Un archivio per il futuro. In un libro la storia dei percorsi comunitari delle Cdb di V.Gigante

Valerio Gigante
www.adistaonline.it

Tracce di percorsi comunitari è il titolo che il coordinamento delle Comunità di Base italiane (assieme al Centro Educativo Popolare della Comunità dell’Isolotto) ha scelto per un libro appena pubblicato (pp. 145, euro 10; il libro è acquistabile presso Adista, telefonando allo 06/6868692, scrivendo ad abbonamenti@adista.it o collegandosi al sito), che si propone come una guida ragionata agli archivi delle CdB.

“Tracce” non certo per la frammentarietà del lavoro, che invece riesce a sintetizzare in maniera esaustiva, attraverso uno strumento di agile consultazione, il patrimonio storico e documentaristico dei quasi 50 anni di vita delle comunità.

“Tracce” piuttosto come riferimento al senso di una memoria sedimentata nel tempo, e in parte dispersa, ma che ha costituito parte integrante – consapevolmente o no – della formazione umana, politica e religiosa di diverse generazioni di cristiani nati negli anni del Concilio e del post-Concilio.

Una memoria che riemerge e che viene ri-collegata grazie al lavoro appassionato di chi ha curato questa pubblicazione (un “io” collettivo, come nella tradizione delle CdB) che si intende consegnare alle generazioni future; perché quel patrimonio non vada disperso – certo – ma soprattutto perché possa portare ancora frutto.

E questa “tra-dizione” non è certo dovuta alla velleitaria speranza di chi non si rassegna al tempo che passa, ma si spiega, come scrive Giovanni Franzoni nella prefazione, col fatto che gli anni in cui nacquero le comunità furono quelle in cui si delinearono le prime profonde differenze tra chi «assumeva il Concilio come momento conclusivo dell’aggiornamento teologico su cui rimodellare strutture e pastorale e chi lo assumeva come punto di partenza per un radicale rinnovamento della presenza profetica della Chiesa nel mondo».

Le CdB, che fecero questa seconda coraggiosa scelta, pagarono a livello individuale e collettivo la loro determinazione a non voler essere più gregge, ma popolo di Dio in cammino. E pagano ancora oggi il rischio che l’oblio, o la testimonianza residuale, archivi la loro preziosa esperienza.

Eppure, quello che fu frettolosamente e spregiativamente bollato come “dissenso” è invece ancora oggi, come ricordava Enzo Mazzi in un testo scritto nel 2010 e che i curatori del libro hanno scelto come introduzione al volume, «un patrimonio di memoria di inestimabile valore: scritti, documenti, pubblicazioni, ciclostilati, manifesti, registrazioni, audio, foto».

Ma proprio per la scelta fatta dalle CdB di «non istituzionalizzazione, di precarietà e povertà, tali materiali rischiano la distruzione, conservati, come spesso sono, nelle case, nelle cantine, in luoghi di ritrovo, oppure nelle redazioni di giornali e riviste».

Il libro ha allora il merito di restituire il percorso delle CdB alla sua complessità di articolazione, ma nella sua sostanziale unità di intenti. Dal lavoro dei curatori emergono una serie di realtà sparse su tutto il territorio nazionale, alcune ancora in vita, altre invece esauritesi nel corso dei decenni.

Tutte, però, vissute nella profonda unità di ispirazione ad una società e ad una Chiesa più profondamente umane e per questo più radicalmente evangeliche. Ciascuna realtà viene presentata nelle sue origini, nello sviluppo e attraverso le attività che ne hanno caratterizzato la vita e la presenza politica ed ecclesiale.

Segue la descrizione del fondo documentario sulla storia della comunità, la sua composizione, gli estremi cronologici, lo stato di conservazione, il luogo in cui il materiale è custodito e la sua accessibilità.

Emergono così ad una ad una vicende note e meno note; come quella della Comunità del Sacro Cuore di Lavello, in provincia di Potenza. La scritta sulla facciata della chiesa, che negli anni ’70 restò occupata per diversi anni, “La Chiesa è del popolo”, ha resistito fino all’ottobre 1978, quando dopo l’ultima messa della comunità, celebrata contemporaneamente all’intervento della forza pubblica, il complesso parrocchiale fu, secondo la questura, «riabilitato all’esercizio del culto», «per aprire porte a tutta la popolazione parrocchiale» (come se prima non lo fosse; come se anzi non lo fosse stato pienamente proprio negli anni in cui era stato “occupato”; o meglio, riscattato dal dominio del sacro per essere restituito alla comunità tutta).

Quella di Lavello era una comunità formata per lo più da contadini, operai, pensionati. Nata in un contesto di presa di coscienza dei problemi sociali, è legata a figure come quella del sindacalista Giuseppe Di Vittorio e dell’esponente della sinistra del partito popolare Guido Miglioli. Lì, negli anni ’60, è parroco don Marco Bisceglia, che aveva cominciato ad attrarre i giovani interessati alle tematiche sociali, la povera gente, i contadini, gli emigrati, mentre via via si allontanano borghesi e tradizionalisti. Per questa sua dimensione profondamente sociale, don Marco si alienò presto la simpatia del clero locale e del vescovo.

Lo scontro giunse al culmine nel 1971, quando Bisceglia venne denunciato per il blocco stradale avvenuto durante uno sciopero sull’emergenza sociale e lavorativa della zona; nel 1972 venne sospeso dall’insegnamento; nel 1974, per aver partecipato alla campagna referendaria per il no al referendum che intendeva abrogare l’istituto del divorzio, il vescovo chiese a quello che ormai era considerato il “don Mazzi del sud” di dimettersi. La sua comunità gli fu a fianco ed occupò la chiesa in segno di protesta.

Essa verrà “liberata” solo quattro anni dopo, da uno stuolo di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa, muniti di lacrimogeni e blindati che attraversarono il paese. Nel frattempo don Marco, prete gay impegnato nel movimento di liberazione delle persone omosessuali, era stato sospeso a divinis dopo lo scandalo seguito a un tranello ordito da due giornalisti del settimanale di destra Il Borghese, che si erano spacciati per cattolici omosessuali chiedendo al parroco di benedire la loro unione.

Bisceglie lo aveva fatto, in forma discreta e privata, ma la notizia uscì sul giornali (in un articolo dal titolo “Confetti verdi con la benedizione” apparso su Il Borghese l’11 maggio del 1975). Dopo la fine dell’esperienza della Comunità di Base, Bisceglia proseguirà da solo il suo percorso religioso, umano e politico, dapprima candidandosi nelle liste del Partito radicale, a Potenza, poi recandosi a Roma, dove lavorerà per l’Arci e darà vita all’Arcigay. Reintegrato come presbitero alla metà degli anni ’90 morirà, malato di Aids, nel 2001.