L’occidente sordo e la Striscia operosa di D.Bilotti

Domenico Bilotti
http://approccicritici.blogspot.it

Un massacro umanitario sopravvive persino alle guerre che lo scatenano. Tra una tregua e l’altra, quando la mortalità infantile schizza alle stelle, quando la popolazione non ha la minima fonte di reddito, quando anche la più piccola, la più ovvia, la più inevitabile tutela dei diritti fondamentali (accesso all’acqua, ai trattamenti sanitari, al cibo) è contingentata… la guerra non se ne va, sta lì in agguato, pronta a divorarsi tutto quello che resta, anche quando non è rimasto più niente. A Gaza va così: anche quando si dice che la guerra è alle spalle e che la tregua è in corso, il massacro continua.

La Palestina ha sempre fatto gola alle potenze occidentali, che non lo hanno mai ammesso: esserci significa collocarsi ben dentro in quella che resta, nonostante tutto, una delle regioni geografiche più ricche del Pianeta dal punto di vista delle materie prime e della rilevanza geostrategica. Tutto il Medio Oriente vive di questa contraddizione: ogni rivolgimento politico interno fa scattare gli schieramenti negli Stati occidentali; ogni nuovo leader e ogni nuova ipotesi di governo vengono accuratamente soppesati: chi sarà il più compiacente, il più collaborativo, il più occidentale? Lo abbiamo visto, purtroppo, con le primavere arabe, che dall’Egitto alla Siria, alla Libia, sembravano poter dare voce e possibilità di autogoverno ad una nuova generazione di speranze, di cooperazione internazionale e di sicurezza sociale, senza misure oppressive e assecondando davvero le esigenze di una popolazione stremata.

Nessuno ne parla più: alla primavera non è seguita l’estate; è arrivato, invece, quello stesso autunno che anticipa l’inverno da cui il popolo sarebbe voluto scappare con tutte le proprie forze. I nostri media raccontano la questione palestinese come una questione eminentemente religiosa. Ci raccontano così anche il massacro dei cristiani in Siria, come se in Siria i cristiani fossero capitati per caso e non parte di una popolazione complessiva che era per decenni riuscita a convivere, sia pure sempre e comunque sotto il filo della tensione. Non ci viene raccontato il ruolo prezioso e decisamente interconfessionale delle tante charities islamiche che dentro e fuori la Striscia sono costrette a fare quello che uno Stato inesistente non può e mai potrebbe fare.

Non ci è raccontato il disagio di quella parte di popolazione israeliana che da tempo vorrebbe un maggiore e meno interessato coinvolgimento delle istituzioni dell’Unione Europea e soluzioni pacifiche che i governi scelgono di ignorare. Più della religione, sembra entrarci la politica: battaglie intestine per issare nuove bandiere, in una comunità internazionale dove la Palestina ha lo stesso status giuridico dello Stato Città del Vaticano (stato osservatore, non membro), dove un terzo di Gerusalemme è guidata da un ebraismo integralista, che scontenta e spaventa sia i conservatori che i riformati, dove l’antisemitismo e l’islamofobia sembrano gli spiritelli su cui soffiare per far divampare tutto. L’Occidente ama stare alla finestra sui temi importanti e troppo spesso a tavola quando c’è da spartire qualcosa.