L’uomo dei diritti: Sergio Mattarella, il ‘delfino’ della Balena Bianca di F.DiFusco

Post di Flavio Di Fusco per [L]Arcobaleno
www.huffingtonpost.it

Ecumenico. Forse fin troppo. Democristiano, tanto democristiano. Due facce della stessa medaglia. Pare sia sembrato meglio non deludere e scontentare nessuno, almeno per ora. Da buon arbitro, quale il presidente Mattarella ha professato di essere, ha ringraziato le più alte cariche del nostro paese, ogni tipo di istituzione: dal senatore di diritto Giorgio Napolitano alla Corte Costituzionale, dal Governo al Parlamento.

Dopo aver per un attimo perso il quarto foglio del suo discorso di insediamento – piccola gaffe dovuta sicuramente all’emozione del momento e dalla quale il presidente si riprende brillantemente – continua commentando a braccio “sarebbe mancata una parte fondamentale”: oltre che elogiare la massiccia presenza di giovani che siedono in quegli stessi scranni dove, legislature prima, sedeva la creme de la creme delle case di riposo di tutta Italia, lancia un monito a deputati e senatori, garantendo sì la sua imparzialità da Capo di Stato e garante della Costituzione, ma con la postilla che gli venga garantita anche la correttezza di tutti i giocatori.

Insomma, il presidente Mattarella è stato chiaro: appurato il suo ruolo da garante delle istituzioni e del gioco democratico, qualora il Parlamento – durante l’espletamento delle sue funzioni – si arroghi facoltà che ad esso non competono oppure produca atti palesemente viziati di incostituzionalità, il presidente non esiterà ad esercitare le proprie prerogative che la Costituzione gli attribuisce, in special modo il rinvio delle leggi.

Dopo un timido Giorgio Napolitano che in nove anni ha rinviato alle Camere soltanto una legge – nonostante molte altre, palesemente illegittime, da lui stesso promulgate, sarebbero state bocciate poi dalla Consulta – la presidenza della Repubblica sembrerebbe riappropriarsi della propria peculiare prerogativa di origine regia.

I riferimenti alla crisi economia che da sette anni imperversa sono stati il suo primissimo pensiero, così come le difficoltà dei cittadini. La dignità della persona umana e della funzione nobilitatrice del lavoro – nell’accezione costituzionale del termine – sono state il filo conduttore dell’intero discorso di insediamento. Un pensiero è andato anche ai giovani, quegli stessi giovani che siedono in parlamento nelle fila dell’uno più che dell’altro schieramento; un paese in grado di risollevare le proprie sorti esclusivamente attraverso il contributo dei giovani, l’entusiasmo del nuovo, la voglia di innovare. Il rispetto della Costituzione come caposaldo dell’intera società, l’eguaglianza sostanziale dei cittadini agli occhi delle istituzioni.

L’auspicio che le modifiche costituzionali sulla seconda parte della nostra carta comune, volte a renderla più attuale, siano il frutto della dialettica democratica e siano dettate dalla razionalità. Un orologio deve essere messo a punto dal suo orologiaio, non è possibile che venga aperto e subisca ‘stupri’ di vario genere; così come già successe con la riforma del Titolo V nel 2001. La democrazia come meta da individuare e raggiungere giorno per giorno e non darla mai per scontata, recepita o appresa.

E dopo degli adeguati e giusti riferimenti volti ad elogiare la Resistenza – frutto del coraggio e del sacrificio di milioni di Italiani che liberarono il nostro paese dal nazifascismo – ed a stigmatizzare il fenomeno mafioso ed i rapporti di questo con la società civile, il presidente ricorda ai Parlamentari l’importanza della libertà, intesa anche e soprattutto come sviluppo dei diritti civili nella sfera sociale, personale ed affettiva.

Può essere sembrato strano che sia stato proprio un democristiano ad ammonire il Parlamento su un argomento tanto “delicato” e su cui il legislatore sta avanzando con i piedi di piombo; vi è però da rammentare che il presidente Mattarella, prima ancora di essere stato un esponente della grande Balena Bianca, è un giurista. Un giurista che nel 2008 solidarizzò e sostenne i parlamentari sotto attacco per la legge (o forse meglio definirla “aborto di legge”) sui diritti delle coppie omosessuali, definita allora da egli stesso come “umanamente giusta”.

Un giurista che, da ultimo come giudice della Corte Costituzionale, ha contribuito alla sentenza 170/2014, attraverso la quale la Corte – sulla scia della sentenza 138/2010 – invita ancora una volta il legislatore ad esprimersi ed a colmare un palese vuoto normativo in merito alla tutela affettiva delle coppie dello stesso sesso; tutela che non è costituzionalmente esclusa sotto forma di matrimonio (come molti erroneamente desumono dal disposto della sentenza del 2010), ma una tutela che semplicemente deve essere il frutto di una dialettica in sede legislativa piuttosto che il prodotto di una scelta giudiziaria.

Fermo restando la facoltà della Corte di poter dichiarare illegittima tale previsione, ça va sans dire. Per il momento però, la disposizione di cui all’articolo 29 della nostra Carta Costituzionale parrebbe essere abbastanza ampia da poter ricomprendere tutti e ciascun tipi di famiglia naturale, perché in tutti i casi sempre e comunque si tratta di natura.

Ovviamente ciò senza tener conto dell’evoluzione sociale e dell’ondata di civiltà che ha investito i tribunali del nostro paese e le amministrazioni comunali di ogni dove d’Italia che, rispetto al Parlamento, stanno compiendo passi da gigante nella direzione in cui si sta muovendo l’intero occidente mondiale. Un uomo vicino a Cardinali e Vescovi, stretto amico di Papa Montini e che, a tutt’oggi, può giovarsi del sostegno della Cei, almeno a parole pare essersi dimostrato molto più all’avanguardia di liberali progressisti e sinistroidi integerrimi. Il presidente raccoglie parecchi consensi in Vaticano, ma l’ala conservatrice, però e fortunatamente, non si fida.

Ancora una volta ci troviamo tutti a tirar precocemente le somme ed a commentare soltanto parole, speriamo possiamo passare ai fatti. Al più presto. Alla luce del cosiddetto enlargement of functions che ha caratterizzato i mandati di Napolitano, che Capo di Stato dovrà essere Sergio Mattarella?

Probabilmente se limitassimo l’esperienza di Napolitano nella parentesi dell’eccezionalità, non recepiremmo un dato fondamentale che caratterizza l’evolversi della forma di governo italiana e del sistema politico italiano. È al di fuori di ogni ragionevole dubbio che Napolitano si sia trovato ad agire in circostanze dettate dall’eccezionalità per la frantumazione del quadro politico bipolare e la tripolarizzazione del sistema, e quindi è intervenuto in maniera ingente rispetto ad altri presidenti, rendendo talora legittime critiche da parte di coloro che hanno ritenuto abbia esorbitato dai suoi poteri che la Costituzione gli attribuisce. È oramai da un paio di decenni che tutti i costituzionalisti rilevano questa crescita del ruolo e delle funzioni del presidente della Repubblica.

Il problema, purtroppo, viene in rilievo quale più generale: l’evoluzione storica ha dimostrato come la figura del presidente della Repubblica sia mutata a tal punto da divenire destinatario di una sorta di “legittimazione carismatica popolare”, da parte di un elettorato che – sfiduciato del sistema politico – vede nel presidente della Repubblica quel momento di sintesi fra l’incertezza e la sfiducia; basti pensare al rifiuto del presidente Napolitano di emanare il decreto legge del Governo volto ad impedire l’interruzione della nutrizione naso-gastrica dei malati in stato vegetativo; ciò non perché il dl fosse costituzionalmente viziato d’illegittimità ma perché violava il decreto emesso dalla Corte d’Appello Civile di Milano con il quale il signor Beppino Englaro era stato autorizzato ad interrompere l’alimentazione forzata della figlia. Il presidente della Repubblica, quindi, si è fatto portatore di quelle istanze di tutela della libertà dei singoli che hanno prontamente legittimato la sua figura ed il suo operato.

Tutto ciò fa del presidente della Repubblica più della figura meramente rappresentativa che la Costituzione formale richiederebbe.

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Lgbt, il passo indietro di Mattarella

Danila Giardina
L’Ora Quotidiano – 3 febbraio 2015

‘’Ho pensato a quanti di noi sono ignoti e restano ignoti: assenti dal linguaggio delle istituzioni come se non esistessero’’. Delia Vaccarello, ex giornalista palermitana de L’Unità, scrittrice, ma soprattutto attivista del movimento Lgbt, è delusa dal discorso di Sergio Mattarella che al di là di un vago cenno ai ‘’diritti civili’’ e alla sfera ‘’affettiva’’ delle persone, nei trenta minuti del suo intervento alle Camere, non ha mai fatto un riferimento esplicito al riconoscimento dei diritti civili delle persone omosessuali, così come ormai avviene nella maggioranza dei Paesi europei.

Quale giudizio esprimi sul discorso del neo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sul tema dei diritti della comunità Lgbt?

La mia valutazione è prima di tutto da giornalista e scrittrice. E’ una osservazione di carattere lessicale, intanto. Il presidente Napolitano già due anni fa anno durante il ‘’Palermo Pride’’ nazionale fece affermazioni coraggiose: con chiarezza utilizzò concetti come orientamento sessuale e identità di genere, asserendo che venivano dall’Europa e anche se non noti a tutti, chiarivano (e nominavano) diritti civili e d umani. Oggi ascoltiamo un discorso in cui invece si parla di famiglia al singolare, come risorsa della società. Mattarella cita le comunità straniere, i disabili, le discriminazioni nei confronti delle donne, il lavoro, i giovani. Non individua né la questione con il suo nome, né gli attori, i protagonisti di un’autentica emergenza sociale: e cioè lesbiche, gay, transessuali, bisessuali, intersessuali e queer. Non ci nomina.

In un passaggio però il capo dello Stato fa cenno alla “liberta’ come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e ‘’affettiva’’: è comunque un segnale?

La sfera sociale ed economica non si riferisce certo a gay, lesbiche e trans: sarà la questione emergente dei nuovi poveri scaturente dalla crisi o il problema di chi rivendica la cittadinanza, come i migranti. Il riferimento più vicino è ‘’affettivo’’, ma è di una tale vaghezza… Perché potrebbe essere anche la risposta ad una richiesta di riconoscimento di diritti per le famiglie allargate o ricomposte. Pur ammettendo che voglia parlare di noi, come comunità glbtqi, non nominando gay, lesbiche e trans, li confina in una dimensione di mera affettività: una interpretazione di stampo cattolico che esclude la sessualità dalle possibili relazioni fra persone dello stesso sesso. Questa impostazione in Italia non è stata di nessun aiuto nel cammino per il riconoscimento dei diritti civili delle persone glbtq. Nel termine orientamento sessuale l’aspetto ‘’sessuo-affettivo’’ è completo, ma ignorato nel discorso del neopresidente.

Cosa ci aspettiamo allora nel 2015 dal primo presidente della Repubblica palermitano, dopo queste parole?

Subito dopo il presidente ha parlato di Unione Europea: avrebbe potuto agganciarsi alle tante carte e documenti ufficiali che riconoscono, insieme all’azione del Consiglio d’Europa, diritti e tutele alle persone glbtq. Sarebbe stato almeno chiarificatore: mi aspettavo un riferimento a quanto ha prodotto l’Europa fino ad ora come spunto propositivo di un’azione politica, o almeno di una intenzione. Certamente è un passo indietro, anche a livello lessicale, per i risvolti simbolici che implica.

In un tuo post su facebook, pubblicato subito dopo il discorso di Mattarella, citi ‘’come accenno a nuove sensibilità il cagnolino con il vestitino rosso nel cortile del Quirinale’’: una battuta un po’ troppo caustica?

No, non è una battuta. Chi ama gli animali, come dimostra un’ampia letteratura, sviluppa una grande sensibilità verso chi è debole o, nel nostro caso, povero di diritti. Quando ho visto il saluto al milite ignoto ho pensato a quanti di noi sono ignoti, cioè ‘’non noti’’, ‘’invisibili’’, e come ci sia bisogno di essere riconosciuti come risorse di questa società. Da palermitana davanti ad un presidente palermitano, il discorso mi ha provocato brividi ed emozioni per il rispetto nei confronti delle istituzioni. Il riferimento alla Resistenza mi ha particolarmente emozionato, perché fino a 31 luglio ho scritto sull’Unità, giornale fondato da Gramsci e diffuso in clandestinità. Un giornale che ha dato voce alla questione omosessuale con il coraggio di chi sa interpretare le emergenze dell’oggi. Un giornale che oggi non è più in edicola. Se la ferita resta aperta per la mancanza di riconoscimento delle persone Lgbt, l’emozione ha il sopravvento perché sono comunque con orgoglio parte di questo Stato’’.