Se i maschi mutassero atteggiamento nei confronti delle donne di A.Cavadi

Augusto Cavadi
http://cronachelaiche.globalist.it

“Uomini in cammino“: conoscete già questa sigla? Improbabilmente. Eppure sono ormai più di due decenni che questa associazione – ed altre simili che costituiscono ormai una sorta di movimento – si propaga per l’Italia. Beppe Pavan, pinerolese, è tra gli animatori principali del nucleo originario e proprio in questi giorni ha condotto una serie di seminari per i docenti di Palermo e di Catania. Ma qual è il tema specifico di questo movimento d’opinione? Si potrebbe rispondere: la condizione maschile. Purché si aggiunga subito: rispetto alla condizione femminile. Più precisamente ed esplicitamente: le responsabilità dei maschi riguardo alle problematiche delle donne, a cominciare dalla sofferenza di queste ultime a causa delle diverse forme di violenza che subiscono. < —more—>

Se queste tematiche fossero affrontate in chiave esclusivamente politico-strategica sarebbe già un fatto meritorio; ma, ancor più meritorio, è a mio parere l’impianto etico-personalistico. Questi gruppi di maschi, infatti, vogliono arrivare a cambiare la società a partire da sé: dall’analisi, per quanto possibile sincera e completa, dei propri atteggiamenti verso l’altro sesso. Dalle proprie prepotenze, dai propri pregiudizi, dalle proprie paure, dal proprio modo di vivere la sessualità. Per chi come me è fautore di una filosofia-in-pratica (che coinvolga i filosofi di mestiere quanto i non-filosofi) si tratta di un approccio interessantissimo: mettersi in gioco in prima persona, senza l’alibi del “cambierò, ma solo quando il sistema sociale sarà rivoluzionato”.

Non è un programma di lavoro facile. Cultura greca ed ebraismo, cristianesimo e islamismo sono matrici culturali intrise di maschilismo patriarcale. Né la prospettiva è mutata radicalmente con l’avvento dell’illuminismo borghese: anche se non tutti gli insegnanti di storia lo ricordano, Olympia de Gouges, autrice di una “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” in piena Rivoluzione francese fu ghiogliottinata per ordine del Comitato di salute pubblica.

Dalla relegazione della donna dentro le pareti domestiche (per proteggerla dalla caccia, dalla guerra, dagli affari e dalla politica) alla sua subordinazione sistematica al servizio dei maschi di casa non devono necessariamente sfociare nello sfruttamento sessuale né nel femminicidio: tuttavia ne costituiscono il presupposto più logico, la pre-condizione più naturale. La proliferazione di frutti avvelenati si può evitare solo estirpando le radici dell’albero che li produce.

Scuola e associazionismo, laico e religioso, dovrebbero essere impegnati in prima linea su questo fronte: ma non sembra che sia così, che si vada molto oltre le occasionali espressioni di condanna alla notizia di questo o di quell’altro delitto. D’altra parte una strategia pedagogica contro la violenza maschile potrebbe costituirsi solo come risultante di due prospettive educative: l’educazione alla nonviolenza e l’educazione affettivo-sessuale. Insomma, all’incrocio di due angolazioni pedagogiche perfettamente estranee alle agenzie educative principali.

La strada, dunque, è lunga. E in salita. Ma se non vogliamo accelerare la dissoluzione dell’umanità dobbiamo iniziare a percorrerla.