero di ciò che questo sistema getta via.

7. Di nuovo, abbiamo potuto concludere che la guerra e la violenza, l’acutizzarsi dei conflitti etnici e l’uso della religione per la legittimazione della violenza, come pure la deforestazione, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità hanno come principale motore la ricerca incessante del lucro e la pretesa criminale di sottomettere i popoli più poveri per saccheggiare le loro risorse naturali e umane. E abbiamo considerato che l’azione e le parole dei movimenti popolari e della Chiesa sono imprescindibili per frenare questo autentico genocidio e terricidio.

8. Una speciale attenzione merita la situazione delle donne, particolarmente colpite da questo sistema. Abbiamo riconosciuto in questa realtà l’urgente necessità di un impegno profondo e serio con la giusta e storica causa di tutte le nostre compagne, il motore di lotte, processi e proposte di vita, emancipatorie e ispiratrici. E abbiamo anche rivendicato la necessità di porre fine all’emarginazione, al disprezzo e all’abbandono dei bambini e dei giovani, soprattutto quelli poveri, degli afrodiscendenti e dei migranti. Se i bambini non hanno un’infanzia, se i giovani non hanno un progetto, la Terra non ha futuro.

9. Lungi dal limitarsi all’autocompatimento e alle lamentale per tutte queste realtà distruttrici, i movimenti popolari, in particolare quelli riuniti per questo incontro, hanno rivendicato il fatto che gli esclusi, gli oppressi, i poveri non rassegnati e organizzati possono e devono affrontare con tutte le loro forze la caotica situazione a cui ci ha condotto questo sistema. In questo senso, si sono condivise innumerevoli esperienze di lavoro, organizzazione e lotta che hanno permesso la creazione di milioni di posti di lavoro dignitoso nel settore popolare dell’economia, il recupero di milioni di ettari di terra per l’agricoltura contadina e la costruzione, l’integrazione, il miglioramento o la difesa di milioni di case e di comunità urbane nel mondo. La partecipazione protagonista dei settori popolari nel quadro di democrazie sequestrate o direttamente di plutocrazie è indispensabile per le trasformazioni di cui abbiamo bisogno.

10. Tenendo conto dello speciale contesto di questo incontro e dell’incomparabile contributo della Chiesa cattolica che, grazie a papa Francesco, ne ha permesso la realizzazione, ci siamo soffermati ad analizzare, nel quadro delle nostre realtà, l’imprescindibile apporto della dottrina sociale della Chiesa e del pensiero del suo pastore rispetto alla lotta per la giustizia sociale. Il nostro principale materiale di lavoro è stata la Evangelii Gaudium, che si è studiata tenendo conto della necessità di recuperare i criteri etici di condotta nella dimensione individuale, collettiva e sociale della vita umana. È necessario evidenziare (dable desatacar) la partecipazione e l’intervento di numerosi preti e vescovi cattolici durante tutto l’incontro, incarnazione viva di tutti quegli operatori pastorali, laici e consacrati, impegnati con le lotte popolari, che devono essere sostenuti nel loro importante lavoro.

11. Tutti e tutte, molti di noi cattolici/che, abbiamo potuto assistere alla celebrazione di una messa nella basilica di San Pietro presieduta da uno dei nostri anfitrioni, il card. Peter Turkson, durante la quale si sono presentate come offerte tre simboli delle nostre aspirazioni, dei nostri bisogni e delle nostre lotte: un carretto dei cartoneros, frutti della terra contadina e un modellino di una casa tipica dei quartieri poveri. E abbiamo potuto contare sulla presenza di un importante numero di vescovi di tutti i continenti.

12. In tale quadro di appassionato dibattito e di fraternità interculturale, abbiamo avuto l’indimenticabile occasione di assistere a un momento storico: la partecipazione al nostro incontro di papa Francesco, il quale ha sintetizzato nel suo discorso gran parte della nostra realtà, delle nostre denunce e delle nostre proposte. La chiarezza e la forza delle sue parole non ammettono doppie interpretazioni e riaffermano il fatto che la preoccupazione per i poveri è al centro stesso del Vangelo. In linea con le sue parole, l’atteggiamento fraterno, paziente e caldo di Francesco con ciascuno di noi, specialmente con i perseguitati, esprime la sua solidarietà con la nostra lotta tante volte screditata e ostacolata, quando non perseguitata, repressa o criminalizzata.

13. Un altro dei momenti importanti è stata la partecipazione del compagno Evo Morales, presidente dell’Assemblea Mondiale dei Popoli Indigeni, che ha partecipato in veste di dirigente popolare e ci ha offerto un’esposizione centrata sulla critica al sistema capitalista e su tutto ciò che possono ottenere gli esclusi in termini di terra, lavoro, casa, pace e ambiente quando si organizzano e riescono ad accedere a posizioni di potere, ma di un potere inteso come servizio e non come privilegio. Il suo abbraccio con Francesco ci ha riempito di emozione e resterà per sempre nella nostra memoria.

14. Tra i frutti immediati dell’incontro, ci portiamo due cose: la “Carta degli esclusi agli esclusi” per lavorare con la base dei settori e dei movimenti popolari, che ci impegniamo a distribuire massicciamente insieme al Discorso di papa Francesco e alle memorie dell’incontro, e la proposta di creare uno spazio di interlocuzione permanente tra i movimenti popolari e la Chiesa.

15. Insieme a questo breve comunicato, chiediamo in particolare a tutti i giornalisti e le giornaliste di aiutarci a diffondere la versione completa del discorso di papa Francesco che, ripetiamo, sintetizza gran parte della nostra esperienza, del nostro pensiero e delle nostre aspirazioni. Insieme a lui ripetiamo: Terra, Casa e Lavoro sono diritti sacri! Nessun lavoratore senza diritti! Nessuna famiglia senza casa! Nessun contadino senza terra! Nessun popolo senza territorio! Evviva i poveri che si organizzano e lottano per un’alternativa umana alla globalizzazione escludente! Lunga vita a papa Francesco e alla sua Chiesa povera per i poveri!

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Il discorso di papa Francesco ai movimenti

(…). Questo incontro dei movimenti popolari è un segno, un grande segno: siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto silenzio. I poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa!

Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani assistenziali o soluzioni che non arrivano mai o che, se arrivano, lo fanno in modo tale da andare nella direzione o di anestetizzare o di addomesticare (…). Voi sentite che i poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono (…), e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare.

Solidarietà è (…) molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la terra e la casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose, la tratta di persone, la droga, la guerra, la violenza e tutte quelle realtà che molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a trasformare. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia ed è questo che fanno i movimenti popolari.

Questo nostro incontro non risponde a un’ideologia. Voi non lavorate con idee, lavorate con realtà come quelle che ho menzionato e molte altre che mi avete raccontato. Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si ascolti la vostra voce che, in generale, si ascolta poco. Forse perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse perché si ha paura del cambiamento che voi esigete, ma senza la vostra presenza, senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i progetti che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano nel regno dell’idea (…).

Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. (…). Che bello invece quando vediamo in movimento i popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio desiderio.

Questo nostro incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa. Mi soffermo un po’ su ognuno di essi perché li avete scelti come parole d’ordine per questo incontro.

Terra. All’inizio della creazione, Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla. Vedo che qui ci sono decine di contadini e di contadine e voglio felicitarmi con loro perché custodiscono la terra, la coltivano e lo fanno in comunità. Mi preoccupa lo sradicamento di tanti fratelli contadini (…). L’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione dell’acqua, i pesticidi inadeguati, sono alcuni dei mali che strappano l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una relazione con la terra che sta mettendo la comunità rurale e il suo peculiare stile di vita in palese decadenza e addirittura a rischio di estinzione.

L’altra dimensione del processo già globale è la fame. Quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile. So che alcuni di voi chiedono una riforma agraria per risolvere alcuni di questi problemi e lasciatemi dire che in certi Paesi, e qui cito il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, «la riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale» (CDSC, 300).(…).

Per favore, continuate a lottare per la dignità della famiglia rurale, per l’acqua, per la vita e affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra.

Secondo, Casa. L’ho già detto e lo ripeto: una casa per ogni famiglia. (…). Oggi ci sono tante famiglie senza casa, o perché non l’hanno mai avuta o perché l’hanno persa per diversi motivi. Famiglia e casa vanno di pari passo! Ma un tetto, perché sia una casa, deve anche avere una dimensione comunitaria: il quartiere, ed è proprio nel quartiere che s’inizia a costruire questa grande famiglia dell’umanità, a partire da ciò che è più immediato, dalla convivenza col vicinato. Oggi viviamo in immense città che (…) offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice ma si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino bambini, e li si chiama, elegantemente, “persone senza fissa dimora”. È curioso come nel mondo delle ingiustizie abbondino gli eufemismi. Non si dicono le parole con precisione, e la realtà si cerca nell’eufemismo. Una persona, una persona segregata, una persona accantonata, una persona che sta soffrendo per la miseria, per la fame, è una persona senza fissa dimora; espressione elegante, no? Voi cercate sempre; potrei sbagliarmi in qualche caso, ma, in generale, dietro un eufemismo c’è un delitto.

Viviamo in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie. (…). Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. (…).

(…). Quanto sono belle le città che superano la sfiducia malsana e che integrano i diversi e fanno di questa integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Quanto sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che uniscono, relazionano, favoriscono il riconoscimento dell’altro! Perciò né sradicamento né emarginazione: bisogna seguire la linea dell’integrazione urbana! Questa parola deve sostituire completamente la parola sradicamento, ora, ma anche quei progetti che intendono riverniciare i quartieri poveri, abbellire le periferie e “truccare” le ferite sociali invece di curarle promuovendo un’integrazione autentica e rispettosa. È una sorta di architettura di facciata, no? (…). Continuiamo a lavorare affinché tutte le famiglie abbiano una casa e affinché tutti i quartieri abbiano un’infrastruttura adeguata: fognature, luce, gas, asfalto, e continuo: scuole, ospedali, pronto soccorso, circoli sportivi e tutte le cose che creano vincoli e uniscono, accesso alla salute – l’ho già detto – all’educazione e alla sicurezza della proprietà.

Terzo, Lavoro. Non esiste peggiore povertà materiale – mi preme sottolinearlo – di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro. La disoccupazione giovanile, l’informalità e la mancanza di diritti lavorativi non sono inevitabili, sono il risultato di una previa opzione sociale, di un sistema economico che mette i benefici al di sopra dell’uomo (…), sono effetti di una cultura dello scarto che considera l’essere umano di per sé come un bene di consumo, che si può usare e poi buttare.

Oggi al fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione si somma una nuova dimensione, una sfumatura grafica e dura dell’ingiustizia sociale; quelli che non si possono integrare, gli esclusi, sono scarti, “eccedenze”. Questa è la cultura dello scarto, e su questo punto vorrei aggiungere qualcosa che non ho qui scritto, ma che mi è venuta in mente ora. Questo succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo, la persona umana. Sì, al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il denominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori.

E per illustrarlo ricordo qui un insegnamento dell’anno 1200 circa. Un rabbino ebreo spiegava ai suoi fedeli la storia della torre di Babele e allora raccontava come, per costruire quella torre di Babele, bisognava fare un grande sforzo, bisognava fabbricare i mattoni, e per fabbricare i mattoni bisognava fare il fango e portare la paglia, e mescolare il fango con la paglia, poi tagliarlo in quadrati, poi farlo seccare, poi cuocerlo e, quando i mattoni erano cotti e freddi, portarli su per costruire la torre.

Se cadeva un mattone – era costato tanto con tutto quel lavoro -, era quasi una tragedia nazionale. Colui che l’aveva lasciato cadere veniva punito o cacciato (…), ma se cadeva un operaio non succedeva nulla. Questo accade quando la persona è al servizio del dio denaro; e lo raccontava un rabbino ebreo nell’anno 1200 (…).

Per quanto riguarda lo scarto dobbiamo anche essere un po’ attenti a quanto accade nella nostra società. (…). Oggi si scartano i bambini perché il tasso di natalità in molti Paesi della terra è diminuito o si scartano i bambini per mancanza di cibo o perché vengono uccisi prima di nascere (…).

Si scartano gli anziani perché non servono, non producono; né bambini né anziani producono, allora con sistemi più o meno sofisticati li si abbandona lentamente, e ora, poiché in questa crisi occorre recuperare un certo equilibrio, stiamo assistendo a un terzo scarto molto doloroso: lo scarto dei giovani. (…). Nei Paesi europei, e queste sì sono statistiche molto chiare, qui in Italia, i giovani disoccupati sono un po’ più del 40%; sapete cosa significa 40% di giovani, un’intera generazione, annullare un’intera generazione per mantenere l’equilibrio. (…). Scarto di bambini, scarto di anziani, che non producono, e dobbiamo sacrificare una generazione di giovani, scarto di giovani, per poter mantenere e riequilibrare un sistema nel quale al centro c’è il dio denaro e non la persona umana.

Nonostante questa cultura dello scarto, questa cultura delle eccedenze, molti di voi, lavoratori esclusi, eccedenze per questo sistema, avete inventato il vostro lavoro con tutto ciò che sembrava non poter essere più utilizzato, ma voi con la vostra abilità artigianale, che vi ha dato Dio, con la vostra ricerca, con la vostra solidarietà, con il vostro lavoro comunitario, con la vostra economia popolare, ci siete riusciti e ci state riuscendo… E, lasciatemelo dire, questo, oltre che lavoro, è poesia! Grazie.

Già ora, ogni lavoratore, faccia parte o meno del sistema formale del lavoro stipendiato, ha diritto a una remunerazione degna, alla sicurezza sociale e a una copertura pensionistica. Qui ci sono cartoneros, riciclatori, venditori ambulanti, sarti, artigiani, pescatori, contadini, muratori, minatori, operai di imprese recuperate, membri di cooperative di ogni tipo e persone che svolgono mestieri più comuni, che sono esclusi dai diritti dei lavoratori, ai quali viene negata la possibilità di avere un sindacato, che non hanno un’entrata adeguata e stabile. Oggi voglio unire la mia voce alla loro e accompagnarli nella lotta.

In questo incontro avete parlato anche di Pace ed Ecologia. È logico: non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e se distruggiamo il pianeta. Sono temi così importanti che i popoli e le loro organizzazioni di base non possono non affrontare. Non possono restare solo nelle mani dei dirigenti politici. Tutti i popoli della terra, tutti gli uomini e le donne di buona volontà, tutti dobbiamo alzare la voce in difesa di questi due preziosi doni: la pace e la natura. La sorella madre terra, come la chiamava san Francesco d’Assisi.

Poco fa ho detto, e lo ripeto, che stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. Ci sono sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate. Quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, care sorelle e cari fratelli, si leva in ogni parte della terra, in ogni popolo, in ogni cuore e nei movimenti popolari, il grido della pace: mai più la guerra!

Un sistema economico incentrato sul dio denaro ha anche bisogno di saccheggiare la natura, saccheggiare la natura per sostenere il ritmo frenetico di consumo che gli è proprio. Il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità, la deforestazione stanno già mostrando i loro effetti devastanti nelle grandi catastrofi a cui assistiamo, e a soffrire di più siete voi, gli umili, voi che vivete vicino alle coste in abitazioni precarie o che siete tanto vulnerabili economicamente da perdere tutto di fronte a un disastro naturale. Fratelli e sorelle: il creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere; e ancor meno è una proprietà solo di alcuni, di pochi. Il creato è un dono, è un regalo, un dono meraviglioso che Dio ci ha dato perché ce ne prendiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con rispetto e gratitudine. Forse sapete che sto preparando un’enciclica sull’Ecologia: siate certi che le vostre preoccupazioni saranno presenti in essa. (…).

Parliamo di terra, di lavoro, di casa. Parliamo di lavorare per la pace e di prendersi cura della natura. Ma perché allora ci abituiamo a vedere come si distrugge il lavoro dignitoso, si sfrattano tante famiglie, si cacciano i contadini, si fa la guerra e si abusa della natura? Perché in questo sistema (…) la persona umana è stata tolta dal centro ed è stata sostituita da un’altra cosa. Perché si rende un culto idolatrico al denaro. Perché si è globalizzata l’indifferenza! Si è globalizzata l’indifferenza: cosa importa a me di quello che succede agli altri finché difendo ciò che è mio? Perché il mondo si è dimenticato di Dio, che è Padre; è diventato orfano perché ha accantonato Dio.

Alcuni di voi hanno detto: questo sistema non si sopporta più. Dobbiamo cambiarlo, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno. Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza. E tutti insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi intrappolati, cercando sempre di risolvere le tensioni per raggiungere un livello superiore di unità, di pace e di giustizia. Noi cristiani abbiamo qualcosa di molto bello, una linea di azione, un programma, potremmo dire, rivoluzionario. Vi raccomando vivamente di leggerlo, di leggere le beatitudini che sono contenute nel capitolo 5 di san Matteo e 6 di san Luca (cfr. Matteo, 5, 3 e Luca, 6, 20), e di leggere il passo di Matteo 25. (…).

So che tra di voi ci sono persone di diverse religioni, mestieri, idee, culture, Paesi e continenti. Oggi state praticando qui la cultura dell’incontro, così diversa dalla xenofobia, dalla discriminazione e dall’intolleranza che tanto spesso vediamo. Tra gli esclusi si produce questo incontro di culture dove l’insieme non annulla la particolarità. Perciò a me piace l’immagine del poliedro, una figura geometrica con molte facce diverse. (…). Oggi state anche cercando la sintesi tra il locale e il globale. So che lavorate ogni giorno in cose vicine, concrete, nel vostro territorio, nel vostro quartiere, nel vostro posto di lavoro: vi invito anche a continuare a cercare questa prospettiva più ampia; che i vostri sogni volino alto e abbraccino il tutto!

Perciò mi sembra importante la proposta, di cui alcuni di voi mi hanno parlato, che questi movimenti, queste esperienze di solidarietà che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più coordinati, s’incontrino, come avete fatto voi in questi giorni. Attenzione, non è mai un bene racchiudere il movimento in strutture rigide, perciò ho detto incontrarsi, e lo è ancor meno cercare di assorbirlo, di dirigerlo o di dominarlo; i movimenti liberi hanno una propria dinamica, ma sì, dobbiamo cercare di camminare insieme. Siamo in questa sala, che è l’aula del Sinodo vecchio (…), e sinodo vuol dire proprio “camminare insieme”: che questo sia un simbolo del processo che avete iniziato e che state portando avanti!

I movimenti popolari esprimono la necessità urgente di rivitalizzare le nostre democrazie, tante volte dirottate da innumerevoli fattori. È impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione come protagoniste delle grandi maggioranze e questo protagonismo trascende i procedimenti logici della democrazia formale. La prospettiva di un mondo di pace e di giustizia durature ci chiede di superare l’assistenzialismo paternalista, esige da noi che creiamo nuove forme di partecipazione che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune. E ciò con animo costruttivo, senza risentimento, con amore.

Vi accompagno di cuore in questo cammino. Diciamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro.

Cari fratelli e sorelle: continuate con la vostra lotta, fate bene a tutti noi. È come una benedizione di umanità. (…).

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Crisi ambientale, cambiamento climatico e disuguaglianza

Silvia Ribeiro

Il modello di produzione e consumo industriale e l’ambiente

– La distruzione dell’ambiente è parte integrante del modello industriale di produzione e consumo dominante, il quale non considera la natura e l’ambiente come base di sostentamento della vita, ma unicamente come mezzo per ottenere profitti.
– Quello attuale non è l’unico sistema che ha devastato l’ambiente, ma è sicuramente quello che ha globalizzato la distruzione trasformandola in un problema planetario.

Chi governa in realtà?

– 737 multinazionali hanno nelle loro mani l’80% delle vendite di tutte le imprese nel mondo.
– 147 ne detengono il 40%.
– 1.318 imprese (con sede in 26 Paesi anglosassoni e in Cina) controllano il 60% delle vendite globali. Queste 1.318 imprese presentano tra loro due o più interconnessioni, con una media di 20, costituendo una ragnatela globale. Le maggiori 50 sono quasi tutte istituzioni finanziarie.

Una disuguaglianza sempre più grande

– L’1% più ricco possiede quasi il 50% della ricchezza globale (48.5%).
– Al 50% più povero rimane meno dell’1% della ricchezza (il 90% vive nel Sud globale).
– Il 20% della popolazione concentra nelle proprie mani il 94.5% della ricchezza globale.
– Il 70% della popolazione si deve accontentare solamente del 2.9%.

La crisi ha arricchito i ricchi

– Gli 85 maggiori miliardari del mondo possiedono oggi la stessa ricchezza di 3 miliardi e mezzo di persone.
– La disuguaglianza è aumentata di più negli ultimi 30 anni, specialmente a partire dalle crisi degli anni 2007-2009.
– La ricchezza globale è cresciuta del 68% negli ultimi 10 anni. L’1% più ricco ha messo le mani sul 95% delle entrate, mentre il 90% è andato incontro a un aumento della povertà, dell’emarginazione, della disoccupazione e della precarizzazione. (…).
– La fusione di grandi imprese e di capitali finanziari che di fatto governano il pianeta, potendo anche contare su tecnologie sempre più potenti, crea una situazione globale di disastro ambientale, sociale e sanitario. (…).

Devastazione ambientale planetaria

– Sovrasfruttamento delle risorse naturali: petrolio, fracking, gas, vecchie e nuove attività minerarie, deforestazione, immense monoculture devastanti per gli ecosistemi.
– Industrializzazione del sistema agro-alimentare, controllato da poche transnazionali, appropriazione delle sementi, uso dei transgenici, massiccia contaminazione della terra e dell’acqua attraverso i veleni agricoli, con pesanti conseguenze sulla salute.
– Urbanizzazione selvaggia, emarginazione, enormi discariche inquinanti.
– Grandi opere di infrastruttura e trasporto a servizio delle grandi imprese, non delle necessità delle maggioranze.
– Megaprogetti in campo energetico, dighe, centrali nucleari, centrali a biomasse.
– Contaminazione ed esaurimento delle fonti d’acqua e dei suoli e inquinamento dell’aria.
– Minacce alla salute, con l’aumento esponenziale delle malattie. (…).

Cambiamento climatico per settori

– Secondo i dati dell’IPCC (2014), le emissioni di gas a effetto serra per settore sono i seguenti:
il 25% dipende dall’uso dei combustibili fossili per la produzione di energia e di elettricità;
il 24% è rappresentato dall’agricoltura industriale, dalla deforestazione e dal cambiamento della destinazione d’uso dei suoli;
a seguire, tra i settori maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra, vengono l’industria (21%), i trasporti (14%) e l’edilizia.
– Ma se prendiamo la parte di ogni settore che si relaziona al sistema agroalimentare industriale, troviamo che questo, dalle sementi di cui sono proprietarie le imprese fino ai grandi supermercati, è responsabile di una percentuale che va dal 44 al 57% dei gas a effetto serra.
– Se facciamo lo stesso rispetto all’urbanizzazione selvaggia, incontriamo anche qui percentuali assai elevate e pure queste legate al sistema agroalimentare industriale: non possono esserci supermercati senza grandi concentrazioni urbane.

I maggiori responsabili delle emissioni di gas a effetto serra

– Attualmente, per volume totale: Stati Uniti: 15,5%; Cina: 23%; Russia: 5% (10 Paesi sono responsabili dei 2/3 delle emissioni).
– Attualmente, pro capite: Stati Uniti: 17 tonnellate; Cina 5,4 tonnellate; Russia 11,6 tonnellate.
– Emissioni totali accumulate storicamente nel periodo 1850-2005: Stati Uniti: 29%; Cina: 9%; Russia: 8%.
– Emissioni accumulate storicamente a persona, in tonnellate metriche: Stati Uniti: 1.133; Cina: 85; Russia: 677.
– Storicamente, il principale responsabile sono gli Stati Uniti, seguiti dall’Unione Europea, dalla Russia, dal Giappone, dal Canada.
– Gli Stati Uniti utilizzano il 25% dell’energia mondiale e, da soli, hanno prodotto più emissioni dei cinque Paesi che seguono in messi insieme, 10 volte di più del sesto, e più di 300 volte le emissioni di ciascuno di quasi tutti i Paesi dell’Africa.

Il rimedio è peggiore del male

Gli stessi governi responsabili della crisi climatica e gli scienziati che lavorano al loro servizio propongono, tra altre tecnologie di alto rischio:
– Geoingegneria (manipolazione del clima).
– Energia nucleare.
– “Bioenergia” (agrocombustibili, megapiantagioni, ecc.).
– CCS: cattura e immagazzinamento dell’anidride carbonica nel fondo marino e nelle formazioni geologiche.
– Estrazione di gas “naturale” attraverso il sistema della fatturazione idraulica (fracking).

“Soluzioni” false e pericolose

– Mito tecnologico: transgenici per la fame, “agricoltura climaticamente intelligente” e geoingegneria per il clima, nanotecnologia per superare la scarsità di materiali, enormi inceneritori per i rifiuti: tutti “rimedi” peggiori del male, per i gravi problemi che provocano.
– Mito del mercato: mercato dei crediti di carbonio, pagamento per i servizi ambientali, il programma Redd per le foreste, compensazioni per la biodiversità… Nessuna di queste “soluzioni” risponde ai problemi reali e tutte offrono nuove occasioni di profitto alla finanza speculativa.

Antropocene?

– L’era attuale non può essere denominata “Antropocene” (termine usato per definire l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre è fortemente condizionato dagli effetti dell’azione umana, ndt): è l’era della plutocrazia e dell’ambizione illimitata che la caratterizza ciò che sta distruggendo il pianeta.
– Né si tratta solo della breccia tra Nord e Sud.
– La necessità che ci troviamo di fronte è quella di mettere in discussione, oltre al potere delle grandi imprese e del sistema che le sostiene, il modello industriale di produzione e di consumo, il modello di “sviluppo” e della tecno-scienza.

Dove cercare le vere soluzioni

– Se il sistema alimentare agroindustriale produce dal 44 al 57% delle emissioni, utilizza il 70% dell’acqua e l’80% dei combustibili fossili impiegati nell’agricoltura e nell’alimentazione, e garantisce alimenti solo al 30% della popolazione mondiale, la rete contadina e quella dei piccoli produttori di alimenti, compresi gli orti urbani, alimentano il 70% della popolazione mondiale.
– Le grandi città collasseranno completamente senza la rete di solidarietà e il sistema di economie locali di quelli che occupano gli ultimi posti della scala sociale.

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Verso un’alleanza dei movimenti popolari

Intervista a João Pedro Stédile

Che bilancio è possibile tracciare dell’incontro dei movimenti popolari in Vaticano?

Con il papa si è stabilito subito un clima di fiducia. Quando è venuto in visita in Brasile, per esempio, ha compiuto una serie di gesti che valgono più di molte parole, a cominciare dal fatto che, diversamente da quanto previsto nel programma originario, ha voluto recarsi in una favela. Ed è stato molto bello anche il fatto che abbia espresso il desiderio di andare a trovare dom Pedro Casaldáliga: si è persino informato su quante ore di volo ci volessero per raggiungere la sua diocesi. Poi, quando si è reso conto che era troppo distante, gli ha almeno voluto scrivere una lettera molto affettuosa.
Già lo scorso anno eravamo stati convocati in Vaticano per un primo incontro (il workshop “Emergenza Esclusi”, svoltosi in Vaticano il 5 dicembre 2013, ndr), allo scopo di offrire la visione dei movimenti sui modi in cui il capitale accresce la disuguaglianza sociale. Il dialogo era poi proseguito specificamente sui semi transgenici, anche in considerazione del fatto che in Vaticano esistono posizioni differenti al riguardo. Così abbiamo coinvolto un gruppo di scienziati per far giungere al papa dei sussidi che spero possano aiutarlo nella stesura della sua prossima enciclica sull’ambiente. È sorta quindi l’idea di organizzare un grande incontro dei movimenti popolari in Vaticano, un incontro tra il papa e un centinaio di dirigenti sociali legati a tre ambiti diversi (terra, lavoro e casa) indipendentemente dalle loro convinzioni religiose – non a caso i cattolici non erano la maggioranza -, con l’unica condizione che fossero veri dirigenti e che rappresentassero migliaia di lavoratori. Sono stati inoltre invitati 20 vescovi (ne sono venuti 17) che si sono particolarmente distinti nel loro appoggio alla lotta dei movimenti popolari.
L’incontro con il papa è stato importante in primo luogo rispetto a una simbologia di perché per molti di noi dei movimenti popolari è apparso come una legittimazione dei nostri diritti contro gli interessi delle borghesie locali. È stato molto significativo sentirgli dire: quando parlo di terra, lavoro e casa, dicono che sono comunista. Il riferimento a Hélder Câmara è d’obbligo. E anche l’invito a Evo Morales nella sua veste di presidente della Conferenza mondiale dei popoli indigeni ci è sembrato un gesto politico importante, considerando che il presidente boliviano non gode della simpatia di vari vescovi boliviani. Tra noi, poi, vi era almeno una decina di dirigenti minacciati di morte: per loro la foto in cui stringono la mano al papa è una sorta di salvacondotto a protezione della loro vita. Abbiamo anche potuto condividere con il papa le nostre preoccupazioni riguardo alla presenza di gravissimi conflitti nel mondo, come è il caso di Kobane, perché ne parli durante la visita in Turchia, o a situazioni drammatiche come il caso degli studenti scomparsi ad Iguala, in Messico, durante un’operazione della polizia municipale e di bande di narcotrafficanti. Ed è con gioia che abbiamo poi ascoltato le parole da lui pronunciate, durante l’udienza generale del 29 ottobre, sulla scomparsa dei 43 giovani messicani.
Credo, infine, che sia stato un incontro positivo anche per il papa. Papa Francesco sa che deve operare cambiamenti all’interno della Chiesa e che troverà grandi ostacoli da parte dei settori conservatori. Ma sa che può contare su un importante alleato: i lavoratori organizzati. Sa che la Chiesa esercita un ruolo politico nella lotta di a livello mondiale e io sono pronto a sottoscrivere che il papa è dalla nostra parte.

Privilegiando il dialogo con il Vaticano, non si rischia di restare troppo ancorati alla Chiesa cattolica? Dopotutto i cattolici sono meno di un miliardo e mezzo nel mondo. Pensate di ampliare il dialogo anche alle altre tradizioni religiose?

Durante l’incontro è emersa chiaramente la necessità di investire le nostre energie nello sforzo di costruire da qui in avanti una grande articolazione internazionale di tutti i movimenti popolari del mondo. Si era tentato di farlo con il Forum Sociale Mondiale, attraverso la sua Assemblea dei movimenti sociali, ma non ha funzionato: si tratta di un formato che ha svolto un ruolo importante nella lotta ideologica contro il capitalismo, ma che con il tempo è andato esaurendo le proprie potenzialità. I movimenti popolari presenti all’incontro erano molto concentrati sul tema della terra, della casa e dell’economia informale, ma ci sono molte altre forme di organizzazione che dobbiamo coinvolgere. Noi di Via Campesina impiegheremo le nostre energie per costruire tale articolazione. E questo indipendentemente dalla Chiesa e dal Vaticano. Perché abbiamo la necessità di discutere i nostri problemi e di trovare soluzioni comuni per affrontare un nemico che è comune: il capitale finanziario e le transnazionali, le quali utilizzano gli organismi internazionali per legittimare i propri interessi.
In relazione al Vaticano, l’idea è quella di mantenere un “tavolo di dialogo”, anche se il concetto non è stato ancora ben definito. Il card. Peter Turkson, nel suo discorso finale, ha parlato di una “piattaforma”. È un bene che non abbia parlato di “consiglio”, perché la parola “consiglio” è ormai superata. Dunque, daremo continuità a questo incontro attraverso una specie di tavolo di dialogo fra i tre settori popolari e il Vaticano. E che non avrà a che fare con alcuna forma di potere o di burocrazia. In terzo luogo, è sorta durante l’incontro, sebbene non come proposta dell’intera plenaria, l’idea di convocare una riunione simile con altre tradizioni religiose. Ma sembra che vi sia una difficoltà: non tutte le istituzioni religiose sono verticalizzate come la Chiesa cattolica. Per esempio, rispetto ai musulmani, con chi si deve dialogare? In ogni Paese vi è una diversa corrente. Ma, per muovere un passo su questa strada, noi della delegazione brasiliana abbiamo già parlato di promuovere una riunione brasiliana in cui coinvolgere tutte le religioni.

Perché non sono stati invitati i teologi della Liberazione, proprio loro che hanno accompagnato così da vicino i movimenti popolari, anche pagando un prezzo molto alto?

Durante la preparazione dell’incontro, che è durata un anno, in Vaticano hanno detto chiaramente che non volevano che includessimo preti, religiosi e religiose nelle nostre delegazioni, perché sostenevano, credo a ragione, che preti e religiosi hanno altri spazi di convergenza. D’altro lato, c’era la volontà politica di invitare i vescovi e dal Vaticano ci hanno chiesto indicazioni su quali siano i pastori che, in ogni Paese, accompagnano maggiormente i movimenti popolari. In generale, siamo rimasti molto soddisfatti dei 17 vescovi presenti: non hanno voluto alcun protagonismo, hanno tenuto un profilo umile e hanno ascoltato molto.

Ci sono state resistenze da parte dei movimenti rispetto all’idea di promuovere un incontro in Vaticano?

Dopo aver accettato, all’interno del Movimento dei Senza Terra, di coinvolgerci in questo processo, abbiamo presentato la proposta alla Via Campesina Internazionale e all’articolazione dei movimenti sociali dell’Alba, di cui fanno parte più di mille movimenti di tutta l’America Latina. All’interno della Via Campesina, chi ha espresso più, diciamo così, inquietudini, sono stati i compagni islamici: volevano capire bene il senso dell’iniziativa, ma poi hanno capito e sono venuti.

E le donne?

Le donne contadine non hanno espresso alcuna riserva, e infatti ve ne erano varie all’incontro. All’interno dell’Alba, il dibattito è stato maggiore, perché è uno spazio più plurale. E alcune resistenze, o inquietudini, sono state espresse dalle femministe, le quali hanno preferito non partecipare, per marcare una differenza rispetto a determinate posizioni assunte dal Vaticano.

Passando al Brasile, come interpreti l’attuale scenario politico brasiliano all’indomani delle elezioni che hanno portato a una vittoria di strettissima misura della presidente Dilma Rousseff?

Nel 2002 il voto a Lula era stato un voto di protesta contro il sistema neoliberista. Ma questa vittoria era stata ottenuta solo sulla base di un programma di alleanza tra tutte le Era, insomma, un governo di conciliazione di che ha consentito a tutti di guadagnare, ma ai banchieri molto di più. Un governo centrato su tre punti: la difesa dello Stato di fronte al mercato, con un rilancio delle politiche pubbliche; l’impulso al settore industriale come motore di crescita dell’economia; la distribuzione di reddito a favore delle popolari. Questo programma, che viene definito neodesenvolvimentista (neosviluppista, ndr), è stato messo in atto per dieci anni, consentendo al governo a guida Pt di ottenere il consenso per restare al potere. Ma ora è arrivato al suo limite. Il governo, infatti, non ha avuto la forza sufficiente per far fronte al capitale internazionale, così da controllare il tasso di interesse e il tasso di cambio, e ciò ha condotto nuovamente a un processo di de-industrializzazione. È da tre anni che l’industria non cresce, e che non cresce l’economia.
La presidente Dilma ha pensato che fosse possibile portare avanti il vecchio programma, ma questo programma è finito. Il governo, per esempio, ha portato dal 6% al 15% il numero di giovani che ha accesso all’università, ma c’è ancora un 85% che resta fuori. Tutti gli anni si presentano agli esami di ammissione universitaria 8 milioni di giovani per appena 1 milione e 600mila posti. Ciò vuol dire che più di 6 milioni rimangono esclusi ogni anno. I lavoratori hanno ottenuto alcune conquiste fondamentali, soprattutto grazie all’aumento dei salari e a un maggior livello di occupazione. Ma ci sono comunque 40-50 milioni di giovani che vogliono lavori più qualificati o che non sopportano più l’inferno in cui si sono trasformate le città brasiliane. È così che si spiegano le giornate di protesta del giugno 2013. Ma si trattava solo di una protesta e molti dei manifestanti si sono astenuti alle elezioni: sono 29 milioni i brasiliani che non sono andati a votare.
La presidente Dilma non voleva credere che la borghesia brasiliana le avrebbe fatto opposizione, eppure lungo tutta la campagna elettorale è restata al secondo posto nei sondaggi, superata prima da Marina Silva (la quale, però, ha perso consensi a causa della sua personalità ondivaga) e poi da Aécio Neves. Alla fine è riuscita a vincere di strettissima misura, ma al Congresso la destra può contare su un’ampia maggioranza. Si dice addirittura che sia un Congresso più conservatore che durante l’epoca della dittatura. Così adesso la destra controlla il Congresso, il potere giudiziario, i mass media e ora mira anche a controllare il governo.

E cosa può fare il governo Dilma in questo quadro?

Il governo ha solo una soluzione: deve allearsi con i lavoratori e i movimenti popolari e operare i cambiamenti che la popolazione esige e che il progetto neodesenvolvimentista non ha permesso di realizzare. La destra che prima appoggiava il governo ora è all’opposizione in Parlamento e nella società: se il governo insegue l’illusione di ricomporre l’alleanza con le destre finirà male già durante il primo anno. E tutti i movimenti andranno all’opposizione. Se invece il governo sceglierà la strada dell’alleanza con i movimenti, la prima riforma che dovrà realizzare sarà la riforma politica del Paese. Perché questa potrà alterare i rapporti di forza nella società aprendo così la strada alle altre riforme strutturali: la riforma agraria, la riforma educativa, quella tributaria, quella urbana e quella dei mezzi di comunicazione. E questo potrà avvenire solo attraverso la convocazione di un’Assemblea Costituente parallela al Congresso eletto, in quanto quest’ultimo è ostaggio di appena 117 imprese, le quali hanno speso in finanziamenti ai politici ben 2 miliardi di dollari (una cifra inferiore solo a quella spesa negli Stati Uniti). Cosicché è necessario unire il più possibile le forze per ottenere la convocazione di un plebiscito sulla Costituente.
Se poi il governo eviterà sia di allearsi con la destra sia di dare risposta alle rivendicazioni dei movimenti popolari, assisteremo a un lungo periodo di crisi e di instabilità politica. Ma bisogna essere ottimisti, perché la fase di apatia sociale sta terminando, come hanno dimostrato i giovani nel giugno del 2013. E se quello era un movimento di protesta privo di un programma, ora si tratta invece di discutere un programma per una grande alleanza tra i movimenti su proposte di riforma radicali. Occorre dunque stimolare la lotta sociale attraverso la creazione di un grande movimento di massa. E occorre stimolare un dibattito politico per trovare le soluzioni a quella che, per la prima volta, è veramente una crisi mondiale: economica, sociale, ambientale, politica. La profezia di Marx non è mai stata così attuale: lavoratori di tutto il mondo uniamoci! Per fortuna, possiamo contare su un grande alleato: la natura. La natura neanche il capitalismo può comprarla. E ogni volta che il capitalismo l’aggredisce, ne provoca anche una reazione, generando un problema ancora più grande. Ora tocca a noi rendere cosciente la società sul perché la natura reagisca in questo modo. Per esempio, la contaminazione provocata dall’uso intensivo dei veleni in agricoltura sta moltiplicando i casi di tumore. Ogni anno, in Brasile, si registrano 500mila nuovi casi di cancro: è il prezzo che il capitalismo ci impone producendo alimenti contaminati. Ma questa è una contraddizione che deve essere utilizzata per convincere le persone che quello del capitale è un modello di morte.

Come si spiega l’assenza completa della questione ambientale durante tutta la campagna elettorale?

Nessuna delle questioni relative ai problemi strutturali del Paese è stata affrontata. Non si è parlato della questione ambientale – non ne ha parlato neppure Marina Silva, in quanto è scesa a patti con il settore ruralista, ed è questo che le ha fatto perdere il voto dei giovani, perché si è rivelata ipocrita e opportunista -; non si è parlato della riforma agraria; non si è parlato della riduzione della giornata di lavoro né della precarizzazione dell’occupazione; non si è parlato dei diritti dei popoli indigeni né di quelli dei quilombolas. I grandi temi relativi alla necessità di riforme strutturali per il Paese non sono stati toccati. Non sono stati toccati dalla destra, perché questa era interessata a sfruttare il tema della corruzione per far passare l’immagine del Pt come un partito di ladri. E non sono stati toccati dalla sinistra, perché Dilma non voleva impegnarsi. Per fortuna, nella campagna per il secondo turno, per quanto questi temi abbiano continuato a restare fuori dal dibattito, è emerso chiaramente che, se Dilma non cercherà di allearsi con i movimenti popolari, il suo governo diventerà ostaggio delle destre.
Evo Morales ha detto in passato (sebbene il suo governo non sia affatto privo di contraddizioni al riguardo) che i diritti della natura sono più importanti persino di quelli degli esseri umani, perché se non vengono garantiti i primi non saranno mai possibili i secondi. La crisi ambientale e climatica è una questione talmente grave che dovrebbe precedere qualsiasi altra considerazione. Perché allora tale consapevolezza è ancora così limitata tra i movimenti popolari di tutto il mondo (esclusi ovviamente quelli ambientalisti)?
È vero che non esiste una coscienza tra i movimenti popolari di questa centralità della questione ambientale. E tra i movimenti consapevoli della gravità del problema credo ci sia una lettura, che può essere giusta o sbagliata, secondo cui non si può affrontare la questione ambientale separatamente dal cambiamento del modello economico. E così, in un certo modo, diventano prioritari i temi legati al cambiamento generale, anche perché spesso, in Brasile, i movimenti che mettono al primo posto la questione ambientale finiscono per ridurla, per esempio, al problema della deforestazione dell’Amazzonia, che di certo è gravissimo, ma che non è l’unico: basti pensare ai danni provocati dall’uso dei veleni in agricoltura, che distruggono la biodiversità, o dall’allevamento bovino. Il fatto è che i movimenti devono maturare questa coscienza e questo non è immediato. Si tratta di un processo.