Il ruolo del linguaggio nell’evoluzione culturale e religiosa

Cdb dell’Isolotto (Firenze)

1-    Se guardiamo alla storia passata ci accorgiamo che in antichità la parola era strettamente correlata alla divinità: la parola era percepita come una forza creativa (cfr. Gn 1) che si rendeva indipendente dall’essere umano e trasformava la realtà in senso positivo o anche negativo. La ‘parola che crea’ fu nel cammino dell’evoluzione  la grande presa di coscienza che l’uomo aveva assunto un ruolo creativo-creatore.

Proprio il momento in cui acquistò la capacità di comunicare attraverso la parola, fu il salto che gli diede la capacità di distinguersi dalle altre entità del creato, il momento in cui il suo cervello cominciò a crescere e ad elaborare pensieri. Questa consapevolezza del potere creatore della parola è chiaramente esplicitata nel 1° capitolo del Vangelo di Giovanni, che risente dell’influsso gnostico del 2° sec. d.C., ma che comunque è erede di tutta una consapevolezza elaborata precedentemente nella letteratura sapienziale.

La parola è la forza creatrice di Dio, anzi è identificata con Dio stesso (“e Dio era la Parola”), perché ha in sé la capacità di generare la vita e di dare la luce della conoscenza della verità. Si deve precisare comunque che nel concetto di “parola” si comprende anche il linguaggio non verbale, fatto di gesti / segni, di comportamenti, che assumono un’importanza ancora maggiore perché rappresentano la verifica del significato della parola stessa. In effetti Giovanni dice che la parola in Gesù si è fatta carne, è diventata parte della nostra realtà quotidiana, si è fatta azione concreta per liberarci dalle tenebre dell’ignoranza e dell’errore.

Si assiste purtroppo nel nostro tempo ad uno svilimento della parola, del linguaggio. Da una parte c’è un abuso della parola, un suo uso indiscriminato e irriflesso, favorito anche dai nuovi mezzi di comunicazione, per cui si pensa di poter prevalere nei confronti degli altri accumulando più parole possibili e facendo salire il tono della voce. Non ci si accorge invece che in tal modo si perde il significato più profondo ed anche la forza creativa della parola: essa diventa banale, sciatta, insignificante. Diventa di fatto strumento di violenza.

D’altra parte si manipola la parola, soprattutto nella pubblicità e nella politica, in maniera scorretta invertendo spesso il significato della parola; così questa da realtà creatrice di vita si trasforma in strumento di distruzione della vita sociale, perché crea disorientamento, insicurezza e incapacità di rapportarsi con il prossimo.

In campo ecclesiale c’è un altro aspetto da considerare: per limitare la forza dirompente della parola, che può scardinare l’ordine costituito e il potere ad esso connesso, l’autorità ecclesiastica ha cercato nei secoli di nascondere la parola o sotto una dizione latina  o fissandola in un significato rituale sempre più lontano dalla realtà quotidiana. Un esempio è il prologo del Vangelo di Giovanni, in cui il greco “Logos” è reso nelle traduzioni da “Verbo”, anziché “Parola”, identificato poi con Cristo; oppure la parola “Chiesa” che non indica più come in origine l’assemblea dei credenti, ma la gerarchia religiosa.

Gli esempi potrebbero continuare a lungo: sono la spia del fatto che nel corso della storia il linguaggio del cristianesimo è stato fossilizzato allo scopo di preservare l’aspetto sacrale, insieme al potere clericale ad esso connesso. In questa maniera si sottrae all’individuo lo strumento cardine per prendere consapevolezza e gestire in proprio la sua realtà spirituale.

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2-    Ripartire dalla “parola” e riappropriarci di quella che era definita “parola di Dio” fu la grande intuizione da cui ebbe inizio la nostra esperienza di comunità dell’Isolotto ed anche del movimento delle CdB ed è rimasto il grande filo conduttore del nostro cammino in questi oltre quarantacinque anni.

Riappropriarci dei messaggi della bibbia, del vecchio e nuovo testamento, sono stati e sono tuttora preziosi, ma solo se li liberiamo dalle sovrastrutture dei poteri, dei leaderismi, delle prediche, dei culti della personalità, della dipendenza, del monoteismo del Dio padrone del mondo, e di ogni altro culto, sia religioso che laico, compreso il culto della scienza, per restituirli al cammino  dell’umanità con le sue proprie espressioni- diversità- conoscenze- capacità creative. Non parole per giudicare, condannare, criticare, ma parole per comunicare, costruire, valorizzare messaggi positivi.  Noi abbiamo scelto di non usare parole contro o parole assolute di verità.

Per noi “la parola” ha avuto sempre il valore di “liberarsi e liberare”dalle sudditanze, dalle ideologie, dai tabù, dalle ignoranze. Da noi la parola è stata sempre coniugata con l’impegno di restituirla al popolo, alla gente, ai senza parola, ai senza storia.La parola per “camminare con”, per confrontarsi senza separatezze e fratture, per procedere con tutti/e gli uomini e le donne nel cammino della ricerca teologica, scientifica, filosofica. Cercare e trovare insieme sempre nuovi messaggi, spazi , esperienze di  serenità e fiducia, speranza e“amore” secondo il linguaggio del vangelo.

Dunque neppure parole per osannare né per demolire le scelte, i gesti, le parole che questo papa usa rivolgendosi alle masse e come protagonista dei mass-media: siamo consapevoli che le sue parole, i suoi gesti, la sue azioni non sono insignificanti e naturalmente ci interrogano, ma il nostro cammino, il nostro messaggio, le nostre parole hanno una storia ed una memoria che sono la storia e la memoria di relazioni positive e condivise fuori dai poteri, coniugate con tutti gli sforzi degli uomini di buona volontà.

Le narrazioni e il messaggio del vangelo, per noi che viviamo in questo contesto culturale, è uno dei tanti messaggi positivi che ci hanno aiutato a crescere ed a comprendere. Noi però non possiamo continuare a comunicare e ad esprimerci con “le parole”, i concetti e i simboli che fanno parte di un passato che non corrisponde più all’oggi.

Non rinneghiamo, non demoliamo, non combattiamo. Ma neppure possiamo continuare ad innalzare miti, nominare padri e maestri di verità, essere alla sequela di qualcuno. Non accettiamo il culto della personalità. Non deleghiamo, ma ci assumiamo le responsabilità. Ci riappropriamo della parola in modo responsabile per socializzarla,condividerla senza primati, senza assolutismi, senza certezze,per un ascolto reciproco e possibilmente per riempirla di nuovi significati e di nuove esperienze e prassi.

Creare nuovi linguaggi per creare un nuovo mondo possibile, vuol dire intrecciare le tante parole  creative dell’oggi , essere aperti al nuovo che nasce, senza paura, senza temere un cammino verso nuove identità, verso un meticciato di culture, di storie e di memorie.

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3-    Altro discorso è il ruolo che devono avere i mezzi di comunicazione nella evoluzione del linguaggio. Purtroppo si constata che, a parte qualche eccezione, essi sono appiattiti sull’esistente, sul linguaggio tradizionale, fatto di stereotipi e di pregiudizi. Non c’è il coraggio, soprattutto in ambito religioso, di prendere le distanze dall’autorità ecclesiastica e di sottoporre ad analisi il linguaggio corrente, per cui tutto si risolve in un giudizio estetico, superficiale, basato su quanto consenso si ottiene dal pubblico.

Il ruolo della stampa e della televisione non è solo quello di informare correttamente sui fatti che accadono, ma essi devono avere anche un ruolo educativo: indurre le persone ad una analisi critica e ad un cambiamento del linguaggio, nonché della loro mentalità.  Solo che per far questo, non basta una buona preparazione teologica del giornalista, ma ci deve essere un suo collegamento diretto con le tante esperienze che lievitano dal basso. Si deve dar voce e peso a quel popolo di Dio che è il vero titolare della fede cristiana e nello stesso tempo relativizzare il ruolo della gerarchia.

Compito fondamentale della stampa e della comunicazione in generale è anzitutto riscoprire la sobrietà del linguaggio, perché meno sovrabbondanza di parole si realizza e più esse ritornano al loro aspetto essenziale, derivato da un approfondimento personale del contenuto. In secondo luogo bisogna ritornare alla povertà del linguaggio, alla sua semplicità, ad un discorso comprensibile e chiaro: più esso è semplice e incarnato nella vita reale, e più rivela la verità della nostra condizione umana. Solo in tal modo si opera un superamento della distinzione sacro / profano, e allora si può scoprire che Dio è in mezzo a noi, nella nostra vita quotidiana, per dare luce e significato alla nostra esistenza.