India: Chiesa e dalit, una ferita aperta

Paolo Affatato
www.lastampa.it

«I dalit sono oggetto di una violenza senza scrupoli». E anche se la Costituzione indiana ha formalmente abolito l’intoccabilità, «essa permane e i più discriminati sono i dalit cristiani e musulmani». Per questo la Chiesa indiana preme per l’abolizione di un Decreto presidenziale del 1950 che legittima una distinzione, negando ai «fuoricasta» non indù le quote riservate nei posti di lavoro pubblici.

Nella Giornata internazionale per i diritti umani, proclamata dall’Onu nella giornata di ieri, 10 dicembre, il messaggio dei vescovi indiani si focalizza proprio sull’accesso ai diritti e sulla pari dignità per minoranze religiose, tribali, indigeni, donne e bambini e non può ignorare la questione dalit. Che resta una ferita aperta nella nazione e nella Chiesa indiana.

Il recente caso di due adolescenti dalit, violentate e poi impiccate in un villaggio dello stato di Uttar Pradesh, fa ancora parlare di sè. A sei mesi dall’evento, i cinque presunti responsabili (tra i quali due agenti di polizia) sono stati rilasciati per mancanza di prove. E il delitto resta impunito, mascherato da «suicidio». Per la società civile indiana è uno scandalo che riporta a galla lo stigma dell’impurità: sia pur formalmente abolito dalla Costituzione indiana, resta tuttora radicato nella mentalità e nella prassi sociale. La patente emarginazione riguarda oltre 165 milioni di «paria», i «dimenticati da Dio e dagli uomini». Relegati ai lavori degradanti, esclusi dalle scuole pubbliche, privati di diritti e dignità.

Uno stigma che tocca anche la Chiesa cattolica. Buona a fare proclami per difendere i dalit, meno abile a eliminare la sottile discriminazione che permane al suo interno fra vescovi, preti, laici provenienti dalle caste più alte e fedeli delle caste inferiori o, peggio, fuoricasta.

Un caso emblematico è quello dalle diocesi di Sivagangai, nello stato meridionale del Tamil Nadu. Un caso tuttora irrisolto. Nel territorio continua e serpeggiare il malcontento della popolazione dalit, che lamenta di essere esclusa, per ripicca, perfino dalle celebrazione dei sacramenti, dopo aver inscenato una protesta ufficiale conto i vertici ecclesiastici.

Le autorità puntualizzano che «non c’è alcun colore castale nella contesa nata per l’insubordinazione di un seminarista dalit, cacciato dal seminario, in accordo con tutti i vescovi della regione». Il caso ha una rilevanza nazionale perchè il Tamil Nadu è il secondo stato indiano per popolazione cattolica (circa l’1,6% del totale) e circa il 60% dei fedeli sono «fuoricasta». Nelle 19 diocesi dello stato solo due vescovi sono dalit. Specchio dell’intera nazione in cui, su 158 vescovi cattolici, solo sei provengono dai gruppi sociali svantaggiati.

Il vescovo locale, Jebamalai Susaimanickam, e alcuni preti diocesani spiegano a Vatican Inder che «nessuna delle chiese in territorio dalit è chiusa ma, in nove parrocchie, i sacerdoti non possono svolgere il loro ministero per le minacce ricevute da gruppi dalit violenti, istigati da dalit indù», penalizzando l’intera comunità.
Inoltre, si rimarca, i diversi tentativi di dialogo promossi dalle istituzioni sono stati orgogliosamente rifiutati. L’approccio dei gruppi dalit sembra essere solo «una inaccettabile violenza», condita dalla richiesta, ritenuta «irricevibile», di reintegrare il seminarista espulso per motivi disciplinari.

La diocesi, aggiungono, promuove utili iniziative per l’emancipazione di dalit cristiani, tramite una specifica «Commissione per i dalit» che si occupa degli studenti, offre borse di studio, organizza campi estivi e classi speciali. Senza parlare degli aiuti economici che la Caritas diocesana concentra sul sostentamento delle famiglie dalit e sui corsi di formazione professionale, per inserirli a pieno titolo nel tessuto sociale.

«Le leve del potere ecclesiastico, tutti i vertici della Chiesa e degli ordini religiosi in Tamil Nadu sono in mano alla casta degli udayar», una delle più alte, replicano i dalit. E per celebrare la santa messa, il giorno della commemorazione dei defunti, sono giunti nei villaggi dalit alcuni sacerdoti da altre diocesi. Perfino il culto del santo patrono, Giovanni de Britto, gesuita portoghese del XVII secolo, «è centrato più sull’identità castale che sull’affiliazione religiosa» notano alcuni studiosi. Il cammino per superare le barriere di casta è ancora lungo.