A scuola il medioevo dei diritti civili di S.Malpezzi

Simona Malpezzi
www.huffingtonpost.it

“Prof, ma cosa sta facendo lei in Parlamento per i diritti?” La domanda è lapidaria e me la fa Ivan, ex studente che incontro in piazza a Milano alla manifestazione contro il convegno organizzato da Maroni sulla famiglia tradizionale. “Lei lo sa vero, che a scuola c’è ancora tanto da fare su questo punto? Non se lo sarà mica dimenticata?”. Non è una provocazione la sua, ma la cruda constatazione di chi, con l’idealismo di un diciottenne, sta cercando di fare qualcosa dentro le scuole.

Ha ragione Ivan. I fatti che stanno accadendo nel nostro paese rispetto a temi rilevanti come i diritti civili indicano una inquietante virata a destra. Il fenomeno assume connotati preoccupanti soprattutto nelle scuole dove assistiamo ad un pericoloso consolidamento di politiche oscurantiste su argomenti cruciali come la lotta all’omofobia. Il problema più grave è che questa battaglia viene compiuta in nome della famiglia tradizionale come se insegnare ai ragazzi a rispettare l’altro, a vivere serenamente la diversità e a conoscerla fosse un pericoloso intralcio alle unioni composte da un uomo e una donna. Questo è evidentemente un assioma grottesco, soprattutto, quando viene proposto da chi dovrebbe impegnarsi per promuovere integrazione e inclusione e per impedire il diffondersi di un clima di odio che nuoce terribilmente ai nostri studenti e alla vita delle scuole.

La campagna di boicottaggio verso qualsiasi tentativo di spiegare l’omosessualità in classe che va di pari passo con una serie di iniziative pubbliche, sempre più numerose, a sostegno delle “unioni normali” sta creando un terribile clima. Di famiglia tradizionale si deve parlare ma nessuno può fare domande oppure criticare senza essere tacciato di essere un pericoloso sovversivo che mina i valori su cui si fonda la famiglia stessa. In questo senso, c’è qualcuno che si è stupito che al Convegno organizzato nei giorni scorsi con il patrocinio della regione Lombardia che, in teoria, dovrebbe essere espressione di tutti i cittadini e non solo di quelli “tradizionali”, ad un giovane studente sia stato impedito di parlare? La famiglia è una costruzione sociale, legale e normativa: sono le leggi che definiscono quali rapporti di sesso sono familiari oppure no.

Famiglia può essere una compagna, amici se non si hanno parenti oppure se quelli che si hanno non fanno parte della nostra vita, una nonna, una madre o un figlio. La famiglia si misura sull’affetto, sul sentirsi parte di qualcosa, sull’essere riconosciuti, semplicemente amati. Grazie alle battaglie per i diritti civili l’idea di famiglia è cambiata ed oggi non si fonda più esclusivamente sulla riproduzione. Affermare questo principio non significa attaccare l’unione tra un uomo e una donna ma semplicemente stabilire che tutte le affettività reciproche vanno riconosciute in nome della laicità dello stato e del rispetto per i diritti di tutti i cittadini nessuno escluso. O, ancora più semplicemente, per il rispetto che si deve ad ogni essere umano soprattutto se, come tutti, contribuisce al vivere comune.

Ed è terribile che a difesa di questa presunta naturalità ci siano anche quelli che oggi trattano come fossero prostitute due giovani cooperanti sequestrate per ben due mesi e che sono costrette a difendersi, chiedendo perfino scusa, e l’immagine che in qualche modo va diffondendosi di loro è quella di due sciocche ragazze, magari facili che proprio per causa della loro stoltezza hanno meritato la sorte che è capitata loro in un disgustoso miscuglio di sessismo e populismo che non è degno delle istituzioni che dovrebbero rappresentare un paese civile.

Rabbrividisco al solo pensiero di uno slogan che associa la diversità all’attacco alla società e ai valori su cui si fonda il nostro vivere insieme. E gli effetti di questa pericolosa campagna si cominciano a sentire: un insegnante omosessuale costretto a dimettersi e un alunno preso a calci da un professore che gli avrebbe urlato “essere gay è una brutta malattia”. Ecco, questi sono i valori fondanti della nuova destra che, utilizzando come grimaldello paura e ignoranza, cerca di scardinare quel poco di vivere civile che ci resta nel tentativo di procedere alla spregiudicata e violenta scalata del nostro paese.

Siamo al Governo, abbiamo il dovere che non è solo morale di impedire che questo messaggio passi ma, ancora di più, di lavorare a politiche vere, iniziative normative concrete contro questa misera ondata oscurantista per fare in modo che i diritti vengano riconosciuti e che, nelle scuole, tutte le campagne a sostegno dell’identità di genere, contro violenza e omofobia vengano promosse. È un impegno che il Miur e la presidenza del Consiglio devono assumere con una dichiarazione di intenti chiara e inequivocabile. Come mai nessuno si sta domandando perché nelle scuole di Perugia sia arrivato tra le mani degli studenti un manuale di autodifesa dalla teoria del genere?

Chi ha prodotto questo squallido pamphlet indica sul suo sito anche la lista nera degli asili gay friendly da evitare. E poi pretendiamo di insegnare agli altri come vivere diventando i difensori della civiltà, ultimo baluardo contro la barbarie? A Verona il consiglio comunale ha approvato una mozione per monitorare i progetti di educazione sessuale e affettiva nelle scuole cittadine. Quanto abbiamo ancora intenzione di tacere? Questo è un attacco senza precedenti all’educazione laica a cui un governo che vuole dirsi davvero tale non può che opporre una resistenza fondata sul rispetto della legge e sullo stanziamento di risorse per progetti e idee.

Secondo un’indagine effettuata da Studenti.it il 58 per cento degli studenti italiani ha subito o ha direttamente assistito a episodi di omofobia. Nello specifico, il 38 per cento afferma di essere stato testimone di episodi di discriminazione e di omofobia da parte di studenti verso altri studenti, il 12 per cento riferisce di aver assistito a episodi di questo genere da parte di professori ai danni degli allievi e l’8 per cento dichiara di esserne stato vittima in prima persona. Dobbiamo colmare un vuoto legislativo e farlo il prima possibile e sostenere le associazioni che in questo momento “si sentono terribilmente sole” come dichiarato da Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia. Chi di noi non si impegnerà in questa battaglia avrà perso la sfida dentro le istituzioni, perché il primo compito della politica intesa come impegno civile è far stare bene le persone, farle sentire parte integrante di una comunità, farle riconoscere tra loro, mettere a loro disposizione tutti gli strumenti per conoscere e quindi per essere libere. Lo dobbiamo a tutti i ragazzi come Ivan. E alle loro domande lapidarie.