Bruxelles e l’orologio greco di C.Musilli

Carlo Musilli
www.altrenotizie.org

Trovare un accordo che permetta alle due parti di salvare la faccia è complicato, soprattutto perché ormai bisogna correre. Dopo l’insuccesso di mercoledì scorso, oggi a Bruxelles i ministri delle Finanze europei si riuniscono nuovamente per cercare un’intesa con il governo Tsipras sul destino della Grecia dopo il 28 febbraio, giorno in cui scadrà il vecchio memorandum siglato con la Troika. Il tempo a disposizione è poco, anche perché alcuni Paesi (come Germania, Olanda e Finlandia) devono ottenere il via libera dei rispettivi Parlamenti per approvare proroghe o nuovi documenti.

Se lo stallo non si sbloccherà, a breve Atene dovrà porsi il problema di come pagare stipendi e pensioni. La bancarotta però non converrebbe a nessuno, perché in quel caso i creditori non rivedrebbero più un euro. Intanto, giusto per aggiungere pressione alle trattative, mercoledì 18 la Bce potrebbe decidere di chiudere la linea di credito d’emergenza (Ela) destinata alle banche greche e recentemente alzata a 65 miliardi.

Il governo ellenico vorrebbe un accordo ponte da qui alla fine di maggio, in modo da riscrivere i patti nei prossimi mesi senza lo spauracchio del default. In generale, le principali richieste dei greci sono cinque. Primo: cancellare il 30% delle riforme previste dal vecchio accordo con la Troika, sostituendole con dieci misure concordate con l’Ocse. Secondo: trasformare i crediti internazionali in bond legati alla crescita del Pil greco e modificare i titoli in mano alla Bce in obbligazioni perpetue. Terzo: ridurre il surplus di bilancio dal 3 all’1,5% nel 2015 e dal 4,5 all’1,5% nel 2016. Quarto: essere autorizzati a emettere titoli di Stato a tre mesi per altri 8 miliardi di euro, necessari a coprire le spese dell’immediato futuro. Quinto: incassare 1,9 miliardi d’interessi maturati dalla Bce su vecchi bond ellenici. Per il momento, su nessuno di questi punti si vedono schiarite.

Intanto, le condizioni dell’economia greca, dopo l’effimera ripresa dei mesi scorsi, sono tornate a peggiorare. Venerdì Eurostat ha fatto sapere che nel quarto trimestre del 2014 il Pil ellenico si è contratto dello 0,2% rispetto al periodo luglio-settembre. Giovedì, invece, i dati sulle entrate fiscali di gennaio hanno evidenziato un buco di un miliardo rispetto alle attese (per una differenza del 23%). Inoltre, secondo JP Morgan, dall’inizio del 2015 sono defluiti dai depositi bancari 21 miliardi di euro e la paura è che nei prossimi giorni le file ai bancomat si allunghino ancora.

Di questi numeri Tsipras non può non tenere conto, ma i dati che più interessano al premier greco sono quelli prodotti dall’austerità. Le cure firmate dalla Troika hanno prodotto negli scorsi anni il crollo verticale del Pil (che ha perso circa un quarto del proprio valore) e un’impennata della disoccupazione dal 16 al 25%. Il debito, invece, è salito dal 125 al 175,5% del prodotto interno lordo.

Altre statistiche decisive dal punto di vista di Atene, ma assai meno note nel resto d’Europa, sono quelle che dipingono il quadro della crisi umanitaria in cui è caduto il popolo greco. Secondo un rapporto delle Università di Cambridge, Oxford e Londra pubblicato l’anno scorso dalla rivista medica britannica The Lancet, in Grecia la mortalità infantile nei primi mesi di vita è aumentata del 43% a seguito dei tagli alla spesa pubblica e al dimezzamento del bilancio della Sanità imposti dalla Troika.

Il Centro ellenico per il controllo e la prevenzione delle malattie parla invece di un incremento del 21% dei bambini morti alla nascita e del ritorno dal 2010 della malaria, oltre alla recrudescenza dell’Hiv per il venir meno dell’assistenza ai tossicodipendenti. Un rapporto di Medici del Mondo della fine del 2013, inoltre, afferma che oltre il 27% della popolazione non riesce più a versare i contributi e si trova senza copertura sanitaria.

Ma com’è stato possibile uno smantellamento simile della sanità, vista la quantità di miliardi garantiti ad Atene dai piani di salvataggio? In realtà, i soldi dei fondi salva Stati (provenienti dalle tasche di tutti i contribuenti europei) sono stati trasferiti in varie tranche alla Banca centrale greca, che a sua volta li ha girati agli istituti di credito ellenici, i quali hanno usato quel denaro in massima parte per pagare i loro debiti con le banche internazionali, soprattutto tedesche e francesi. L’austerità, insomma, tutela alcuni interessi finanziari particolari, ma il suo fallimento rispetto agli obiettivi ufficiali è dimostrato.

A questo proposito, non saranno mai ricordate abbastanza le parole pronunciate l’anno scorso dal danese Poul Thomsen, capo della Troika in Grecia: “Scusate, i nostri calcoli erano sbagliati. Abbiamo usato moltiplicatori scorretti. Non avevamo previsto che l’austerità avrebbe abbattuto i consumi e mandato a picco il Pil. E avremmo dovuto ristrutturare i debiti molto prima”. Come premio, a novembre Thomsen è stato promosso responsabile europeo del Fondo monetario internazionale.