Ragionando sull’intervento di Papa Francesco a Strasburgo di V.Bellavite

Vittorio Bellavite
coordinatore di Noi Siamo Chiesa

L’intervento di papa Francesco a Strasburgo ha un solo precedente nel 1988 con papa Wojtyla e deve essere esaminato con attenzione, deve essere meditato. Faccio alcune prime riflessioni ed osservazioni.

Questo discorso è il primo sulle questioni europee e non sarà ripetuto a breve. Papa Bergoglio ha orizzonti ben più vasti dell’eurocentrismo di Papa Ratzinger; egli cerca, con priorità, le periferie, Lampedusa, l’Albania, ora la Turchia, vede l’Europa dal di fuori. Una prima constatazione: è stato accolto in una sede istituzionale con una forma e con un ascolto che non sarebbero possibili in altre sedi dello scenario mondiale (salvo -suppongo- all’ONU). C’erano tutti i “grandi” dell’Europa, il papa è stato molto applaudito, nessuna contestazione, neanche accennata, neppure dall’area “laica” che pure è presente ed organizzata (c’è stata però qualche assenza non casuale). Questa situazione ha come scavalcato un problema ed una contraddizione che comunque rimane e che non è cosa da poco, quella del duplice e sovrapposto ruolo di capo di Stato e di capo della Chiesa cattolica. Da tempo una componente del mondo cattolico solleva questo problema senza ottenere ascolto.

Papa Francesco ha parlato come uomo che ha autorità morale nei confronti di tutti, che ammonisce (“parlamentari, curate la fragilità dei popoli e delle persone”) , che ha il diritto/dovere di presentarsi come una delle voci della coscienza dell’umanità e come tale è stato accettato e ascoltato. Di questa voce – e di altre, penso al Dalai Lama, al Segretario del Consiglio Ecumenico delle Chiese, a Desmond Tutu o personaggi di questo tipo – c’è davvero molto bisogno.

Ciò premesso, mi chiedo se gli applausi non siano stati troppi nell’aula di Strasburgo così come i consensi successivi e da ogni lato della politica europea e delle sue diverse articolazioni istituzionali (Commissione, Parlamento …). Il troppo consenso formale (come non saperlo?) facilmente è una premessa per una facile, silenziosa e rapida archiviazione del messaggio ricevuto. Questo è il rischio per le parole profetiche di papa Francesco, dalla Evangelii Gaudium al discorso del 28 ottobre ai movimenti sociali, da quello alla FAO fino a quello di ieri. Le parole di papa Francesco speriamo siano efficaci almeno per una nuova consapevolezza e per una nuova mobilitazione dell’opinione pubblica, in primis di quella cattolica.

In questo contesto, papa Francesco ha evitato (per il vero c’era da aspettarselo) di ripetere parole sul relativismo, di “lamentarsi” sul non recepimento delle “radici cristiane dell’Europa” nella Costituzione europea, sui “valori non negoziabili” in salsa europea, ha evitato di fare riferimento a campagne come quella “Uno di noi” che hanno coinvolto aree consistenti del mondo cattolico in molti paesi europei negli ultimi mesi. Papa Francesco è stato sobrio nel parlare del “trascendente”, sapendo di parlare a un auditorio e a una opinione pubblica europea fortemente secolarizzata.

Francesco parte dai diritti umani e, saggiamente, li specifica: essi non possono essere troppo “individualistici” ; qui c’è una critica , neanche troppo larvata, alla cultura radicale (almeno per quanto questo aggettivo significa nel nostro paese). Essi devono essere connessi con il bene comune. E chi i diritti non li può godere? Francesco ripete e ripete che, soprattutto, anziani, giovani e migranti sono i soggetti deboli per cui i diritti proclamati possono essere solo parole; solitudine è il termine con cui Francesco definisce la loro sofferenza. Il riferimento ai diritti umani, così intesi, è importante e Francesco lo riprende ampiamente nell’intervento al Consiglio d’Europa senza soffermarsi sul movimento che li propose e contribuì ad affermarli più di due secoli fa contro l’ostilità della Chiesa cattolica. Forse papa Francesco qui avrebbe fatto bene a un cenno di autocritica per rendere più credibili e convinte le sue affermazioni.

Papa Francesco continua il suo intervento con le parole sull’invecchiamento dell’Europa, sull’Europa stanca, nonna, non più fertile e vivace, che non può essere un museo ecc…, sono le parole che sono state riprese dalla stampa, la quale, a mio parere, ha dato un rilievo insufficiente alla visita a Strasburgo. A ciò papa Francesco ha aggiunto una critica alle istituzioni dell’Europa con espressioni pesanti (“tecnicismi burocratici”, e via di questo passo) intrecciate con altre che ormai ben conosciamo sugli “imperi sconosciuti”, sugli “interessi multinazionali” oltre alle realtà socioeconomiche (“opulenza insostenibile”, “cultura dello scarto”, “consumismo esasperato”) che schiacciano i soggetti deboli. In questi giudizi e analisi Francesco ha presenti, in modo abbastanza evidente, le correnti di opinione, diffidenti e distanti dall’Europa, ormai diffuse quasi ovunque, presenti nel mondo cattolico e radicate nei movimenti e partiti di destra.

A questa crisi Francesco propone una “uscita da sinistra” per usare un linguaggio semplificato e popolare : si può anche dire , forse meglio, che propone una uscita nella direzione di posizioni democratiche e progressiste. Per fare ciò Francesco si richiama agli ideali europei delle origini, batte sulla “unità nella diversità”, auspica una forte presenza dei corpi intermedi nelle istituzioni, parla di “famiglie dei popoli”. Sembra che inviti le spinte nazionaliste e regionaliste, che sono in crescita, a sapersi contenere nel quadro attuale dell’Unione Europea, dove però avrebbero diritto a essere valorizzate. Per questo rilancio della democrazia indica anche i punti più importanti: la scuola, il lavoro, il contrasto alla spreco, parla di ecologia (stiamo aspettando l’enciclica che è stata annunciata in materia) e per le migrazioni sostiene che è un problema europeo il far sì che il Mediterraneo non sia un cimitero. Importante il suo esplicito invito alla U.E. ad accogliere gli stati balcanici, ma tace sulla Turchia (forse ne parlerà nel suo viaggio a Istanbul). Un accento diretto lo fa nei confronti della sponda sud del Mediterraneo: è un invito a non chiudere gli occhi davanti alle rivoluzioni arabe (che meritano di più -aggiungo io- del disastro fatto con l’intervento in Libia).Dice parole sacrosante sulle gravissime offese alla libertà religiosa ma senza riferirle all’Europa, come peraltro qualcuno vorrebbe.

A questa sponsorizzazione della democrazia europea la Chiesa vuole aggiungere il suo specifico contributo confermando la collaborazione delle sue opere sociali e “usando” l’art.17 della Costituzione europea che prevede un dialogo aperto, trasparente e regolare tra le confessioni religiose e le istituzioni comunitarie. Questo articolo è stato a suo tempo fortemente promosso dalla lobby cristiana in Europa (sia cattolica che protestante). Questo contributo cattolico “non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione ma un loro arricchimento”. Tutto ciò sarà possibile- osservo io- se i vescovi della COMECE (sono i vescovi dei paesi dell’U.E.) e la Segreteria di Stato sapranno contenere le spinte fondamentaliste che sono presenti in aree non piccole del cattolicesimo europeo e sapranno dire parole di verità, situazione per situazione, sull’opinione cattolica presente nei movimenti lepenisti, leghisti e simili.

Il rilancio di una democrazia fondato sulla multipolarità e sui diritti umani, intesi come sopra, è l’antidoto agli estremismi e ai razzisti striscianti che percorrono l’Europa; il dialogo interculturale, anche nella sua dimensione religiosa, è il pilastro che può creare le condizioni per una società fondata sull’accoglienza, sulla solidarietà, sul contrasto alle solitudini. Come non concordare e non sentirsi partecipi di questo messaggio?

Ciò detto, mi rimane una vera insoddisfazione: essa riguarda l’assenza, che non mi so spiegare, nel discorso di papa Francesco di un riferimento al possibile ruolo di pace dell’Europa nei nuovi equilibri mondiali, dal Medio Oriente al rapporto Nord/Sud e al ruolo delle istituzioni internazionali. Francesco si è limitato a parlare del traffico delle armi (nell’intervento al Consiglio d’Europa), ma il problema va ben oltre, è quello della cultura militarista che è in crescita e che bisognerebbe contrastare attivamente, dell’assenza di una politica per il disarmo nucleare (sulla cui gravità c’è una enorme disattenzione) e dei venti di guerra nel mondo in cui tutti sono, più o meno, coinvolti e, in primis, l’Europa, con la sua storia e la sua collocazione geografica.

Comunque, quello di papa Francesco mi pare complessivamente un messaggio di alto profilo. Esso ci interpella e non dovrà rimanere lettera morta.

Roma, 26 novembre 2014