Un nuovo, prossimo Concilio? Perché si di L.Sandri

Luigi Sandri *
www.viandanti.org

L’ipotesi della crescente opportunità, o addirittura necessità, di un nuovo Concilio della Chiesa cattolica romana [1], mi sembra diventata più plausibile dopo l’elezione a papa di Bergoglio, dopo l’Assemblea straordinaria (e consultiva!) del Sinodo dei vescovi che in ottobre ha riflettuto sulla famiglia e, ancor più, dopo il recentissimo viaggio di Francesco ad Ankara ed Istanbul. D’altronde, oggi si sono irrobustite le motivazioni che da mezzo secolo, e da varie parti, sono state addotte per auspicare, a breve termine, la celebrazione di un “Vaticano III” – espressione, questa, per descrivere il nuovo Concilio, a prescindere se esso si terrà proprio in San Pietro, o non piuttosto fuori Roma, o fuori dall’Europa. Si tratterà, comunque, di un Concilio generale della Chiesa romana, e non ecumenico, non prendendo ad esso parte le Chiese non cattoliche.

L’imprevisto “linkage” tra il Sinodo 2014 e il Vaticano III

I 62 paragrafi della Relatio Synodi finale sono stati votati ad uno ad uno; per essere approvati dovevano ottenere il “sì” dei due terzi dei “padri”. Il paragrafo 52, sull’ammissione all’Eucaristia delle persone divorziate e risposate, citava le due opinioni sostanziali emerse nel dibattito: 1/ la riaffermazione della tesi tradizionale, quella del “no” alla comunione; 2/ la possibilità, caso per caso ed a precise condizioni, di accogliere alla comunione. Il testo ha ottenuto 104 sì e 74 no; non avendo raggiunto la prescritta maggioranza, è stato respinto. Il paragrafo 55, che sulle persone omosessuali ribadisce la dottrina espressa dal Catechismo della Chiesa cattolica (rispetto per loro, però no agli atti omosessuali e no al “matrimonio” tra persone dello stesso sesso) ha ottenuto 118 sì e 62 no; dunque, respinto.

Immaginiamo, ora, che al Sinodo dell’ottobre 2015 – anch’esso dedicato alla famiglia e, a quanto pare, consultivo, a meno che Francesco non sparigli, volendolo deliberativo – un paragrafo che ammette alla comunione le persone divorziate e risposate sia approvato dall’80% dei “padri”: se il papa ratificasse la proposta, come si comporterebbe la “minoranza”? Obbedirebbe? O saboterebbe l’attuazione del dopo Sinodo? O sorgerebbe qualche novello Lefebvre per difendere “la Chiesa di sempre”? Oppure, se il papa, per evitare una protesta invalicabile – come quella che, in occasione del Sinodo 2014, hanno espresso alcuni porporati, guidati nientemeno che dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller – ritenesse necessario svuotare la proposta del “sì”? Ma, in tal caso, non andrebbe in crisi la stessa istituzione sinodale e la credibilità di Bergoglio?

L’esigenza di uno strumento collegiale universale

Quale, allora la soluzione? La mia opinione – suggeritami dalla storia della Chiesa e delle Chiese per analoghe situazioni di drammatica polarizzazione, seppur su altri problemi e in contesti del tutto differenti – è che l’uscita di sicurezza sarebbe l’appello al Concilio: una Grande Assemblea, ovviamente convocata dal papa. Dal punto di vista teologico, infatti, la “pregnanza” di un Sinodo consultivo è minore di quella di un magistero papale ribadito da secoli; solo un’autorità superiore al Sinodo e – di fatto, seppure non in linea di principio – al papa da solo, e dunque solo un Concilio potrebbe cambiare l’insegnamento ribadito per secoli, e martellato ai nostri giorni da Wojtyla e da Ratzinger. Del resto – obiezione che mi aspetterei da Müller e dai suoi “alleati” – potrebbero mai due o trecento vescovi cambiare una disciplina (o una dottrina?) millenaria, tagliando fuori dalla decisione i tremila vescovi lasciati a casa? Non so se il capo dell’ex Sant’Uffizio confidi che un futuro Concilio ribadisca le tesi “tradizionali”; di sicuro, intanto, avrebbe più tempo per rafforzare l’armata dei “conservatori”. Anche se poi – ne sono convinto – il “Vaticano III” farebbe sue le scelte aperturiste.

La questione della comunione alle persone divorziate e risposate – o di altri due temi che la Relatio ha toccato (male), e che si riproporranno nell’Assemblea del 2015: una valutazione dell’amore omosessuale diversa da quella cattolica tradizionale, e il superamento sostanziale dell’Humanae vitae, l’enciclica con cui Paolo VI proibì la contraccezione – non esaurirebbe le tematiche dell’auspicato “Vaticano III”.

Il “sogno” di Martini

Monsignor Helder Camara, arcivescovo di Olinda e Recife, già durante il Vaticano II auspicava il terzo della serie, per affrontare, tra l’altro, la questione della donna-prete! Altri prelati, e poi teologi e teologhe, riviste, audaci gruppi, comunità e migliaia di fedeli, in questi cinquant’anni hanno riproposto l’ipotesi [cf. I Concili, pp. 871ss]. Qui mi limito a ricordare il “sogno” del card. Carlo Maria Martini.

L’allora arcivescovo di Milano, intervenendo il 7 ottobre 1999 alla seconda Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi dedicata all’Europa, espresse l’auspicio, «nel corso del secolo che si apre, di un’esperienza di confronto universale tra i vescovi che valga a sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali che forse sono stati evocati poco in questi giorni, ma che riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino delle Chiese europee e non solo europee». In proposito citava: gli sviluppi dell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II; la carenza in qualche luogo già drammatica di ministri ordinati; la posizione della donna nella società e nella Chiesa; la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali; la sessualità; la disciplina del matrimonio; la prassi penitenziale; i rapporti con le Chiese sorelle dell’Ortodossia e con l’ecumenismo in generale; il rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale.

Per affrontare tali temi «non sono certamente strumenti validi né le indagini sociologiche né le raccolte di firme. Né i gruppi di pressione. Ma forse neppure un Sinodo potrebbe essere sufficiente. Alcuni di questi nodi necessitano probabilmente di uno strumento collegiale più universale e autorevole, dove essi possano essere affrontati con libertà, nel pieno esercizio della collegialità episcopale, in ascolto dello Spirito e guardando al bene comune della Chiesa e dell’umanità intera. Siamo cioè indotti ad interrogarci se, quaranta anni dopo l’indizione del Vaticano II, non stia a poco a poco maturando, per il prossimo decennio, la coscienza dell’utilità e quasi della necessità di un confronto collegiale e autorevole tra tutti i vescovi su alcuni dei temi nodali emersi in questo quarantennio». Martini non pronunciava, allora, la parola-tabù, Concilio; ma l’avrebbe evidenziata poco tempo dopo. E l’ipotesi, clamorosa, ebbe molti “no” e altrettanti “sì”.

I molti nodi da sciogliere

Martini aveva ripreso anche temi già proposti; e nuovi ne furono ipotizzati poi: l’asse giustizia-pace-salvaguardia del creato; i temi etici legati al fine-vita; il ripensamento del Cristianesimo con categorie diverse da quelle greco-romane; lo “status” del presbitero e l’abolizione del celibato obbligatorio per il clero latino; la democrazia nella Chiesa; la presenza dell’altra metà della Chiesa là ove si prendono le decisioni; l’affidamento alle Chiese locali della nomina dei vescovi latini; la revisione fattuale del modo di esercizio del primato petrino e, dunque, normative per inverare la collegialità episcopale e poi concretizzare strutturalmente una Chiesa definita “popolo di Dio che cammina nella storia”.

D’altronde, alcuni temi – l’urgenza della questione donna-Chiesa; l’esigenza di una Chiesa povera e per i poveri; le nuove visioni della sessualità; le biotecnologie frutto di conoscenze scientifiche cinquant’anni fa inimmaginabili (in merito non potrebbe evitare di rivisitare criticamente il modo con cui il magistero papale, anche di Francesco, considera il fine-vita); l’emergenza etica imposta dal rischio di distruzione dell’ecosistema del pianeta; il Sud del mondo che, tramontata la primogenitura europea, sta diventando il baricentro del Cristianesimo; il mescolamento inarrestabile di popoli di varie religioni; la crescente consapevolezza della laicità… – ai tempi del Vaticano II non esistevano affatto, o erano in scala assolutamente ridotta. E molti di questi temi stanno, in filigrana, nei discorsi e nelle scelte di papa Francesco. Ed esigono soluzioni audaci, che solo un Concilio potrebbe infine osare.

In attesa del soffio dello Spirito

Qualcuno obietta che, con l’attuale episcopato, in massima parte composto da prelati scelti da Wojtyla e da Ratzinger, l’auspicato Concilio sarebbe un boomerang, in quanto dominato dai conservatori. Vorrei ricordare, allora, che anche la maggioranza dei vescovi entrati al Vaticano II erano pacelliani; ma la dinamica conciliare li trasformò. Del resto, il “Vaticano III” non sarà – non potrebbe esserlo! – composto solo da vescovi; ad esso, se si vuole inverare la Lumen gentium, dovrebbero prendere parte, in modo non semplicemente decorativo, una schiera di presbìteri, diaconi, monaci e monache, religiose e religiosi, e poi una robusta delegazione di laici, uomini e donne. Inoltre, negli anni di preparazione della futura Assemblea, e durante la sua celebrazione, interventi e dibattiti in internet costruirebbero una rete di straordinaria efficacia, coinvolgente milioni di persone, che favorirebbe un Concilio capace di volare alto.

Ma preparazione e celebrazione del futuro Concilio non saranno una passeggiata: momenti asperrimi emergeranno! Infatti, i “conservatori”, sostenuti dai “tradizionalisti-doc” e dagli “atei devoti” di complemento, si opporranno con tenacia a decisive riforme ecclesiali. E tuttavia – se lo Spirito soffierà! – si affermerà una volontà di radicale ravvedimento evangelico. Perciò mi associo a quanti sperano che Francesco (lunga vita!), o chi sarà vescovo di Roma dopo di lui, convochi la nuova Grande Assemblea. Nell’attesa… urgerebbe riflettere coralmente, con parresìa e responsabilità, su “quale Concilio”, per affermare “che”, per decidere “cosa”. Il tempo stringe.

* Vaticanista per la rivista Confronti e per i quotidiani Alto Adige e Trentino. E’ stato corrispondente dell’Ansa da Mosca e da Tel Aviv.

– – – – – –
[1] Questa ipotesi Sandri l’ha sviluppata compiutamente nel volume: Dal Gerusalemme I al Vaticano III. I Concili nella storia tra Vangelo e potere, Il Margine, Trento, 20142, pp. 1178.