Expo, quel logo ‘made in Italy’ sull’omofobia spacciata per forma di pensiero

Dario Accolla
http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/daccolla/

La questione del logo dell’Expo 2015 è l’ennesimo esempio del clima culturale che si respira nel nostro paese sotto il renzismo imperante. I soggetti più critici rispetto a come è stata trattata questa vicenda, venuta alla luce grazie all’attento monitoraggio di Gay.it, insistono sul fatto che non ha senso attaccare l’Esposizione Universale di Milano: la responsabilità politica del patrocinio al convegno omofobo – capitanato dai soliti Adinolfi & Miriano, novelli “gatto e la volpe” della presunta difesa della famiglia italiana, anche se non si è capito da chi o da cosa – dovrebbe ricadere interamente sulle scellerate decisioni di Maroni. Non sono d’accordo. Il logo di Expo rappresenta il made in Italy in un settore strategico come quello dell’alimentazione. Regione e altre istituzioni hanno la facoltà di usare quel logo. Se esso viene usato per pubblicizzare qualsiasi oscenità, il problema non solo è politico ma investe, proprio in virtù di chi ne detiene il possesso, il marchio stesso in quanto tale.

Cercherò di semplificare questo concetto: ricordate il proprietario di un famoso marchio aziendale legato alla pasta, prodotto tipico italiano, che esordì con frasi omofobe ad un altrettanto noto programma radiofonico? La società civile minacciò il boicottaggio, negli Stati Uniti e in altri paesi dove le questioni di rispetto delle minoranze sono prioritarie nella percezione della cultura collettiva. Le dichiarazioni di Barilla ricaddero interamente sulla sua azienda. Nei paesi civili certe posizioni antigay, a ben vedere, non hanno cittadinanza.

Avrei, per altro, potuto fare lo stesso esempio citando un ipotetico convegno sulla discriminazione femminile, se non fosse che l’incontro patrocinato da Maroni ha come relatrice proprio la già citata Costanza Miriano, cattolica di ferro, icona di ogni sentinella possibile e autrice di ‘best-seller’ quali Sposati e sii sottomessa, in cui si auspica un ridimensionamento della donna nella società di oggi. Adesso capisco pure che in Expo si parli di nutrizione, ma la falange omofoba da essa patrocinata dovrebbe spiegarci se pensa che il ruolo delle donne debba essere limitato ai fornelli e, visto che c’è, da quali finocchi vuole proteggere la società: è dimostrato quanto sia quelli vegetali, sia quelli in carne ed ossa siano salutari per il benessere di tutti e tutte. Un nome su tutti? Alan Turing.

Ritornando al made in Italy e ad Expo, il problema del logo, usato per far capire evidentemente che nel nostro paese accanto a mozzarelle e ortaggi si produce anche una discreta dose di omofobia – e sarebbe interessante capire come la pensano Oltralpe i nostri partner commerciali in merito (ricordiamo ancora una volta Barilla) – si proietta sulla qualità dei nostri governanti. Perché diciamocelo chiaramente: se il presidente della regione più importante, dal punto di vista economico, si permette il lusso di avallare (anche con la sua presenza) un convegno di estremisti è per il fatto che in Italia la politica continua ad essere largamente assente sulla questione dei diritti Lgbt. Prova è il fatto che le civil partnership, giusto per far parlare i fatti, che dovevano essere approvate entro settembre scorso sono imprigionate in chissà quale castello di chiacchiere, raggiungibile dal solito percorso di buone intenzioni che, si sa, lastricano solitamente la strada che conduce all’inferno. Almeno secondo la saggezza popolare.

Facebook expoIndicativa, per altro, la risposta di Expo sulla pagina ufficiale di Facebook (poi rimossa) che sembra mettere sullo stesso piano la lotta per i diritti e le discriminazioni stesse: “Expo è una piattaforma di confronto che non produce sintesi ma lascia spazio a posizioni diverse e spesso antitetiche tra loro”. La filosofia che anima la legge voluta dal renziano Scalfarotto, a ben vedere, che fa dell’omofobia una forma come un’altra di pensiero.

Adesso, se la nostra classe dirigente vuole essere davvero al passo con le altre democrazie internazionali, deve avere l’autorevolezza di far eliminare il logo dell’Expo da una manifestazione che dipinge i gay come contrari alla famiglia e come minaccia per la società. Ma da un governo, che pure detiene potere sul marchio in questione, e che è ostaggio di Alfano sui diritti civili – e retto da un Pd i cui esponenti a livello locale votano per mozioni omofobe – non possiamo aspettarci niente di diverso che vedere spacciato l’odio contro un’intera categoria sociale come un prodotto della “civiltà” del nostro paese.

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Expo e incontro omofobo: la protesta corre sul web

www.gay.it

La Regione Lombardia non intende indietreggiare. Secondo quanto riporta Repubblica, mentre Maroni continua a non commentare, la risposta del Pirellone è affidata all’assessora alla Cultura Cristina Cappellini, che aprirà i lavori del convegno sulla cosiddetta famiglia naturale previsto per il 17 gennaio e pubblicizzato con il logo Expo . “Il convegno promosso legittimamente e convintamente da Regione Lombardia – ha dichiarato Cappellini – ha come unico scopo quello di riflettere sul valore e sul futuro della famiglia naturale, che per noi rappresenta il modello cardine di famiglia”.

Intanto la protesta continua sul web e in particolar modo sui social network.
Sulla pagina ufficiale dell’Expo, fioccano i commenti indignati di utenti che chiedono chiarimenti e invocano il boicottaggio, commenti spesso cancellati dagli amministratori della pagina, come denunciano gli stessi utenti. “Una vera delusione…ho già acquistato i biglietti ma dopo la notizia di oggi non posso fare a meno di pentirmi! Spero che facciano di tutto per togliersi dalla sponsorizzazione” scrive Flavia Montinaro, mentre qualcuno fa ironia, come Artemide Almedia Baraldi che scrive: “Buongiorno EXPO omofobo, riposato bene oggi?”.

E c’è anche chi arriva ad augurare il fallimento dell’Esposizione: “Expo2015 è Omofobia. Vi auguro il fallimento”, scrive Emiliano del Vecchio. Alcuni utenti, poi, stanno diffondendo tramite i commenti ai post sulla pagina di Expo il testo della lettera, redatto dai Sentinelli in Piedi di Milano (che potete trovare qui ), da mandare agli organizzatori dell’Esposizione per chiedere la rimozione del logo dalla locandina. Un vero e proprio mail bombing, a cui contribuisce un altro testo, tradotto in inglese, portoghese, olandese, spagnolo e francese (lo trovate qui nel commento di Olivier Lassoie).

Alcune persone hanno contattato direttamente gli espositori italiani. Stefano Arte, ad esempio, ha scritto a Coop e SanPellegrino sulle rispettive pagine Facebook. “Caro Stefano (…) ci teniamo a farti sapere che Sanpellegrino ha scelto di sostenere Expo come opportunità straordinaria di incontro, dialogo e scambio tra nazionalità, culture e tradizioni. Questa è la posizione dell’azienda, che non si associa a nulla che vada in altre direzioni”, ha risposto l’azienda.

Anche Coop ha risposto spiegando che “Coop è partner di Expo 2015 in quanto i temi di questa edizione affrontano questioni che sono in sintonia con i valori Coop (…). “Evidentemente Coop – si legge ancora nella risposta – non può e non vuole controllare tutto ciò che viene organizzato in termini di eventi e argomenti trattati e che espone tra gli altri anche il logo Expo (tra l’altro è chiaro che l’organizzazione Expo decide in piena autonomia su quali eventi possa essere esposto il proprio logo). In ogni caso l’iniziativa alla quale fai riferimento non ci vede in alcun modo coinvolti e riteniamo, peraltro, che non sia in sintonia con ciò in cui crediamo. Grazie di averci contattato”.

Continua anche la mobilitazione. Dopo il presidio indetto ieri dai Giovani Democratici , che si terrà in contemporanea al convegno del 17 in Piazza Città di Lombardia, anche i Sentinelli in Piedi hanno dato appuntamento in piazza per lo stesso giorno, nella stessa piazza.