Donna perché piangi? di P.Cavallari

Paola Cavallari *
www.viandanti.org

Ha scritto Papa Francesco: “Tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità. Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo”(EG 83).

Domandiamoci, allora, qual è la realtà italiana a proposito della partecipazione dei laici alle attività di evangelizzazione, pastorali, organizzative, liturgiche ecc. che si svolgono nelle parrocchie e nelle diocesi? E quanti di questi laici sono in quella funzione perché considerati fidati esecutori? E quanti sono invece “cattolici adulti” che sono riusciti a resistere ad una più o meno velata coercizione?

Un arcipelago di cattolici “adulti” – minoranza – sappiamo che esiste, anche se ignorato o sottovalutato dai mezzi di informazione. Ne sono la prova numerose riviste e associazioni, molto dinamiche, coraggiose, vitali.

Dove sono le cattoliche laiche attive?

Affrontando il tema con un’ attenzione alle donne, pongo alcune domande.

– Ci sono in Italia spazi in cui donne sono state coinvolte o in cui sono state accettate nelle comunità cattoliche: in una modalità egualitaria e non paternalistica; con forme rispettose dei loro progetti, della loro operosità, o semplicemente del loro essere?

– Esistono donne in Italia che possono realizzare la loro esperienza cristiana non soffocando l’esercizio della presa di parola in spazi ecclesiali/liturgici (e a quali livelli?); donne a cui sono riconosciute la funzione del diaconato nel senso letterale del termine, in quanto hanno assunto la presa in carico di alcuni compiti? Intendo non solo servizi di “manovalanza” (quella zona opaca che papa Francesco ha chiamato servidumbre, “servitù”, potremmo tradurre) ma servizi di autentica diaconia evangelica?

– Esistono donne che in queste realtà attuano scelte in autonomia, anche in forma sinodale, e si sentono libere di esprimersi senza alcun pregiudizio per il loro genere? Oppure: quanta discriminazione hanno vissuto per essere parte del popolo di Dio femminile? Quanti e quali sussulti e oasi di “discepolato degli uguali” sono invece attivi?

– Esistono e dove sono le donne che esercitano funzioni pastorali / ministeriali dentro la realtà ecclesiale italiana? Donne che hanno riscoperto nel Vangelo e nelle Scritture il proprio desiderio d’amore, che hanno saputo corrispondere al Vangelo con la loro propria memoria di vita, nonchè con la propria singolare ed irripetibile esperienza, e si pongono al servizio non per consuetudini sbiadite ma per un sentire autentico? Esistono e possiamo conoscere le loro voci? o è meglio lasciale avvolte nell’ invisibilità (per un velo voluto da loro stesse)?

– Esistono donne che hanno anticipato i suggerimenti dell’ appello del papa o in esso si sono sentite riconosciute e sostenute: ” Più che mai abbiamo bisogno di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito, per proteggere tutti insieme le pecore che si affidano a noi dai lupi che tentano di disgregare il gregge”?(EG 171)

Non si tratta di quote rosa

Ha scritto recentemente L. Scaraffia: “Benché le religiose costituiscano i 2/3 del numero totale dei religiosi, non svolgono alcun ruolo decisionale, e soprattutto non sono ascoltate nelle riunioni in cui si prendono decisioni importanti”. (La Chiesa di Francesco è pronta per una donna cardinale?, Il Messaggero, 9.11.2013).

Introdurre “quote rosa” nel mondo ecclesiale? No, grazie. La logica che reclama incarichi e riconoscimenti di ruoli decisionali e di compiti autorevoli mi pare molto scivolosa. Per due ordini di motivi.

Primo perché accedere a questi incarichi non basta a dare ossigeno alla svolta di cui la Chiesa ha bisogno. Le donne potrebbero essere risucchiate dentro l’orizzonte gerarchico e dei privilegi castali o elitari, nel tourbillon di titoli e ruoli, o nel tritacarne della competizione; come è successo in non poche occasioni in istituzioni pubbliche (politiche e culturali) ed imprese.

Secondo – e soprattutto – perché qui si tratta di Regno di Dio e non di società civile, si tratta di Evangelo e non solo di democrazia. Il vangelo ha suscitato un ribaltamento inaudito, in Gesù. Non si tratta di salire, ma semmai di scendere, di spogliarsi da ogni onore: la meta è “lasciare tutto”. Sogno uomini che lavino i piedi alle donne e donne che li lavino agli uomini, in reciprocità. Sogno quindi uomini ordinati, ministri, che rinuncino ai segni del potere.

È questo un punto decisivo: la prospettiva “rivendicativa” (rivendicazione intesa come tattica e strategia di azione, non nel senso di “domanda di giustizia”) è tristemente fiacca e deforma ancora una volta la nostra vocazione di cristiani. Il discepolato dovrà essere inclusivo, di tutti, dovrà avere come modello solo il Vangelo. Tutti dovrebbero tendere all’abbassamento, alla povertà, ad essere “minimi”; con timore e tremore, porsi nella sequela in Cristo, senza le dorate separatezze introdotte di soppiatto dopo di Lui. (“A tutti [Gesù] si rivolge con la stessa voce solare, come se non ci fosse nè virtuoso, nè canaglia, nè mendicante, nè principe, ma solo, ogni volta, due esseri viventi faccia a faccia, e in mezzo ai due la parola che va e che viene” (C. Bobin, L’uomo che cammina).

Non vorrei essere fraintesa. Ciò non vuol dire che le donne non debbano essere riconosciute per quel che sono e sanno: per le loro competenze nella sfera organizzativa, per le conoscenze, studi, ricerche, nelle facoltà teologiche, nei convegni scientifici, e in ogni situazione in cui il loro sapere, la loro intelligenza, il loro sguardo di donna sono contributi importanti.

Il convegno tenuto al monastero di Camaldoli, Una Chiesa di Donne e Uomini, nell’agosto del 2014, ha brillantemente illustrato come tali “pari opportunità” siano ancora remote. L’ufficialità della Chiesa cattolica non ha dato alla produzione intellettuale delle donne in campo teologico diritto di cittadinanza, essendo considerata pregiudizialmente inadeguata in confronto alla razionalità teologica maschile. La maggior parte dei chierici, “funzionari della Parola”, irride alle pubblicazioni delle teologie femministe o di genere; anche se poi, in realtà, ne ignora i veri e reali contenuti. Dov’è la differenza col mondo secolarizzato

Guardare al volto vero delle donne

Perchè occuparsi ancora di donne? Perché nei loro confronti si cela qualcosa di indicibile. Il non detto si annida nei meandri di una oscura paura del femminile, paura che si mostra con evidenza ogniqualvolta si celebra con enfasi la sacralità del femminile, che si compirebbe esclusivamente nel materno, luogo di sconfinata tenerezza e oblatività. Un’ esaltazione che rivela le tracce di una fissazione, un desiderio di reinfetazione in cerca di protezione ossessiva.

La donna reale, in questa strozzatura, non sarà conosciuta come un Volto altro, come persona che “mi guarda”. Deve restare sempre e solo “guardata”. E lo sarà come madre, nutrimento vitale, fonte inesauribile di pienezza di vita, garanzia di sopravvivenza per quell’ uomo che continua a cullare i suoi bisogni di bambino. Bambino non è più, ma se l’autenticità della relazione è negata, egli non accederà alla maturità, al suo divenire/essere umano.

In questo campo, le posizioni del Magistero della Chiesa sono sorprendentemente convergenti con quelle di una cultura patriarcale del mondo borghese e secolarizzato, le cui forme sono state indagate da tempo nel movimento delle donne. È stato messo a fuoco con lucidità la riduzione della realtà femminile in icone simmetricamente speculari, ma entrambe rigide: la donna santa e la donna tentatrice. Strabismo che secoli di cristianesimo non solo non hanno estirpato (e a implorare tale ribaltamento c’era tutto il messaggio di Cristo), ma hanno sostanziato, inverato. Gesù toccava i volti e le persone toccavano le sue vesti; la Chiesa invece teme il corpo, il contatto, tanto più con le donne.

Il magistero ha impiegato molto tempo a chiedere scusa per avere sottovalutato o ignorato l’ apporto che l’antigiudaismo – perpetrato nei secoli nei suoi riti: si pensi al “Preghiamo anche per i perfidi Giudei…”- ha provocato nella diffusione della ferocia dell’antisemitismo. Soffocata nel proprio intimo, ma nondimeno balbettante, si annida una domanda nell’animo di molti ecclesiastici: tanta violenza contro le donne nel mondo non si nutre anche della cecità della Chiesa per il loro Volto, per il loro volto vero, che abita la creatura che esse sono?

Il Volto di Dio è maschile e femminile

Non possiamo abdicare dal compito di nominare l’usurpazione avvenuta nelle chiese: le attuali guide (il sacerdozio ordinato, esclusivamente composto da soli uomini) si sono impossessate della Vigna, tradendo la forza del messaggio inclusivo di Gesù.

Il Volto di Dio è maschile e femminile. La chiesa, se è Casa del Padre e della Madre, ha il compito di rifletterlo: anch’ essa deve manifestare un volto maschile e femminile. Per cui le donne cristiane non possono non sentirsi chiamate a recuperare l’antica radice, a “restituire” a Dio quello che è di Dio e consegnare alla comunità l’integrità di questo Volto.

La Bibbia è fonte inesauribile come ispirazione e guida; tramite essa crediamo che la donna, nella volontà di Dio, abbia una dignità assolutamente uguale e una natura per nulla deficitaria rispetto quella dell’uomo.” Maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). Ma quanto, nei gesti nei documenti, viene tradita e smentita tale Parola?

Il Soggetto-Uomo non è l’unico, “il” rappresentante dell’umanità; la componente maschile è un polo che deve relazionarsi all’altro polo (evocando in lontananza l’eco dell’armonia degli opposti). Ciò che ci dice Genesi è che a lui è donata dall’origine una natura volta a risvegliare in sè l’apertura all’umano, alla bellezza della creaturalità: ma questa si scioglierà e si illuminerà solo in rapporto a l’Altra, Lei. L’Altro è qualcosa d’oltre un semplice altro uomo, simile, perché l’Altro risplende di una differenza molto più sostanziale, rappresentata dalla Donna.

I due sarebbero complementari? Termine più appropriato di complementarietà è Dialettica: tra i Due fermenta una Dialettica feconda e inesausta che, in obbedienza al testo sacro, non si ricapitola nell’Uno.

Sacerdozio femminile?

Ordinazione delle donne: questione “eversiva”, non solo nei palazzi apostolici ma anche nelle periferie parrocchiali. È incredibile la coltre di nebbia, l’assenza di ragionamenti che avvolge questo tema. Un silenzio greve, spaventato, restio a ragionare sulle motivazioni, diversificate nel tempo, che il magistero romano ha addotto e tanto bene inculcato. Operazione riuscita, visto il silenzio che avvolge il tema. Ma un tale tacere non è forse imparentato con la disaffezione e disillusione che sempre più ricadono nelle assemblee cattoliche?

Molte teologhe cattoliche, all’ eventualità dell’”ordinazione” femminile, risponderebbero che il sacerdozio, così com’è, proprio non interessa loro. L’argomento non dovrebbe costituire un tabù ma una materia su cui confrontarsi, con parresia e umiltà. Il confronto e l’attenzione occorrono soprattutto perché donne e uomini possano percepire che un dialogo su tali temi apre una finestra che irradia un benefico ossigeno.

Per l’animo femminile, dove si annidano da secoli domande sofferte e sincere. Esordiva proprio con questa espressione, nel 1981, il Cardinale Martini al convegno «La donna nella Chiesa oggi», interpretando il disagio di fronte al retorico ritratto della «donna cristiana» (Mulieris dignitatem). Egli si rendeva conto che in tale modello le donne a stento trovano il conforto, poiché esso, smontato, non appare altro che una proiezione dell’immaginario maschile.

Per l’animo maschile, soprattutto a partire dai ministeri consacrati. Sia l’uomo che Dio sono relazione, ma di fatto i membri ordinati della Chiesa, per lo più, si comportano alla stregua di fortezza assediata.

“Il fine del seminario è quello di educare i futuri preti… un’ istituzione totale per forgiare funzionari della religione, dunque molta ideologia sacrale, un continuo insinuare l’esemplarità della vita sacerdotale come separatezza; di conseguenza una sottile, continua violenza repressiva rispetto all’affettività e alla sessualità, con l’ossessivo allontanamento della donna, considerata un pericolo per il sacerdote[…] Importante farne un funzionario garante dell’istituzione religiosa; talmente efficiente da essere in grado di […] nascondere, dietro la brillantezza ammirata dei riti religiosi, una fede tiepida, scarsa, insignificante.” Così Pierluigi Di Piazza, sacerdote friulano, in Fuori dal Tempio. La Chiesa al servizio dell’umanità, Laterza, 2011 (pp. 15-16): una delle poche e coraggiose voci che si sono espresse a riguardo.

Questi pensieri germinano da ciò che il Signore ci ha indicato e cioè che è la spoliazione che libera. Spero si esca dal silenzio.

* Membro della redazione di Esodo, rivista e associazione aderenti alla Rete dei Viandanti