I 70 “invisibili” di Via dei Mille di CdbBustoArsizio

Comunità Cristiana di Base di Busto Arsizio
Adista Segni Nuovi n. 41 del 22/11/2014

Non ci costano nulla, perché paga la Prefettura di Varese. Hanno da mangiare, un letto, una doccia e anche degli abiti puliti. Tutto a posto, nessun allarme sociale. Nessun rischio di contagio per noi, nessuno ha importato l’ebola o malattie tropicali. Meglio dunque passare la loro presenza sotto silenzio, per evitare che qualche scalmanato xenofobo sollevi un polverone scatenando i deliri di chi ha in odio i profughi in fuga dalla fame e dalla guerra.

Ma quanto paga, per ognuno di loro, la Prefettura di Varese che li ha affidati ad una cooperativa incaricata di alloggiarli in via dei Mille, nello stabile dove anni fa aveva sede il dopolavoro dell’Enel? Vitto e alloggio, tutto compreso, 30 euro al giorno, anche se a loro va solo qualche spicciolo, 2,50 euro. È una partita di giro per il Comune di Busto: con una mano prende dalla Prefettura, con l’altra paga la cooperativa. Così nessuno può lamentarsi che siano soldi rubati ai bustocchi. Per chi non ne fosse convinto, nel sito del Ministero dell’Interno sono controllabili la consistenza pluriennale del Fondo europeo per i rifugiati e i bandi di accesso al Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, emanazione del Ministero dell’Interno e dell’Associazione nazionale dei Comuni d’Italia: bandi ai quali, manco a dirlo, la nostra amministrazione comunale non ha mai partecipato.

Lo sappiamo bene: la crisi ha messo in ginocchio anche a Busto centinaia di famiglie che faticano per tirare avanti, e molte volte proprio non ce la fanno. Licenziamenti e disoccupazione hanno colpito duro, tanti giovani non vedono futuro, gli sfratti sono centinaia. Il dolore sociale è grande, la sofferenza diffusa. Ma il dolore è sempre dolore, la disperazione ha tante forme, ma è uguale per tutti: anche per chi ha abbandonato patria e famiglia e rischiato la vita pur di mettere piede in Europa approdando in Italia.

Decine di migliaia di profughi, scampati ai naufragi e depredati dai mercanti di vite umane: ma chi sa che l’Italia ogni anno, applicando le leggi internazionali, tratta solo 30mila domande di asilo, mentre la Francia ne conta il doppio e la Germania più di 120mila? Chi è informato del fatto che, in proporzione al numero di abitanti, l’Italia è il penultimo Paese europeo, prima della Polonia, per numero di permessi rilasciati ai profughi che chiedono asilo? Stati piccoli come Estonia, Slovacchia, Danimarca, Islanda, Irlanda, Portogallo, Austria danno rifugio a molti più stranieri in fuga dalla guerra. Ma come vivono queste persone? Le leggi internazionali impediscono a chi cerca asilo politico e chiede lo status di rifugiato di svolgere un qualunque lavoro retribuito: del resto, di lavoro non ce n’è neanche per gli italiani oggi, a Busto come in tutto il Paese. Ma non poter svolgere un lavoro retribuito non significa necessariamente dover restare inerti 24 ore al giorno: così si può anche diventare pazzi, o accumulare rabbia e frustrazione che possono portare i meno capaci di autocontrollo a comportamenti sconsiderati. Proviamo perciò a chiederci: noi riusciremmo a stare per settimane, per mesi, senza far nulla?

Il silenzio che ha imprigionato in questi mesi i 70 profughi di via dei Mille è stato rotto pochi giorni fa da un quotidiano locale che ha gridato scandalizzato questa notizia: «Schiamazzi di giovani africani che giocano a pallone nel campo da tennis [orrore!] dell’ex Cral dell’Enel sfrattano una famiglia residente nel suddetto stabile di via dei Mille» che ha deciso di trasferirsi altrove. Ma queste grida durante il gioco non sono forse l’unica valvola di sfogo di una tensione che, tenuta chiusa, sotto pressione, potrebbe comprensibilmente scoppiare da un momento all’altro? Proviamo a metterci nei panni di queste persone in bilico fra la paura del rimpatrio forzoso e la fievole speranza di cominciare in Europa una vita nuova.

La linea di confine fra la pura sopravvivenza e un’esistenza che abbia un residuo di dignità e umanità passa dunque anche di qui, a Busto, in via dei Mille. Abbiamo chiesto in Comune: no, l’amministrazione non riesce (non vuole?) fornire a questi nostri concittadini del mondo globalizzato un corso per imparare l’italiano, momenti di attività fisica (l’accesso a un campetto di calcio), occasioni di socializzazione per attenuare lo stordimento di una vita totalmente inattiva. Sono tutti giovani fra i 20 e i 30 anni, in prevalenza africani: possibile che non si possa offrire ad almeno alcuni di loro l’occasione di svolgere (gratis) un lavoro socialmente utile? Davvero non esiste uno spazio dove possano imparare (o magari insegnare) a fare musica con gli altri? Impossibile immaginare qualche visita nelle scuole superiori per parlare dei loro Paesi, delle loro culture? Sul web è reperibile un manualetto plurilingue per attrezzare chi richiede asilo ad affrontare l’iter burocratico: perché non renderlo disponibile agli ospiti di via dei Mille traducendolo nelle loro lingue?

Ha un bello sbraitare Salvini che li vuole rimandare a casa! Dove? In Eritrea? Libia? Siria? Il mondo globalizzato è anche questo: se possono circolare liberamente le merci e i capitali, perché non gli esseri umani? E la situazione non cambierà domattina: milioni di persone languono nei campi profughi della Turchia, della Giordania, del Sud Sudan; carovane inarrestabili continueranno a mettersi in viaggio verso l’Europa. Non è dunque tempo che ci attrezziamo per far fronte a queste emergenze che dureranno per anni e che costituiranno un aspetto fra i più problematici e insieme suggestivi del nostro prossimo futuro? Non bastano i 30 euro della Prefettura, serve anche un atteggiamento diverso della politica locale.

Abbiamo spazi pubblici vuoti, inutilizzati. E che dire dei milioni di euro buttati al vento per un palaghiaccio che non diventerà mai tale e che langue nel più desolante abbandono? Ci aspettiamo il coraggio da parte del Consiglio comunale – come vuole la richiesta di Pd e Sel – di discutere finalmente l’emergenza profughi che coinvolge anche la nostra città per approntare una programma di umanizzazione e socializzazione di questi nostri ospiti di oggi e di chi verrà dopo di loro.

Ci risulta che la Caritas e le Conferenze vincenziane (ma non solo loro), sensibili da sempre ai bisogni e ai disagi individuali, stiano rispondendo all’esplosione dei bisogni sociali di questi nuovi venuti con monitoraggi medici, interventi per mamme e bambini, visite e aiuti a chi non ha casa, all’insegna della discrezione e della operosità silenziosa. Insomma, i bustocchi non la pensano tutti come Salvini: se c’è chi sparge solo zizzania per fomentare intolleranza, chiusura e guerre tra poveri, c’è anche chi si apre al rischio e alla fatica dell’accoglienza.

Noi che scriviamo questa lettera aperta non vogliamo darvi a pensare di essere più bravi di altri: neppure noi sappiamo ancora come essere concretamente al fianco di questi 70 profughi, ma scommettiamo sulla possibilità di comunicare e di farci responsabili della condizione di bisogno degli altri, ciascuno in proporzione al proprio potere e alle proprie risorse. La polis è questo, la comunità cristiana lo deve essere anche di più e non si costruisce umanità delegando agli specialisti del disagio queste emergenze, come se la cura della debolezza dell’altro richiedesse degli “addetti” e non riguardasse tutti.

Sarebbe importante che questi e tanti altri gruppi (dalla Famiglia Bustocca agli Alpini, dalle Acli all’Agesci, solo per fare qualche nome) uscissero perciò dal loro riserbo per esigere che anche il Comune esca dalla sua latitanza rispetto agli “invisibili” di via dei Mille. Vorremmo che i sindacati dei lavoratori, oltre a difendere chi rischia di perdere il posto di lavoro in fabbrica, facessero sentire la loro voce in nome di una solidarietà globale anche con questi 70 “operai della speranza” venuti da lontano, spronando l’amministrazione comunale a intervenire. E vorremmo anche che i parroci e i preti delle dieci comunità parrocchiali di Busto, la domenica, durante la messa, non rinunciassero a ricordare in modo forte e chiaro ai fedeli, anche a rischio di inimicarsi qualche cuore arido, che quei profughi in fuga dalla fame e dalle guerre rappresentano (anzi sono!) il volto di Gesù di Nazareth in mezzo a noi: «Ero pellegrino e mi avete ospitato».

Infine, sommessamente, ci permettiamo di ricordare ai nostri fratelli credenti che anche la Chiesa lombarda possiede risorse, nonché spazi esenti dalla Tasi, non sempre utilizzati al meglio. Francesco ha gridato forte e chiaro: quei beni appartengono prima di tutto ai poveri e dunque anche a coloro che arrivano sui barconi in cerca d’asilo. E se, come singoli, non possiamo dare quello che non abbiamo (la disponibilità economica, letto, cibo e un posto di lavoro), partiamo da quello che come cristiani certamente abbiamo: un atteggiamento di comprensione, di solidarietà e di misericordia verso chi, per noi, come noi, è autenticamente figlio di Dio.