Quartieri “a luci rosse”? Una proposta ipocrita e perbenista di L.Kocci

Luca Kocci
Adista Notizie n. 7 del 21/02/2015

È stato immediatamente ribattezzato “quartiere a luci rosse”. Si tratta dell’idea del presidente del IX municipio di Roma capitale, Andrea Santoro, subito sostenuta e fatta propria al sindaco della città, Ignazio Marino, di riservare alcune vie dell’Eur – periferia sud di Roma, quartiere di uffici e della buona borghesia della città – al libero esercizio della prostituzione. All’interno del quadrilatero, monitorato anche dalle associazioni del privato sociale e di volontariato, la prostituzione sarà tollerata. Per chi invece verrà sorpreso fuori dalla “zona rossa” scatteranno multe da 500 euro.

Una proposta che liscia il pelo ai residenti – la maggior parte dei quali ha infatti apprezzato il progetto – ma che ha ricevuto le forti critiche della Chiesa di Roma e in parte dello stesso Partito democratico, che ha convinto la Giunta a “congelare” momentaneamente il progetto. Il sindaco Marino ha tentato di spiegare la sua idea in una lunga lettera aperta ai presidenti di Senato e Camera, Piero Grasso e Laura Boldrini, pubblicata sul Corriere della Sera dello scorso 12 febbraio, in cui invoca azioni su scala nazionale capaci di «combattere l’ignobile tratta e di regolamentare il modo in cui questa attività [la prostituzione], quando è volontaria, possa svolgersi senza produrre una situazione di tensione e di allarme sociale».

Ma si preoccupa anche del “decoro urbano”: «Più volte mi sono trovato davanti a genitori o nonni che mi hanno posto questa domanda: “Cosa debbo dire alla mia bambina o al mio bambino davanti a questo spettacolo?”. Credo che chi governa una città, così come chi è chiamato a scrivere le leggi, debba tenere conto di una simile richiesta».

Ne abbiamo parlato con suor Rita Giaretta, orsolina del Sacro Cuore di Maria, che da vent’anni vive e lavora a Caserta a Casa Rut, spazio di accoglienza, impegnato nel contrasto alla prostituzione forzata e nel sostegno a donne migranti, sole o con figli, in gravi situazioni di difficoltà e vittime di sfruttamento.

Suor Rita, come giudichi la proposta del sindaco Marino?

Un’ipocrisia. È un’operazione finalizzata non ad affrontare ma solo a spostare e a nascondere il problema, seguendo la strada più facile, più rapida, più popolare. Si assecondano i desideri “perbenisti” delle persone che vogliono “ripulire” le strade dalle prostitute. Non vogliono che il problema sia affrontato, semplicemente non vogliono più vederlo sotto le finestre delle loro case o nelle strade dove posteggiano le loro automobili. Per non turbarsi. Se poi sono i loro padri, i loro mariti e fratelli ad andare con una prostituta, l’importante e non saperlo, non vederlo. E si lasciano le donne nel loro dramma. Tranne pochi casi, su cui ovviamente non mi permetto di dire nulla né di giudicare, non si può assolutamente pensare che queste donne siano libere. L’adagio che vuole che la prostituzione sia “il mestiere più antico del mondo” è un luogo comune che impedisce di vedere, e di combattere, la realtà. E la realtà è che l’80% delle prostitute è costituito da donne giovani e giovanissime, anche minorenni, quasi tutte straniere, ridotte in schiavitù. E chi è schiavo non ha luoghi protetti. Protetta sarebbe solo la criminalità e il racket che le controlla. Con questa proposta, e con altre simili, si sceglie di allontanare dagli occhi e dalle coscienze delle persone questa realtà, ma non si fa nulla per porre fine alla violenza, anzi le donne vengono lasciate sempre più sole. Insomma non è questo il modo di agire se si intende affrontare seriamente la questione e non ridurla a mero problema di decoro. E poi mi pongo una domanda: non è che in questo modo si darà vita ad un nuovo business, quello delle associazioni chiamate ad operare nelle zone appositamente dedicate alla prostituzione? Non dico che sia così, però è una domanda che mi faccio.

Non si parla mai degli uomini…

Invece bisogna parlarne e bisogna aiutare gli uomini a capire che quando vanno con una prostituta vanno con una donna costretta e ridotta in schiavitù. Credo che i tempi siano ormai maturi per affrontare il problema anche dalla parte dei maschi, che di giorno sono, forse, bravi padri e mariti irreprensibili e di sera comprano e riducono le donne a merce.

È la questione del potere…

Esatto. Il bisogno del potere, di dominare qualcuno, che si realizza quando si compra il corpo di una donna. Per quei 10 minuti il maschio può dire: sei mia proprietà. E la proprietà significa dominio, potere. C’è poi il grande tema della fatica da parte di tanti uomini di intrecciare relazioni alla pari, per cui preferiscono comprare, sottomettere e dominare una donna. Anche la Chiesa, su questo versante, dovrebbe essere più presente ed incisiva. I preti dovrebbero parlarne nelle omelie. È un tema che secondo me dovrebbe affrontare anche il Sinodo sulla famiglia. Ma, come al solito, tutto quello che riguarda la sessualità fa paura e diventa un tabù.

Creare nelle città delle zone franche, ma ben delimitate, per la prostituzione, oltre alla rinuncia a contrastare il fenomeno della tratta e della schiavitù non può configurarsi anche come una sorta di favoreggiamento, in questo caso addirittura da parte delle istituzioni?

È precisamente favoreggiamento, perché si mette a disposizione una porzione di città, mascherando e occultando la vera realtà della prostituzione – che è appunto schiavitù – e facendola passare per una libera scelta delle donne. Che riguarda, ripeto, una piccola percentuale di donne, ma la maggior parte non è libera, è schiava.

Allora che fare?

Il problema va aggredito per altre vie. Sul fronte penale e giudiziario, che negli ultimi anni mi sembra decisamente arretrato, per quanto riguarda l’azione contro le organizzazioni criminali, spesso transnazionali, che organizzano e gestiscono il mercato. Si vuole essere inflessibili contro i migranti, i “clandestini”, che, fuggendo da guerre, violenze e persecuzioni, affrontano viaggi pericolosi – e tanti, troppi, muoiono nel Mediterraneo o attraversando il deserto – alla ricerca semplicemente di una vita dignitosa. Queste donne invece arrivano in Italia con maggiore facilità, proprio perché c’è un sistema di complicità e corruzione che consente di aggirare numerosi ostacoli. Ma va aggredito anche sul versante culturale, prestando particolare attenzione ai maschi. Ovviamente a questo livello i tempi sono lunghi. Invece proposte come quelle del sindaco di Roma puntano al subito, ma non intaccano il problema, semplicemente lo spostano, lo nascondono.

Vivi da anni, a Caserta, a Casa Rut, con delle ragazze e delle donne, soprattutto straniere, che sono riuscite faticosamente a liberarsi da questa schiavitù. Avete parlato della proposta del sindaco Marino? Loro cosa ne pensano?

Ne parliamo da giorni. E loro dicono che è una proposta assurda e ingiusta. “Abbiamo bisogno di essere aiutate a liberarci, e così non veniamo aiutate, anzi”, mi ripetono in continuazione: “Non vogliamo luoghi dove possiamo legalmente essere schiave, ma strumenti di liberazione”. Si sentono umiliate da proposte come questa, perché sanno bene che la loro non è una scelta ma una costrizione.

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Prostituzione: se gli uomini battessero, avrebbero pure il sindacato

Le Fattucchiere
www.ilfattoquotidiano.it

Prego entra, uomo affaticato e angosciato, col tuo carico millenario di stereotipi di ruolo, e aspettative da bread winner che deve portare a casa la pagnotta, sulle tue spalle ricurve. Lascia la giacca e spogliati, che ora penso io a te. Non c’è bisogno che ti dica di lasciarti andare, quando entri da quella porta sei già senza difese, e quella parvenza di forza, indipendenza, autonomia è sparita (la riprenderai dopo, nel porta ombrelli). Qui, in questo appartamento, sono io che porto avanti il gioco, sono io che ho il potere, anche se fuori mi raccontano come vittima, donna senza capacità né possibilità di decidere sulla propria vita. Eppure io ho scelto di fare la prostituta. Non ho bisogno di un permesso di soggiorno, non ho qualcuno che lucra su di me, faccio questo lavoro esattamente come un altro. O meglio no, perché non ci starei a spaccarmi la schiena a sollevare un anziano a ottocento euro al mese; né a fare la commessa, col datore di lavoro che magari ti tasta il culo e ti paga due lire in nero, dieci ore al giorno in piedi. Qui guadagno di più. E in fondo mi considero una curatrice, una lenitrice di dolori altrui. Non nego di aver paura a volte, quando un uomo entra qui per la prima volta. Non nego che a volte decidere di dire no, te no, mi provoca ansia, la paura della ritorsione che nasce dalla tremenda dipendenza di questi uomini da me. Ma se lo Stato mi tenesse meno nella clandestinità, se non punisse chi mi affitta un appartamento, o chi mi fa un book fotografico, mi sentirei più sicura; come lo sarei se ci fosse meno ipocrisia, se si dicesse il problema di questo mestiere non è il mestiere, ma le condizioni in cui si fa. Ma non mi illudo. Da una parte il retaggio cattolico, dall’altro il benpensantismo (anche di tante donne) lo impediranno. Più facile gridare allo sfruttamento, e poi lasciare le cose esattamente come sono.

Elisabetta Ambrosi

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“Fossero gli uomini a restare incinti, l’aborto sarebbe un sacramento”, diceva Florynce Kennedy, avvocata femminista americana. Se fossero gli uomini a fare la puttana, ci sarebbe un contratto collettivo, un albo professionale e un sindacato. E la prostituzione sarebbe la più efficace branca della fisioterapia, visti i mille benefici psicofisici del sesso. Il problema (e l’ingiustizia) è che questa panacea è molto più disponibile per i maschi, che quando non possono averla gratis sanno dove comprarla, mentre le donne possono venderla, ma comprarla no, è degradante. Convenzioni millenarie prevedono che lei, per ottenere quel farmaco, debba attirare l’interesse di un farmacista, averci una storia e farselo regalare. Ma in una società patriarcale fondata sull’irregimentazione dei generi e sulla sottomissione femminile il sesso è organizzato in base alle (presunte) esigenze dei maschi e alla loro disponibilità economica. E siccome è visto solo come sporco bisogno del più forte, le donne che lo vendono non possono farlo che per fame, costrizione o plagio: fosse per loro vivrebbero di coccole. Non è così. Immaginiamo ci fossero tanti battoni quante battone: daremmo per scontato che sono vittime e che le donne vanno con loro perché non li rispettano? La piaga della prostituzione è nella nostra testa prima che sul marciapiede, e più che una piaga è una coda di paglia: perché il mercato del sesso in Italia (ingordo, sregolato, modellato sul maschio ricco) è lo specchio più crudele delle dispari opportunità in un paese arretrato e fondamentalmente sessuofobo. Per questo fa sorridere “l’educazione sentimentale nelle scuole per insegnare il rispetto per il corpo delle donne”, propugnata dal minisindaco dell’Eur Andrea Santoro. Forse non sa che l’educazione sentimentale di Flaubert racconta di un ragazzo diviso fra una puttana e una donna sposata.

Lia Celi