Eucarestia del 30 novembre 2014 di CdbSanPaolo

Comunità Cristiana di Base di san Paolo – Roma
Eucarestia del 30 novembre 2014

CITTA’ TRA DEGRADO VIOLENZA E SPERANZE SOLIDALI

“La città è come una sfera di cristallo nella quale è possibile vedere in trasparenza il meglio e il peggio della nostra umanità, e persino di capire quale sarà il nostro futuro”. da “La città nella Bibbia” di Jean Louis Ska, biblista e teologo belga, gesuita

Letture

Isaia 1, 21-23
La città che prima era fedele è diventata come una prostituta! Una volta era piena di uomini giusti e leali ora invece è abitata soltanto da assassini. Gerusalemme: eri preziosa come l’argento, ora hai perso ogni valore; eri vino prelibato, ora sei soltanto acqua. I tuoi governanti si sono ribellati a Dio, aiutano i ladri e non cercano che regali e illeciti compensi. Non si preoccupano di difendere i diritti degli orfani e delle vedove.

da “Rammendare le periferie: così salveremo le nostre città” di Renzo Piano, architetto, senatore a vita
“Oggi la crescita delle città anziché esplosiva deve essere implosiva, bisogna completare le ex aree abbandonate dalle fabbriche, dalle ferrovie e dalle caserme…di certo non bisogna costruire nuove periferie oltre a quelle esistenti: queste devono diventare città…vanno ricucite e fertilizzate con strutture pubbliche. Qualcosa abbiamo fatto: si tratta di piccoli interventi di rammendo che possono innescare la rigenerazione anche attraverso mestieri nuovi, microimprese, start up, cantieri leggeri e diffusi creando così nuova occupazione. Si tratta solo di scintille, che però stimolano l’orgoglio di chi ci vive. Perché, come scriveva Italo Calvino: “ci sono frammenti di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici”. Questi frammenti vanno scovati e valorizzati. Ci vuole l’amore, fosse pure sotto forma di rabbia, ci vuole l’identità, ci vuole l’orgoglio di essere periferia.”

Dal Vangelo di Luca 19, 41-44
Quando fu vicino alla città, Gesù la guardò e si mise a piangere per lei. Diceva:”Gerusalemme, se tu sapessi, almeno oggi, quel che occorre alla tua pace! Ma non riesci a vederlo! Ecco Gerusalemme, per te verrà un tempo nel quale i tuoi nemici ti circonderanno di trincee. Ti assedieranno e premeranno su di te da ogni parte. Distruggeranno te e i tuoi abitanti e sarai rasa al suolo, perché non hai saputo riconoscere il tempo nel quale Dio è venuto a salvarti.”

INTRODUZIONE E COMMENTO

Roma Tor Sapienza, Milano Lorenteggio, ma anche Ferguson, Città del Guatemala, le bidonville di Nairobi o di Singapore, le favelas di Rio, riportano, pur nelle loro specificità, alla nostra attenzione la costante delle periferie dove regna la violenza. Violenza che è figlia (o forse madre?) dell’abbandono e del degrado in un circolo perverso che si autolimenta: tutti “non-luoghi”, dove la città del capitale e del mercato stiva cittadini marginali e senza diritti, primo fra tutti quello al lavoro. E non dimentichiamo le altre “periferie” del nostro Paese che di volta in volta diventano protagoniste-simbolo per la loro marginalità ed esclusione, prime fra tutte: la Napoli di Scampia, o la Palermo del quartiere Zen o le campagne di Rosarno.

Da noi, ai migranti del Sud Italia degli anni cinquanta si sono aggiunti oggi quelli dell’Africa e dell’intero mondo impoverito; lo spazio è diventato ancora più esiguo, i servizi sono sempre più scadenti e insufficienti; la scuola non sa offrire accoglienza e integrazione culturale e politica e, spesso, non è più in grado neppure di offrire un pasto ai bambini emigrati.

Mentre le preoccupazioni e la cura vanno, dove la situazione economica lo consente, verso i centri storici, i cosiddetti salotti delle città, agli amministratori, come i giudici dell’antico testamento che erano denunciati dai profeti Isaia e Michea, si preoccupano del loro arricchimento lasciando intere parti del territorio di cui avrebbero la responsabilità, in mano alla prostituzione senza distinzione di genere, alle droghe, alla violenza incrementata dalla diffusione di massa delle armi, alla violenza specifica contro le donne.

Noi siamo turbati da questo imbarbarimento generale che coinvolge le istituzioni che, invece di assolvere ad un ruolo di mediazione culturale e politica, alimentano, a volte implicitamente, a volte in maniera esplicita, ad esempio nei confronti del difficile confronto con le popolazioni rom, emarginazione e razzismi.

Ci ritroviamo nella pratica alla identificazione fra l’idea di cittadino e lo status di consumatore; le “piazze” dell’incontro sono non a caso gli scintillanti centri commerciali, in cui dirottiamo anche gli anziani nelle giornate di caldo torrido. Perché meravigliarsi allora se i falansteri costruiti dagli architetti di sinistra nell’ipotesi che venissero poi riempiti di servizi: scuole innanzitutto, ma poi ambulatori, centri anziani, spazi per la cultura e per lo sport, luoghi di incontro, sono stati invece occupati e lottizzati dai grandi e piccoli signori della droga che li hanno trasformati in bunker per lo spaccio o luoghi di prostituzione? E chi vive in questo contesto non si sente costretto alla lotta quotidiana contro le siringhe, il piccolo e grande scippo, la violenza in genere? E’ facile quindi alimentare sordi risentimenti contro i diversi, gli estranei. E pescare nel torbido fra una rabbia legittimamente accumulata ma oramai incapace di distinguere fra obiettivi di giustizia e chiusure egoistiche anche nei confronti di chi vive il dramma del rifugiato senza terra. E diventa sempre più difficile riconoscere le vere responsabilità.

Le nostre domande: come si fa a ristabilire nel nostro presente, nelle nostre città, un sistema di convivenza operosa, un barlume di quella Gerusalemme di cui parlavano i profeti, ricordando che nel suo stesso nome si nasconde shalom, il nome ebraico della pace?

Crediamo che dovremmo riprendere in mano “la terra è di Dio” per interrogarci ancora sui mali di Roma, non farci accecare dai luoghi comuni e dalle facili ricette e riprendere, insieme con chi ci sta, un lento cammino di educazione culturale e politica alla solidarietà: il modello della sosta ci rende credibili: vi chiediamo di rifletterci.