L’Isis e la guerra senza limiti

Michele Paris
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Il coinvolgimento degli Stati Uniti nella nuova guerra in Medio Oriente, lanciata ufficialmente per combattere lo Stato Islamico (ISIS), sta fornendo l’occasione all’amministrazione Obama per cercare di ottenere dal Congresso un ulteriore drammatico ampliamento dei poteri del presidente per condurre operazioni militari virtualmente senza alcuna restrizione.

Questo è il senso dell’apparizione questa settimana del segretario di Stato, John Kerry, di fronte alla commissione Esteri del Senato nell’ambito del dibattito in corso sull’eventuale approvazione di una misura aggiornata che autorizzi “l’uso della forza militare” contro il nuovo presunto nemico di Washington.

La stessa commissione ha approvato l’autorizzazione nella giornata di giovedì, con i 10 membri democratici che hanno votato a favore e tutti gli 8 senatori che l’hanno invece respinta perché non darebbe sufficiente spazio di manovra al presidente. La misura, che potrebbe anche non essere considerata dall’aula e che comunque potrà essere rivista nel 2015 dopo che anche la maggioranza al Senato passerà ai repubblicani, autorizza l’amministrazione Obama a “usare la forza militare” nei confronti dell’ISIS per tre anni ma vieta il ricorso a truppe di terra in Iraq e in Siria.

Più ancora del voto di giovedì, è apparsa però significativa l’audizione di Kerry davanti ai suoi ex colleghi, durante la quale è emerso il vero obiettivo della Casa Bianca: ottenere poteri di guerra quasi illimitati per il presidente. Se nel corso della discussione i repubblicani hanno addirittura criticato l’amministrazione Obama per non avere richiesto poteri ancora più ampi, i senatori democratici, a cominciare dal presidente uscente della commissione Robert Menendez, hanno invece mostrato di preferire un approccio più limitato alla crisi in Iraq e in Siria, pur guardandosi bene dal condannare la guerra in atto.

Dapprima, Kerry ha provato a mentenere il dibattito all’interno dei confini ufficiali, confermando cioè la volontà della Casa Bianca di ottenere un’autorizzazione limitata alla guerra contro l’ISIS. Subito dopo, però, l’ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti ha delineato la necessità di una risoluzione di portata decisamente maggiore.

“Non crediamo che un’autorizzazione all’uso della forza militare debba fissare limiti geografici”, ha sostenuto Kerry. Assicurando in maniera quanto meno sospetta che non sono previste “operazioni in paesi diversi da Iraq e Siria”, il segretario di Stato ha aggiunto che, alla luce della minaccia rappresentata dall’ISIS per “gli interessi e il personale americano in altri paesi, non vogliamo che l’autorizzazione restringa le nostre capacità di utilizzare la forza in maniera appropriata in questi altri paesi, se ciò sarà necessario”.

Kerry ha concluso questa parte del suo discorso con una considerazione soncertante, invitando a non commettere “l’errore di comunicare all’ISIS che esistono rifugi sicuri fuori dai confini di Iraq e Siria”. Com’è evidente, una simile interpretazione comporta la possibilità per il presidente degli Stati Uniti di avere l’autorità preventiva di scatenare una guerra unilaterale di fatto in qualsiasi parte del mondo.

Il delirio bellico di Kerry e dell’amministrazione di cui fa parte è stato rilevato da qualche senatore, a cominciare dalla stella del movimento libertario Rand Paul, ma il segretario di Stato ha rassicurato che “nessuno sta parlando di sganciare bombe ovunque”, invitando i suoi interlocutori a considerare per buona “la presunzione della salute [mentale] del presidente degli Stati Uniti”.

A prescindere dalla predisposizione mentale dell’inquilino della Casa Bianca, la richiesta di Kerry ha delle implicazioni a dir poco preoccupanti. Nell’immediato, un paese come il Libano, ma potenzialmente anche altri al confine con Iraq e Siria (Giordania, Arabia Saudita, Iran), che hanno già visto o potrebbero vedere sconfinare i guerriglieri dell’ISIS sul loro territorio, rischierebbero di diventare il bersaglio di una campagna militare degli USA.

Più in generale, le necessità odierne dell’imperialismo americano potrebbero essere superate da quelle di domani, così che qualsiasi paese percepito come una minaccia nel prossimo futuro sarebbe esposto al rischio di invasione/bombardamento da parte degli Stati Uniti in maniera ancora più agevole di quanto è accaduto finora, in seguito cioè alla sola decisione del presidente.

La necessità di dimostrare la presenza in altri paesi di uomini dell’ISIS non sarebbe d’altra parte un ostacolo. Infatti, già l’attuale guerra aerea in Iraq e in Siria viene condotta sulla base di un simile espediente, vale a dire sull’autorizzazione all’uso della forza contro al-Qaeda, approvata dal Congresso di Washington dopo l’11 settembre 2001, nonostante l’organizzazione fondata da Osama bin-Laden abbia ufficialmente condannato l’ISIS.

Inoltre, essendo quest’ultima formazione jihadista una creatura degli stessi Stati Uniti e dei loro alleati in Medio Oriente, l’apparizione pilotata di suoi affiliati in paesi maturi per il cambio di regime o per una guerra di “liberazione” guidata dall’Occidente sarebbe un’operazione tutt’altro che complicata, come ha appunto dimostrato il caso della Siria.

La stessa posizione Kerry l’ha mostrata anche sulla questione delle truppe americane da dispiegare sul campo. Quando il senatore Menendez ha proposto di inserire nell’autorizzazione all’uso della forza il divieto esplicito di inviare truppe da combattimento USA in Iraq o in Siria per combattere l’ISIS, se non per “proteggere o soccorrere soldati o cittadini americani, per svolgere operazioni di intelligence” e altre operazioni di “pianificazione” o “assistenza”, Kerry ha ribattuto prontamente.

Il segretario di Stato ha cioè confermato che l’amministrazione Obama non prevede il ricorso a truppe da combattimento nella guerra all’ISIS, ma questo “non significa che il comandante in capo – o i nostri comandanti [militari] sul campo – debba avere le mani legate preventivamente”, poiché potrebbe trovarsi a fronteggiare “scenari ed eventualità impossibili da prevedere”.

Completando l’istanza della Casa Bianca per un’autorizzazione di guerra senza vincoli, Kerry ha infine respinto qualsiasi limite temporale. Anche se in realtà si è detto d’accordo con Menendez per fissare un termine di tre anni all’uso della forza contro l’ISIS, esso dovrebbe essere soggetto a estensioni, tramite un dibattito che risulterebbe essere una pura formalità.

La stessa risolutezza dell’amministrazione Obama nel non presentare al Congresso un piano di guerra dettagliato riguardo l’ISIS, come richiesto da svariati senatori, è infine un ulteriore segnale del desiderio di operare in piena libertà e a seconda dell’evoluzione delle trame orchestrate per la persecuzione degli interessi strategici USA in Medio Oriente.

L’assenza di qualsiasi limite da imporre al presidente nella conduzione delle operazioni belliche è in larga misura condivisa dai senatori repubblicani. Il cambio di maggioranza al Senato, che diventerà effettivo a gennaio, prospetta quindi una nuova escalation del conflitto in Iraq e soprattutto in Siria.

Evidenti sono state d’altra parte le manovre della Casa Bianca per giungere a un voto su una nuova autorizzazione all’uso della forza solo in un Congresso con una maggioranza favorevole, cioè dopo le elezioni di metà mandato che da tempo indicavano i repubblicani in vantaggio.

È opportuno ricordare, in ogni caso, che l’assenza di un’autorizzazione aggiornata per combattere l’ISIS non rappresenta una particolare limitazione per Obama, visto che i bombardamenti su Iraq e Siria sono già in corso da mesi, essendo teoricamente convalidati dal voto del Congresso del 2001.

La richiesta di una nuova autorizzazione all’uso della forza serve piuttosto a dare un’apparenza di legittimità al conflitto in atto di fronte a una popolazione americana stanca di guerre senza fine e, ancor più, ad assegnare poteri senza precedenti al presidente americano.

Nell’immediato, l’eventuale nuova autorizzazione che potrebbe essere consegnata all’amministrazione Obama consentirà di dirottare l’impegno bellico USA contro il regime di Bashar al-Assad, la cui rimozione continua a non essere presa in considerazione a livello ufficiale dal governo americano pur essendo il reale obiettivo della guerra in atto.

Indicativo in questo senso è il desiderio di coprire con l’autorizzazione non solo l’ISIS ma anche cosiddette “forze associate”, tra le quali potrebbero essere presto incluse proprio quelle di Damasco, visto che i “ribelli” siriani filo-occidentali e gli alleati di Washington in Medio Oriente sostengono frequentemente che tra Assad e l’ISIS esista una sorta di tacita alleanza per annientare la stessa opposizione “moderata” al regime alauita.