Scuola pubblica, il presepe è solo la punta dell’iceberg

Cecilia M. Calamani
www.cronachelaiche.it

Fosse stato per le reazioni di Matteo Salvini, seguite a ruota dalla stampa amica del clerico-fascismo, la vicenda del preside del bergamasco che ha vietato il presepe a scuola non avrebbe avuto bisogno di commenti ad eccezione di un plauso al dirigente per aver ribadito, con i fatti e non a parole, che le istituzioni italiane dovrebbero essere laiche. Il caso però, complici anche le minacciate ronde leghiste per verificare se le scuole della padania allestiscono il presepe, è rimbalzato oltre i sostenitori della religione di Stato e ha suscitato perplessità anche nei giornalisti “laici”. Il motto «il presepe non offende nessuno» sta unendo destra e sinistra, devoti e atei su un principio che in sé non è discutibile se lo si estrapola dal contesto. È chiaro che il presepe non offende nessuno che non sia malato di altra forma di fondamentalismo. E infatti il problema non è la presunta offesa di altri, bensì la mancata neutralità delle istituzioni pubbliche nei confronti della religione.

Messa in termini di offesa, dunque, la questione è mal posta. Passi che questo concetto venga brandito col consueto populismo dalla Lega Nord, ma disturba che in questa trappola siano caduti giornalisti del calibro di Michele Serra che scrive, nella sua Amaca del 7 dicembre scorso: «In linea di principio» il preside ha ragione, «ma è una ragione, quella del preside, che non ci soddisfa e anzi ci allarma (esattamente come il veto francese di indossare il velo nei luoghi pubblici) perché affronta la complicata materia della multiculturalità, e della necessaria convivenza tra diversi, con una overdose di anestetico. La azzera». «Natale, qui – continua poi Serra – non è solo una “ricorrenza religiosa”, è un momento identitario. Così come il profilo dei campanili e il suono delle campane, il presepe segna il paesaggio italiano in profondità. Lo faccio perfino io». E dichiara che le sue componenti multireligiose non se ne sentono offese (e ci mancherebbe: se si sentisse offeso dal presepe che lui stesso ha fatto non gli resterebbe che ricorrere a un bravo psichiatra).

Ecco, Serra rappresenta il meglio della discussione su questo tema. Non lo affronta ma lo aggira, ponendo la propria esperienza personale al di sopra di un fatto che di personale non ha nulla, confondendo pubblico e privato e addirittura ricorrendo ai momenti identitari di un popolo (né più né meno di quanto fa Salvini con toni più beceri). Mancava solo che nominasse le radici cristiane dell’Europa e avrebbe ricevuto a stretto giro una proposta da Avvenire.

Ma il quid sta più a monte. L’insegnamento della religione cattolica agli studenti (in orario curriculare, con docenti pagati dallo Stato ma scelti dalla Curia) lede già da solo il principio di laicità dell’istruzione pubblica. Presepi, recite sulla natività e celebrazioni natalizie e pasquali – spesso gestite e organizzate proprio dai docenti di religione – sono solo la conseguenza di una contraddizione originale che vede una confessione religiosa perfettamente integrata nel sistema scolastico nazionale. Ovvio che poi il presepe venga percepito da genitori e docenti cattolici come un diritto e la sua negazione come un insulto alla “nostra cultura”. Perché quella “cultura” non prescinde dal catechismo istituzionalizzato a cui sono sottoposti i ragazzi sin dagli anni dell’asilo, al punto che chi per convinzioni familiari o personali pensa in modo diverso è costretto a uscire dall’aula. Però, se sotto Natale vede il presepe nell’atrio a testimoniare la confessionalità del suo istituto ha sempre il diritto di girarsi dall’altra parte.