Podemos, la Spagna in marcia per il cambiamento di S.Forti

Steven Forti
www.micromega.net

Oltre 300 mila persone, secondo gli organizzatori, hanno invaso pacificamente Madrid sabato scorso al grido di “Sí se puede” e del “Pueblo unido jamás será vencido”. Moltissime le bandiere repubblicane spagnole e non poche quelle greche, accanto a quelle viola di Podemos, tra la plaza de Cibeles e la Puerta del Sol, la piazza resa famosa internazionalmente dalla acampada del movimento del 15-M nel maggio 2011.

La Marcha por el cambio, ossia la “marcia per il cambiamento”, convocata da Podemos è stata un successo, al di là della solita divergenza sul numero reale dei partecipanti (la polizia ne ha contati 100 mila e El País 158 mila). I dirigenti di Podemos hanno lanciato un messaggio chiaro: non siamo qui per protestare, ma per vincere le elezioni e cambiare la Spagna.

Nei discorsi dei dirigenti Luis Alegre, Carolina Bescansa, Juan Carlos Monedero, Iñigo Errejón e soprattutto Pablo Iglesias [qui il suo discorso] – acclamato al grido di “Presidente! Presidente!” – c’è stato quel mix di Laclau e di Gramsci adattato al contesto spagnolo: la costruzione di un discorso politico che unisce i concetti di egemonia e di nazional-popolare a quello di populismo, figlio delle esperienze progressiste latinoamericane. Molti i richiami ad un passato vicino e lontano a cui guardare (la Spagna repubblicana, l’antifranchismo, il movimento del 15-M: il DNA di Podemos, secondo Iglesias), molti i debiti contratti con tanti movimenti e lotte in corso, moltissimi i cenni ad un futuro da conquistare da parte di un popolo che si è finalmente risvegliato. Monedero è stato esplicito a questo riguardo, citando i versi di Federico García Lorca e León Felipe.

I punti chiave sono stati quattro. Uno: porte aperte a tutti color che vogliono combattere la “casta” e conquistare le istituzioni per metterle al servizio della gente. Come ha detto Errejón: “Non importa da dove venite e chi abbiate votato, ciò che importa è dove vogliamo andare”. Due: il protagonista della manifestazione e del cambiamento non è Podemos, ma la gente. Ossia, la responsabilità è di tutti noi perché le cose le cambiamo insieme. Tre: ci vuole passione per far sì che i nostri sogni diventino realtà. Nelle parole di Iglesias, “Sogniamo, ma i nostri sogni li prendiamo sul serio”. Quattro: ci sono alternative e la Grecia di Tsipras ne è una dimostrazione. È sempre Iglesias a renderlo esplicito: “Il vento del cambiamento comincia a soffiare in Europa. Chi diceva che un governo non poteva cambiare le cose?”. E ancora: “Ciò che ora è in gioco in Europa è la democrazia. La sovranità europea non è a Davos o nel Bundesbank: è dei cittadini. Sogniamo un’Europa della gente e dei popoli.”

Una campagna elettorale lunga un anno

La Marcha por el cambio di sabato scorso è stato il primo vero atto politico di massa che ha aperto il 2015, un anno estremamente complesso per il sistema-Spagna. Può davvero succedere di tutto. La campagna elettorale sarà ininterrotta: il 24 maggio ci saranno le elezioni municipali e regionali (in 13 regioni su 17), mentre a novembre – o al massimo a gennaio, se Rajoy cerca di posticipare fin dove la legge glielo consente – si terranno le politiche generali. Per complicare ancora di più il panorama, nelle scorse settimane si sono annunciate le elezioni anticipate in due regioni chiave: l’Andalusia, storico feudo del Partito socialista, e la Catalogna, da due anni al centro dei riflettori internazionali per la questione dell’indipendenza.

In Andalusia si vota subito, il 22 marzo, e Susana Díaz, giovane ed energetica baronessa socialista si gioca il tutto per tutto: ha rotto l’alleanza di governo con Izquierda Unida (IU) con l’obiettivo di essere riconfermata, sconfiggere il Partido Popular (PP), liberarsi della “zavorra” di IU e, soprattutto, fermare la preoccupante – per i socialisti – ondata Podemos. Díaz, che aspira anche a guidare il PSOE a livello nazionale sostituendo l’attuale segretario Pedro Sánchez e che ha deciso l’anticipo elettorale pochi giorni dopo il grande meeting dato da Pablo Iglesias a Siviglia, vuole battere sul tempo Podemos, che è ancora poco organizzato nella regione. Nei sondaggi della settimana scorsa viene dato come terza forza con il 18,9% dei voti, il doppio di IU, mentre il PSOE e il PP otterrebbero rispettivamente il 30,6 e il 27,8%.

Le elezioni della segreteria regionale andalusa, difatti, sono state posticipate a dopo il 22 marzo, al contrario delle altre regioni dove nelle prossime settimane si eleggeranno i dirigenti regionali del nuovo partito, atto conclusivo della costruzione della struttura di Podemos, dopo l’elezione del Consejo Ciudadano nazionale ad ottobre e dei consejos municipales a gennaio. Podemos si trova così a dover affrontare una prima dura battaglia fuori programma: a febbraio si terranno le primarie per eleggere la capolista che sarà, quasi sicuramente, Teresa Rodríguez, l’europarlamentare proveniente dalle file di Izquierda Anticapitalista (IA) che aveva guidato con Pablo Echenique, altro eletto a Bruxelles, la lista opposta a quella di Iglesias all’Asamblea Ciudadana di ottobre.

Il caso catalano è molto diverso. Lì le elezioni regionali si terranno il 27 settembre, dunque dopo il grande test di maggio e prima del momento clou che saranno le politiche generali. In Andalusia il PSOE lotterà per evitare una pasokizzazione, mentre in Catalogna la questione centrale è quella dell’indipendenza con tutti i suoi annessi e connessi. Il governatore Artur Mas tenta l’ultima carta per restare in sella e guidare il procés soberanista, pressato dal centro sinistra indipendentista di ERC – che spera nel sorpasso e spinge per una dichiarazione unilaterale di indipendenza –, attaccato dai partiti anti-indipendentisti (PP, Ciutadans) e da chi cerca il dialogo con Madrid e una soluzione federale al problema catalano (PSC, ICV-EUiA) e dall’irruzione di Podemos. In Catalogna Podemos è stato un fulmine a ciel sereno: distanziandosi dall’ormai sterile dibattito indipendenza sì/indipendenza no, il partito di Iglesias ha preferito parlare di questioni sociali, proritarie rispetto a quelle nazionali. Il meeting che Pablo Iglesias ha dato a Barcellona poco prima di Natale ha fatto inviperire i settori indipendentisti che si sono resi conto di avere un possibile competitore che mette in crisi i loro progetti. Anche in Catalogna, Podemos può scompaginare lo scacchiere politico regionale: secondo recenti sondaggi può aspirare al terzo posto nelle regionali e al secondo nelle nazionali.

Ma il grande avversario da battere per Podemos, come ripetuto più volte dallo stesso Iglesias anche sabato scorso, è il PP, che in questo 2015 si gioca la maggioranza assoluta. E il controllo di regioni e capoluoghi chiave come Madrid e Valencia, nelle sue mani da oltre vent’anni e dilaniati da ripetuti scandali di corruzione. Come tutta la Spagna – Catalogna inclusa – per altro, tanto che si sta parlando di una Tangentopoli spagnola. La corruzione: una della questioni, insieme alla crisi economica (la disoccupazione è al 23,7%), che più preoccupa i cittadini e un altro fattore che spiega il successo di Podemos. Secondo gli ultimi sondaggi di inizio gennaio realizzati da Metroscopia, a livello nazionale Podemos sarebbe il primo partito con il 28,2% dei voti, superando ampiamente sia il PSOE (23,5%) sia il PP (19,2%), mentre IU-ICV sarebbe solo il quinto partito con poco più del 5%.

Alla speranza, che è il motto di Podemos come lo è stato per Syriza, si oppone la strategia della paura: durissima è la campagna di stampa contro il partito guidato da Iglesias. Non solo però da parte dei mezzi di informazione di destra (ABC, El Mundo, La Razón), ma anche dal filosocialista El País che ha toccato il fondo con i casi Errejón e Monedero, professori universitari di cui sono stati spulciati i curriculum vitae alla ricerca di qualche imprecisione per poter scereditare Podemos. Per ora la strategia della paura non sembra però avere effetto, né dentro né fuori il nuovo partito. Come ha detto proprio Monedero dal palco di Madrid, “al vostro odio noi rispondiamo con il nostro sorriso”.

L’anno del cambiamento per la Spagna

Nella chiusura della campagna elettorale di Syriza, sul palco di Atene, al fianco di Tsipras, Iglesias ha proclamato “Syriza, Podemos venceremos!”, mentre sul profilo di twitter di Syriza si citava Leonard Cohen: “First we take Athens, then we take Madrid”. Insomma, citando e adattando la famosa frase di Carlo Rosselli, potremmo dire “oggi in Grecia, domani in Spagna”.

Madrid, almeno simbolicamente, è stata conquistata sabato scorso. Ora tocca la lunga guerra di posizione delle elezioni, iniziando con le municipali di maggio, dove Podemos ha deciso di non presentarsi con il proprio simbolo, ma di appoggiare piattaforme nate dal basso, come Ganemos Madrid (Vinciamo Madrid) o Guanyem Barcelona (Vinciamo Barcellona), che raccolgono diversi settori della sinistra e dei movimenti delle due metropoli spagnole (da Equo a ICV-EUiA, dal Procés Costituent alla Plataforma de Afectados por la Hipoteca) e che hanno la possibilità, come minimo, di scompaginare le carte in ambito locale.

Le critiche a Podemos non vengono solo dalla destra e dall’establishment, ma anche da alcuni settori della sinistra iberica, a cui il discorso “né destra, né sinistra” o l’ammorbidimento di alcuni punti del programma presentato alle europee del maggio scorso (dall’annullamento del debito alla sua ristrutturazione, ad esempio) non piacciono per niente. La questione resta aperta, ma i contatti internazionali (da Syriza al Front de Gauche francese, dal Bloco de Esquerda portoghese ai governi progressisti latinoamericani), il background politico e culturale dei dirigenti di Podemos (molti hanno militato in IU) e le linee programmatiche presentate fino ad ora (soprattutto il documento economico preparato dai professori Vicenç Navarro e Juan Torres e reso pubblico a novembre) non lasciano dubbi in proposito, tanto che Podemos ha ricevuto l’appoggio entusiasta sia di Thomas Piketty che di Guy Standing nelle loro recenti visite a Madrid.

Podemos parla la lingua di Syriza e della nuova sinistra che sta nascendo in Europa sulle macerie della grande crisi e dell’ottusa cura da cavallo dell’austerità neoliberista: difesa del Welfare State, rafforzamento del settore pubblico, rinazionalizzazione dei settori strategici (telecomunicazioni, energia, alimentazione, trasporti, sanità, educazione…), fine del sistema economico spagnolo fondato sul mattone e sul turismo, riforma del sistema fiscale (con una maggiore tassazione delle grandi fortune, eliminazione della Sicav, nuova tassa del 30-35% sui beni di lusso), lotta contro l’evasione fiscale, aumento del salario minimo, riduzione della settimana lavorativa a 35 ore, abbassamento dell’età pensionabile, reddito di cittadinanza, ampliamento della partecipazione dei cittadini alle scelte politiche, democratizzazione delle istituzioni come il BCE, rinegoziazione del debito pubblico…

Ossia, come ha dichiarato Luis Alegre, candidato alla segreteria di Podemos della regione di Madrid e dirigente vicino a Iglesias: se vinciamo le elezioni vogliamo garantire “fin dal primo giorno che non ci sia nessuno che non possa accendere il riscaldamento, che nessuno sia sfrattato e che non ci sia nessun bambino malnutrito”. Per i paladini dell’ortodossia di sinistra è poco? È lo stesso che ha promesso e ha messo subito in pratica il governo Tsipras, mettendo in discussione la pax europea imposta dalla troika. Quella di Podemos è una sinistra nuova, pragmatica e con la passione e la capacità di cambiare lo status quo creando nuove egemonie e rompendo vecchi tabù. Un’ottima notizia per quest’inizio di 2015.

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Podemos in piazza, il discorso di Pablo Iglesias

Pablo Iglesias
ilcorsaro.info

Che bello, che bello vedere la gente fare la storia!

È emozionante vedere un popolo sorridere a Puerta del Sol. Un popolo con voce di gigante che chiede cambiamento, giustizia sociale e democrazia!

Vedo qui gente dignitosa, vedo qui la speranza di costruire tutti insieme un futuro migliore, vedo qui sognatori. Buon pomeriggio [ripetuto nelle quattro lingue spagnole: castigliano, galiziano, catalano e basco] benvenuti a Madrid!

Bisogna sognare, però sogniamo prendendo molto sul serio il nostro sogno. Puerta del Sol, di nuovo simbolo di futuro, di cambiamento, di dignità e di coraggio!

Due maggio 1808. Non furono i re, né i generali, né i brillanti reggimenti del palazzo reale che si opposero all’invasione [Napoleonica], fu il popolo di Madrid, quello che oggi è sceso in piazza con noi. Quello che comprò con il sacrificio la dignità, di fronte a un’invasione intollerabile. Furono quelli di sempre, che vengono dal basso, gli umili, che si scontrarono con la vergogna e la codardia dei governanti, interessati soltanto a difendere i propri privilegi.

Questa gente valorosa e umile sta nel nostro DNA, e ne siamo orgogliosi!

Più di cent’anni dopo, guardando il balcone sotto quest’orologio [dove fu proclamata la Seconda Repubblica Spagnola], ci furono persone che sognarono una Spagna moderna e democratica, in cui non ci fosse differenza tra uomini e donne, in cui tutti i bambini avessero una scuola pubblica dove andare, in cui l’oscurantismo e l’ignoranza fossero sostituiti per sempre dalla giustizia sociale e dal progresso. Questa gente coraggiosa sta nel nostro DNA, e ne siamo orgogliosi!

Puerta del Sol ha visto questa gente valorosa, umile, gli ultimi, quelli che sempre si esposero per difendere la democrazia e la giustizia quando il totalitarismo e il terrore incombettero sul nostro paese. Questa gente coraggiosa sta nel nostro DNA, e ne siamo orgogliosi!

Quando non c’erano libertà, Puerta del Sol vide giovani studenti e lavoratori giocarsi tutto per la dignità del nostro paese: siamo orgogliosi di questa gente!

Puerta del Sol ha visto il ritrovamento della libertà, e in quel 15 Maggio [2011, manifestazioni degli Indignados] vide migliaia di giovani gridare “Non ci rappresentano! Vogliamo democrazia!”. Questa gente valorosa è qui ora. Siete voi la forza del cambiamento. Grazie di essere qui!

Oggi, a Puerta del Sol, sogniamo, però prendiamo molto sul serio il nostro sogno. Oggi sogniamo un paese migliore, però non abbiamo riempito Puerta del Sol per sognare, ma per realizzare il nostro sogno nel 2015. Bisogna portare avanti i propri sogni, e quest’anno lavoreremo perché arrivi il cambiamento politico, quest’anno cominciamo qualcosa di nuovo, quest’anno è l’anno del cambiamento, e vinceremo le elezioni contro il Partido Popular!

Bisogna sognare e noi sogniamo, però prendiamo molto sul serio il nostro sogno. Atene, Europa, gennaio 2015, anno del cambiamento. Il vento del cambiamento comincia a soffiare in Europa! Meno di una settimana di nuovo governo in Grecia: elettricità gratuita per 300.000 famiglie che non la potevano pagare, sospensione dei processi di privatizzazione dei porti, della compagnia pubblica dell’elettricità e di 14 aeroporti, recupero della copertura sanitaria per tutti i cittadini, riconoscimento della cittadinanza greca a tutti i bambini, indipendentemente dal colore della pelle, riassunzione dei maestri licenziati, smantellamento immediato delle recinzioni che separavano il popolo dal parlamento della gente. E inoltre, un primo ministro che non ha bisogno di giurare in cravatta, e il cui primo atto simbolico è stato di rendere omaggio agli eroi della resistenza contro l’occupazione tedesca.

Chi diceva che non si può? Chi diceva che un governo non può cambiare le cose?

Oggi la Grecia ha un governo del cambiamento. Oggi i governi italiano e francese riconoscono che bisogna porre un limite alla Merkel. Magari sarà lei a trovarsi isolata in Europa. In Grecia hanno perso i suoi emissari: ha perso l’emissario Samaras, e ha perso l’emissario Rajoy, che è andato in Grecia per appoggiare il governo del fallimento. In Grecia finalmente ha vinto il popolo greco!

Oggi sogniamo, però prendiamo molto sul serio il nostro sogno.

In Grecia si è fatto in sei giorni più di quanto abbiano fatto molti governi in anni. Io so che dovranno affrontare difficoltà, so che governare è difficile, però chi sogna seriamente può cambiare le cose, e in Grecia c’è un governo serio, un governo responsabile, un governo che lavora per il suo popolo.

Molti vogliono vincolare il destino di Podemos al destino del governo greco. Appoggiamo i nostri fratelli, però nessuno ha compiuto il loro dovere al posto loro, e nessuno compirà al posto nostro il dovere degli spagnoli. A noi cittadini spagnoli tocca ora essere protagonisti della nostra storia, e sogneremo, però credendo seriamente al nostro sogno.

Che è successo? Che è successo in questo paese? Questa situazione di umiliazione e impoverimento non si spiega solo con il fatto che alcuni abbiano governato male, non si spiega solo con il fatto che alcuni siano negligenti – e lo sono. Il problema è un modello di paese che ha messo lo Stato a lavorare contro la società, una minoranza che ingrossava i suoi conti in banca mentre la maggioranza vedeva deperire i propri. Questa è la corruzione: rubare le istituzioni alla gente.

La corruzione non sono solo gli svergognati che rubano denaro pubblico. La corruzione è che un 1% di ricchi possieda quanto il 70% della popolazione. Da quando è iniziata la crisi, c’è un 27% in più di ricchi: esattamente la stessa percentuale di spagnoli a rischio povertà. Le persone assistite dalla Caritas sono aumentate del 30% dall’inizio della crisi: della stessa percentuale è aumentata la vendita di auto di lusso. Questa è la corruzione!

Le politiche del signor Rajoy non creano lavoro, ripartiscono la miseria. Lavori precari e a tempo per stipendi indegni, questa è la sua ripresa? Il comitato europeo per i diritti sociali ha denunciato che il salario minimo spagnolo non garantisce la vita dignitosa.

Quasi otto milioni di lavoratori guadagnano meno di mille euro, o molto meno. È questa la sua ripresa?

A loro dobbiamo sommare centinaia di migliaia di lavoratori autonomi o falsi autonomi, di piccoli commercianti e imprenditori che si fanno in quattro per arrivare alla fine del mese.

Sono i difensori del totalitarismo dei tagli e dell’austerità quelli che stanno distruggendo la Spagna. Sono loro che distruggono la pace sociale, sono loro gli antisistema; i tagli e le politiche di austerità stanno dividendo il nostro paese in due: quelli che ne hanno tratto beneficio, e quelli che stanno peggio di prima, quelli che stanno in alto e quelli che stanno in basso. Per molto tempo ci hanno fatto credere a delle menzogne, ci hanno fatto credere a quella menzogna secondo la quale le cose funzionano se le cose vanno bene ai più ricchi. Se le cose vanno bene ai ricchi, andranno bene a tutti, se i ricchi sono contenti e li si lascia fare il proprio comodo, la società avanza e tutti ne beneficiamo.

È una menzogna, è una favola che si è trasformata in un incubo, però ora recupereremo il nostro diritto a sognare, a costruire insieme un paese migliore, un paese per la gente!

Solo quando quelli che stanno in basso vogliono, e quelli che stanno in alto non possono, si apre la possibilità del cambiamento. Il cambiamento quelli che stanno in alto lo chiamano azzardo e caos, noi che stiamo in basso lo chiamiamo democrazia!

Che cos’è la democrazia? La democrazia è la possibilità di cambiare ciò che non funziona. Quello che hanno fatto i governi di questo paese non ha funzionato.

Oggi non siamo qui per protestare, siamo qui perché sappiamo che il momento è adesso. Dalla nostra capacità di approfittare di questo momento dipende ciò che succederà a una generazione intera, ai nostri figli e alle nostre figlie, ai nostri anziani, ai nostri fratelli e sorelle, ai nostri giovani, al nostro paese. A tutti loro dobbiamo un paese e un futuro migliore, e per questo siamo qui, non per protestare.

Noi sogniamo, però prendiamo molto sul serio il nostro sogno.

Il compito che abbiamo di fronte, lo realizzeranno gli spagnoli che vogliono il cambiamento, gli spagnoli che vogliono un paese migliore. E sogniamo, certo, pero sogniamo seriamente un paese in cui chi si è visto costretto a partire possa comprare un biglietto di ritorno, dove chi voglia portare avanti un progetto possa farlo senza dipendere dalle banche, un paese dove l’accesso alla casa non si converta in un calvario di tutta la vita, un paese dove non si guadagnino stipendi da fame, un paese dove esistano politiche che difendano dall’esclusione e dalla povertà.

Oggi diciamo a questi aristocratici arroganti, alla casta che insulta e mente: la libertà e l’uguaglianza trionferanno!

Sogniamo, però prendiamo molto sul serio il nostro sogno.

Di che parliamo quando sogniamo un cambiamento? Vogliamo un cambiamento che salvaguardi le pensioni degli anziani che si sono rotti la schiena lavorando, vogliamo un cambiamento che potenzi le nostre piccole e medie imprese e olii il nostro sistema imprenditoriale. Vogliamo che i nostri investimenti in ricerca e sviluppo si equiparino alla media europea, vogliamo scommettere sull’industria innovatrice, sulla sovranità tecnologica, sulla sovranità alimentare ed energetica, vogliamo un cambiamento che apra le porte all’economia verde, per uscire da un modello del “mattone” improduttivo, instabile e precario che solo produce precari e autonomi asfissiati. Vogliamo un cambiamento nel modello energetico, senza sprechi, che scommetta sulle rinnovabili e rompa i monopoli. Vogliamo un cambiamento nel mercato del lavoro, per produrre e competere meglio, anziché rendere più economici i licenziamenti e abbassare i salari. Vogliamo un cambiamento che metta in ordine i conti, per sapere in cosa e come spendiamo. Bisogna ingaggiare una battaglia senza quartiere contro la frode fiscale, perché farlo significa garantire i diritti di tutti.

Sogniamo, però prendiamo molto sul serio il nostro sogno.

Sogniamo un paese in cui nessuno rimanga escluso, in cui tutti abbiano il riscaldamento d’inverno, dove non ci sia una sola famiglia senza un tetto sotto cui passare la notte. Mai più un paese senza la sua gente!

Per questo è necessario dispiegare un piano di riscatto cittadino, che si impegni al massimo nel fermare il dissanguamento e l’asfissia che impediscono la ripresa, bisogna destinare risorse di emergenza nazionale ai settori più vulnerabili ed esclusi. Bisogna ascoltare i premi Nobel e ristrutturare il debito: questa ristrutturazione deve essere rigorosa, solvente e onesta, dev’essere conforme a quella che è la quarta economia dell’Euro, la Spagna.

Ciò che è in gioco oggi in Europa e in Spagna è la democrazia stessa, e davanti al totalitarismo finanziario, noi stiamo con la democrazia!

Qualche giorno fa si sono riuniti al forum di Davos i grandi investitori mondiali. Millesettecento jet privati sono arrivati per discutere del cambiamento climatico. Bisogna ricordargli che la sovranità europea non sta a Davos, non sta nel Bundesbank, non sta nella Troika, non è della Merkel: la sovranità europea è dei cittadini. Ora basta con la sovranità sequestrata, ora basta con governi codardi che non difendono i loro popoli!

Sogniamo, però prendiamo molto sul serio il nostro sogno.

E oggi sogniamo un’Europa dei cittadini, non degli affaristi e delle banche, un’Europa della gente e dei popoli. Permettetemi di salutare alcuni sognatori: questi giovani che hanno riempito le piazze di Maggio, questi giovani esemplari che hanno impedito gli sfratti con i loro corpi, giocandosi la libertà. Questi eroi e queste eroine con il camice bianco che hanno difeso il diritto alla salute e la dignità del lavoro nelle professioni sanitarie. I malati di epatite che hanno dovuto occupare gli ospedali per rivendicare il loro diritto a vivere, questa marea verde che ci ha ricordato che non c’è democrazia senza educazione pubblica di qualità. Questa valorosa classe operaia, lavoratori della AENA, lavoratori della Coca Cola, siete un esempio! Queste nonne e nonni infaticabili che chiamano “yayoflautas” [misto tra yayo, nonnino, e perroflauta, punkabbestia] e che difendendo la propria dignità difendono quella dei loro figli e dei loro nipoti. Queste migliaia di giovani esiliati, che ci stanno vedendo in streaming: vi prometto che costruiremo un paese nel qualche possiate tornare!

Queste donne che ci hanno dovuto ricordare che nessuno ha diritto a decidere dei loro corpi. Quelli che sono stati truffati con i derivati, che ci hanno ricordato come i ladri più pericolosi usano gel e cravatta. Questi studenti che sono stati l’avanguardia della comunità universitaria. Questi lavoratori migranti: nessuno ha il diritto di chiamarvi stranieri in Spagna!

Grazie, grazie a tutti per essere quel movimento popolare senza il quale il cambiamento non sarà possibile nel nostro paese.

Sogniamo, però prendiamo molto sul serio il nostro sogno.

Alcuni dicono che la Spagna è una “marca” [“marca España”, equivalente del nostro “made in Italy”]. Pensano che tutto si possa comprare e vendere. Noi amiamo il nostro paese, che trova le sue radici in una storia di lotta per la dignità. Quelli che credono che tutto si possa comprare e vendere hanno voluto trasformare quel Cavaliere dalla triste figura in una marca, in marketing. Maledetti quelli che vogliono trasformare la nostra cultura in merci! Diceva Antonio Machado, per bocca del suo Juan de Mairena, che quell’hidalgo pazzo era un esempio, un esempio di nobiltà e valore contro l’ingiustizia, diceva che a volte c’è bisogno di pazzi dignitosi che si scontrino con i potenti, c’è bisogno di sognatori valorosi che sappiano sognare un mondo migliore e osino chiamare le cose con il loro nome, c’è bisogno di sognatori che osino difendere gli ultimi, che osino scontrarsi con i primi, servono Don Chisciotte! Siamo orgogliosi di questo sognatore a cavallo, di questo spagnolo universale, non permettiamo che i traditori trasformino il Chisciotte in una marca, non permettiamo che comprino e vendano la dignità e la bellezza, non permettiamo che comprino e vendano i sorrisi. Il diritto della nostra gente a sorridere non si vende, il diritto ad avere scuole e ospedali non si vende, la sovranità non si vende, la nostra patria non è una marca, la nostra patria è la gente!

Hanno voluto umiliare il nostro paese con questa truffa che chiamano austerità. Mai più la Spagna senza la sua gente, mai più la Spagna come marca per gli affari dei ricchi. Non siamo una marca, siamo un paese di cittadini, sogniamo come Don Chisciotte, però prendiamo molto sul serio i nostri sogni. E oggi diciamo patria con orgoglio, e diciamo che la patria non è una spilletta sulla giacca, non è un braccialetto, la patria è quella comunità che assicura che si proteggano tutti i cittadini, che rispetta le diversità nazionali, che assicura che tutti i bambini, qualunque sia il colore della loro pelle, vadano puliti e ben vestiti a una scuola pubblica, la patria è quella comunità che assicura che i malati vengano assistiti nei migliori ospedali con le migliori medicine, la patria è quella comunità che ci permette di sognare un paese migliore, però credendo fermamente nel nostro sogno.

Madrid, Europa, 31 gennaio 2015, anno del cambio, possiamo sognare, possiamo vincere!