Discriminazione e istruzione: la buona Scola sotto l’egida dei ciellini

Valerio Gigante
www.adistaonline.it

Rispetto a come l’hanno presentata i giornali, la notizia della lettera scritta dalla diocesi ambrosiana agli insegnanti di religione (6.102 docenti in tutto) per avere la segnalazione dei colleghi e dei progetti che nelle loro rispettive scuole trattano con gli alunni temi legati all’omosessualità e all’identità di genere va probabilmente ribaltata. La notizia non sta infatti tanto nell’iniziativa della Curia, quanto piuttosto nel fatto che alcuni degli stessi docenti di religione l’abbiano trovata inappropriata, discriminatoria e delatoria, consegnandone il testo, che doveva restare riservato, alla stampa (segnatamente alle pagine milanesi della Repubblica).

E i giornali, che in anni passati avrebbero messo la sordina sull’episodio, hanno invece dato grande risonanza al fatto, con articoli ed interviste dai toni indignati, tali da costringere la Curia a cancellare in fretta e furia il testo della lettera “incriminata” dal sito, a scaricare la responsabilità dell’iniziativa su un non meglio precisato “collaboratore” di don Gian Battista Rota, che dirige il settore insegnanti di religione cattolica della Diocesi di Milano, a presentare formali scuse per l’accaduto. E a indurre alla fine lo stesso arcivescovo di Milano, il card. Angelo Scola, ad intervenire per dichiarare il proprio personale rammarico per l’accaduto. «La Chiesa è stata lenta sulla questione omosessuale», ha detto a margine della presentazione di un suo libro, il 15 novembre scorso, all’Università Statale.

Ma che la lettera sia il frutto dell’estemporanea iniziativa di un «collaboratore del Servizio Insegnamento Religione Cattolica», come appunto recita il comunicato della Curia, è piuttosto irrealistico. Una scelta del genere deve essere stata pianificata a livello centrale. Anche perché il testo della mail già conteneva gli strumenti per attuare la mappatura delle scuole milanesi che veniva richiesta ai docenti di Irc. Il testo della missiva recitava infatti: «Per valutare in modo più preciso la situazione e l’effettiva diffusione dell’ideologia del “gender”, vorremmo avere una percezione più precisa del numero delle scuole coinvolte, sia di quelle in cui sono state effettivamente attuate iniziative in questo senso, sia di quelle in cui sono state solo proposte. Per questo chiederemmo a tutti i docenti nelle cui scuole si è discusso di progetti di questo argomento di riportarne il nome nella seguente tabella, se possibile entro la fine della settimana. Grazie per la collaborazione».

A rafforzare l’ipotesi di una iniziativa non estemporanea ci sono poi le parole dello stesso card. Scola che, in perfetto stile ciellino, nella stessa occasione in cui presentava le sue scuse per l’avvenuto tentando così di placare opinione pubblica, mondo politico ed associazionismo in subbuglio (con la sola eccezione di Giuliano Ferrara, che sul Foglio scriveva che il cardinale di Milano si piega «al diktat di media e guru ideologici» e «porge le sue scuse per l’inchiesta sulla pedagogia che insegna l’indifferenza del genere maschile o femminile»), rendeva anche altre dichiarazioni. Che, di fatto, confermavano il senso dell’iniziativa da cui aveva appena preso le distanze. Le scuse, ha infatti spiegato l’arcivescovo di Milano erano per il linguaggio, non per il contenuto; dal momento che «siamo in una società plurale in cui ciascuno deve poter dire ciò che pensa». La nostra, ha proseguito il cardinale, «è una posizione “non omofoba”, ma nel contempo è una posizione da cui non abbiamo intenzione di recedere di un millimetro».

C’è “Intesa” tra scuola e Curie

L’iniziativa della Curia milanese apre anche un’altra questione: quella dello statuto giuridico degli insegnanti di religione cattolica. Che sono pagati dallo Stato, ma che in Italia rispondono del loro operato alle Curie diocesane che li designano. Se l’insegnante di religione rispondesse solo al Ministero dell’Istruzione una vicenda come quella di Milano non avrebbe mai potuto verificarsi. In realtà, l’attuale sistema non solo assegna alla Chiesa il controllo totale dei contenuti da veicolare all’interno dell’ora di religione, che resta un insegnamento confessionale impartito «in conformità alla dottrina della Chiesa» (come recita l’art. 1 dell’Intesa stipulata tra Ministero della Pubblica Istruzione e Cei nel 1985). Ma è stato anche, storicamente, lo strumento attraverso il quale, all’interno delle singole classi come negli organi collegiali, la Chiesa ha mantenuto un proprio presidio, spesso funzionale a conoscere dall’interno ciò che avveniva nelle scuole. Avendo a disposizione, ogni volta che ve ne fosse stato bisogno, docenti pronti ad intervenire per difendere le posizioni del magistero cattolico o gli interessi della Curia di appartenenza, informando anche (su esplicita sollecitazione o sua sponte) gli uffici diocesani di ciò che avveniva all’interno degli istituti scolastici.

La longa manus di Cl

C’è poi un dato non secondario: il card. Scola appartiene a Comunione e Liberazione, movimento che ha sempre fatto della presenza nella scuola e dell’Università il luogo privilegiato della sua azione “formativa”.

In una sua inchiesta su Comunione e Liberazione pubblicata a puntate dal quotidiano la Stampa nel 1975, Ezio Mauro scriveva che Cl nella scuola aveva “tre bracci”: quello formato da insegnanti, genitori, politici impegnati nella battaglia per ottenere “l’istruzione gratuita”, mistificatoria definizione con cui già all’epoca si invocava la parità scolastica (cioè lo Stato che finanzia l’istruzione privata); quello del Consorzio italiano Libere Cooperative scolastiche, che organizzava «gruppi di genitori decisi a far nascere nuove scuole private accollandosene la responsabilità di gestione, con insegnanti coerenti agli ideali cristiani»; e, infine, quello del movimento dei Cattolici Popolari, che si presentava puntualmente alle elezioni universitarie e delle scuole secondarie con proprie liste (non di rado apparentate con quelle dei fascisti) ottenendo significativi risultati e spezzando l’egemonia dei collettivi e delle rappresentanze della sinistra.

Anche perché alle spalle, negli atenei, Cl otteneva la gestione di chioschi d’informazione all’ingresso degli atenei e all’interno dell’università, anche di quelli che vendevano libri a prezzi scontati; e poi mense universitarie, pensionati studenteschi, attività ricreative gratuite, doposcuola per studenti in difficoltà, cooperative che si occupavano di trovare lavori saltuari per gli studenti. Attraverso questa sorta di “welfare cattolico” affiancava e sostituiva il pubblico là dove esso era più debole, e cioè nella gestione dei servizi sociali. Il controllo di scuole e università era garantito, e con esso la possibilità di incidere efficacemente sui processi reali del mondo della scuola. A condizione però di poter disporre sempre di informazioni di prima mano su come nei singoli istituti l’avversario laico o di sinistra si stesse organizzando. Ma oggi che la presenza ciellina nelle scuole superiori (diverso il caso delle università) è ormai pressoché nulla, alle Curie restano solo i docenti di religione. Tra di loro, però, cresce il disagio per indicazioni e richieste che appaiono ormai anacronistiche. Fuori tempo, insomma, ma anche fuori luogo.

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L’ETERNA ALLEANZA DEI POTERI

Dario Accolla
www.italialaica.it

Il recente caso della curia milanese che ha chiesto ai docenti di religione di segnalare le scuole in cui si fanno progetti di “educazione alle differenze” rientra in una catena di eventi che possiamo far cominciare con la stesura della legge Scalfarotto, sullo sfondo di un provincialismo tutto italiano, di matrice anche confessionale. Proviamo a seguire il corso degli eventi.

A settembre 2013 la Camera approva un decreto che punisce i reati legati a omofobia e transfobia. Per salvare le larghe intese e non irritare i cattolici in parlamento, si introduce il subemendamento Gitti-Verini, concordato tra l’estensore della legge e alcuni esponenti di Scelta Civica. Esso stabilisce che «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee» soprattutto se certe idee – come associare omosessualità e infermità mentale – vengono verbalizzate «all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto».

La legge produce una virulenta ondata di proteste. Nascono organizzazioni (estremiste) ufficialmente slegate da istituzioni religiose, ma di fatto popolate da personaggi, anche di chiara fama, che si definiscono cattolici. Tali realtà affermano che la norma impedirebbe la libertà d’opinione. Dovrebbe far riflettere, di contro, che il testo di legge è stato votato, tra gli altri, da Rocco Buttiglione, Paola Binetti, Rosy Bindi e altri cattolici che in passato si sono scagliati contro le persone LGBT associandole di volta in volta alle categorie del peccato, della patologia, del disagio sociale, ecc. Il ddl intanto si blocca in Senato.

Nei mesi seguenti scoppiano diversi casi che coinvolgono la scuola. A Vladimir Luxuria, invitata al liceo Muratori di Modena, viene impedito di parlare di transgenderismo in un’assemblea studentesca (marzo 2014). Si ritirano i libretti dell’Istituto Beck, destinati al personale docente e miranti a intervenire sugli stereotipi di genere (inizio aprile 2014). A Roma i Giuristi per la vita denunciano alcune insegnanti del liceo Giulio Cesare con l’accusa, poi rivelatasi infondata, di aver imposto romanzi con scene di sesso tra gay (fine aprile 2014). A Torino, un’insegnante di religione afferma che l’omosessualità è una malattia (novembre 2014), mentre in Umbria un docente viene denunciato per violenza omofoba. Chiude il cerchio la richiesta della curia milanese, ma è lungo e incompleto l’elenco di questo assalto all’istruzione pubblica.

Collateralmente, la chiesa fa sentire la sua voce. Quella ufficiale. «È in atto una strategia persecutoria contro la famiglia, un attacco per destrutturare la persona e quindi destrutturare la società e metterla in balìa di chi è più forte e ha tutto l’interesse a che la gente sia smarrita. Nel torbido il male opera meglio», pontifica Angelo Bagnasco, alcune settimane prima che i libretti ordinati dall’Unar venissero ritirati. Eppure si voleva solo impedire che qualcuno venisse preso in giro perché percepito come diverso… Nasce intanto il mito del “gender”, fantomatica ideologia in cui vengono catalogate le iniziative anti-omofobia e che vorrebbe azzerare le differenze tra maschi e femmine e sottoporre materiale pornografico in aula fin dalla scuola dell’infanzia, pena il carcere per quei genitori che si ribellano. Fantasie di menti poco avvezze alla verità delle cose – eppure per qualcuno mentire dovrebbe esser peccato – ma come è già stato detto da altri, nel torbido il male opera meglio.

Si era partiti dal combattere l’omofobia e si è finiti all’evidenza che non si può e non si deve parlare di omosessualità, proprio a partire dalle aule italiane. Il risultato di questo ultimo anno può essere così riepilogato. Le realtà omofobe incassano una doppia vittoria: culturale – visto che la legge sancisce implicitamente che l’omofobia è una libera opinione – e politica, in quanto la legge stessa non è mai stata approvata. Per ottenere questo risultato, e per compiacere il pensiero confessionale, si è snaturata tutta la legge Mancino che invece doveva solo essere estesa a reati motivati da odio per orientamento sessuale e identità di genere.

È il risultato dell’alleanza tra i palazzi del potere e le rappresentanze cattoliche, i cui fautori sono ancora convinti che il benessere di chi crede debba passare per uno stato di minorità del resto del mondo. Chissà perché.