Contro le gabbie linguistiche, per recuperare le parole specifiche di D.Accolla

Dario Accolla
www.ilfattoquotidiano.it

Quando ero molto più giovane di adesso, tra medie e primi anni del liceo, l’8 marzo era una giornata difficile per me. Entravo e in classe mi facevano gli auguri. Fatto, questo, che si accodava a una serie di angherie per cui declinare il mio nome in “Daria” o associarmi all’essere femmina rientrava tra le modalità specifiche per definirmi. La cosa, allora, mi dava fastidio. Non per l’essere considerato una donna, ma perché si usava quell’apparentamento come un insulto. Perché per molti e molte, nella Sicilia di trent’anni fa, essere “femmine” era un insulto.

Un altro ricordo che ho, sempre di quel periodo, è legato proprio all’8 marzo: alcune amiche di famiglia andavano in visibilio, si tiravano a lucido e uscivano in drappelli per rinchiudersi in questo o in quel luogo per la festa della donna. Le più temerarie, addirittura, se ne andavano in qualche pub dove si esibiva uno spogliarellista. Niente di eccessivo, figurarsi: il massimo dell’hard concesso era rimanere in slip. Poi passava la mezzanotte e, come cenerentole senza storia, se ne tornavano a casa a riprendere la vita di tutti i giorni. Senza nessun principe ad attenderle.
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Ho riportato questi due ricordi perché credo che siano esempi di gabbie linguistiche in cui confinare categorie sociali minoritarie (o percepite come tali) per meglio dominarle. Ridurre l’essere umano a “femmina” in un contesto in cui essa è attrice sociale di secondo piano è la prima forma di dominio del maschile. Un dominio che, per rimanere tale, ha bisogno di soggetti subordinati. Una prima forma di sottomissione è quella linguistica: attraverso il (poter) dire, noi stabiliamo gerarchie tra chi può fare qualcosa e chi non può. Pensiamo al valore imprescindibile delle leggi scritte, per capire la forza dirompente dei limiti imposti dalla parola. A questo aspetto, se ne associano altri.

Héritier dimostra, nel suo saggio Maschile e femminile. Il pensiero della differenza, che la costruzione sociale del genere è un artefatto culturale. Esso ha portato alla differenziazione dei sessi: la società individua una comunità di uguali (gli uomini) contrapposta a un gruppo di soggetti visti come diversi (le donne). Ad entrambe le categorie si assegnano ruoli e compiti prestabiliti, ma i primi si danno anche diritti e privilegi, mentre le seconde vengono relegate nell’ambito degli oneri e dei doveri. Cucchiari dimostra, ne Le origini delle gerarchie di genere, come tale gerarchia si sia strutturata sulla differenza anatomica dei sessi. Poiché la donna partorisce e per mesi è “inabile” per certi lavori, viene considerata appunto più debole. Buona a fare figli, semmai. Eredità questa che fa da sostrato a certe ideologie ancora di moda nell’Italia di oggi: fascismo e cattolicesimo in primis.

Ho fatto questa premessa per ricordare – fatto in cui credo profondamente – che la costruzione delle differenze tra generi è un atto anche linguistico. Non è un caso che si riduca una giornata che ha un significato profondamente politico, legato a rivendicazioni sociali di uguaglianza, a generica “festa”. A ghetto da calendario, insomma, per cui si concede a masse di (casalinghe?) disperate di poter “festeggiare” una condizione di subalternità. Tutto ciò, ancora, sta alla base di ulteriori discriminazioni, come quelle legate all’omofobia, per cui essere simili alla donna – cioè “froci”, visto che i gay sono percepiti come maschi mancati – è il massimo disonore per chi femmina non è (ovvero per il maschio).

Per un mondo migliore, ed è questo il senso che do all’8 marzo, dovremmo cominciare a rivendicare una completa uguaglianza tra i generi partendo appunto dall’evidenza che essere donne non è una colpa. E magari dirlo a voce alta, recuperando parole specifiche. Perché un subordinato che parla, ricorda Mellino ne La critica postcoloniale, non è più tale. In secondo luogo, va ribadito che usare il femminile come insulto è la prima forma di barbarie possibile, anche parecchio stupida. Fosse non altro perché tutti i maschi, anche quelli che si percepiscono come veri, nascono dalle donne. Screditarle non li rende migliori, anzi: se davvero sono inferiori, come possono mettere al mondo creature superiori? Per il resto, buon otto marzo a tutte e a tutti. Davvero.