Cdb San Paolo – commento eucaristico di GruppoRomaSudest

Domenica 8 Marzo 2015 – Gruppo Roma Sud-Est

III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B) (Prima Lettura Es 20,1-17; Seconda Lettura 1Cor 1,22-25; Vangelo Gv 2,13-25)

I comandamenti, scritti secoli prima dell’era moderna, suscitano ancora spunti di riflessione e ammirazione per alcune indicazioni che danno, e persino emozione quando vengono raccontati da un attore come Benigni.

Uno di questi punti è il comandamento del sabato: mentre per altri comandamenti basta un “non fare questo o quello…”, a questo viene dato un particolare rilievo; esso viene legato al mito della creazione in sei giorni e al riposo di Dio al settimo. Ma si potrebbe pensare che il mito sia stato scritto per dare forza al comandamento: se persino Dio si è riposato, anche noi dobbiamo farlo.
Quello che è rilavante e straordinario è che tanto tempo fa si sia dato valore al riposo settimanale degli esseri umani, compresi gli schiavi, e questo sia stato esteso perfino agli animali da lavoro. Nessuno spazio per trucchi. I padroni avrebbero potuto dire: “Io rispetto il comandamento, ma gli affari vanno avanti ugualmente, ci pensano gli schiavi e il bestiame”. Interessante anche il linguaggio non inclusivo: “né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava”.

Questo comandamento è un invito a rallentare i ritmi, a riflettere sui giorni passati, a guardarci indietro, più che a programmare il futuro. Sarebbe da rivalutare; come diceva un vecchio spot, è contro il logorio della vita moderna.

In questo ciclo quaresimale dell’anno liturgico B si pone, il racconto dei comandamenti, come uno dei patti di alleanza tra Dio e l’umanità. La prima domenica c’era l’arcobaleno come segno del patto tra Dio e Noè e la seconda Abramo con il sacrificio di Isacco fermato dalla mano del Signore.

I dieci comandamenti sono il contratto che Dio propone all’umanità a suggello dell’alleanza. Si è detto che sono stati dati nel deserto, che è terra di nessuno, perché fossero la legge per tutti e tutte.

Il vangelo di Giovanni riporta l’episodio di Gesù che caccia dalla spianata del tempio di Gerusalemme i venditori di animali da sacrificare ed i cambiavalute. Questo episodio è riportato, con alcune differenze più o meno piccole, da tutti e quattro i vangeli e ciò fa pensare che questo fatto sia veramente accaduto.

La differenza più rilevante in Giovanni è che l’autore lo pone all’inizio della missione di Gesù, nella prima delle tre Pasque da lui celebrate nella capitale. Per gli altri evangelisti è invece collocato al termine, nell’unica Pasqua che si concluderà tragicamente. Per molti commentatori l’episodio è anzi all’origine della condanna di Gesù, o almeno è la goccia che fa traboccare il vaso.

Certo Gesù per fare questo gesto di ribellione contro la degenerazione della sua religione, a cui tiene molto proprio perché è ebreo, deve godere di grande autorevolezza per non suscitare una reazione altrettanto violenta. Lo dimostra anche l’entrata trionfale in città. La sua fama, acquistata nel suo itinerare tra i villaggi della Galilea, guarendo i malati e predicando l’avvento di un regno di giustizia, lo aveva preceduto. Anche il sinedrio non interviene per impedire la ribellione; preferisce sopire il tumulto per evitare l’effetto contrario e non suscitare l’intervento dell’autorità romana, aspettando un momento più opportuno per colpirlo.

Giovanni da inoltre un significato di premonizione simbolica al discorso di Gesù che segue il suo intervento: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere. … Quando poi fu risuscitato dai morti i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alle parole di Gesù”.

Queste parole hanno un carattere apologetico, servono cioè a dare validità alla vicenda terrena di Gesù: da una parte la sua morte e resurrezione è prevista sin dall’inizio, dall’altra le scritture vengono citate a dimostrazione che Gesù è il messia atteso (ad es. Zaccaria 14,21 “…in quei giorni non vi sarà più nessun mercante nel tempio del Signore…”).

Ma questo carattere apologetico presente dei vangeli non deve intaccare la nostra fede. Al contrario, la morte di Gesù non avrebbe avuto lo stesso significato e lo stesso impatto sulle vite dei suoi seguaci se questi avessero saputo, o capito, che sarebbe resuscitato dopo tre giorni. Non si fa giustizia alla morte di Gesù, raccontandola come una farsa: tutto si sapeva già prima!
Belle le parole della canzone di De Andrè, Si chiamava Gesù:

E morì come tutti si muore
come tutti cambiando colore
non si può dire che sia servito a molto
perché il male dalla terra non fu tolto
Ebbe forse un po’ troppe virtù,
ebbe un volto e un nome: Gesù.
Di Maria dicono fosse il figlio
sulla croce sbiancò come un giglio.

Il pensiero della antica catechesi cristiana (vedi ad esempio le lettere di san Paolo) cita spesso il tempio: questo è finito perché è arrivato il Messia, è sostituito dalla comunità dei credenti che lo ha accolto come tale. Ma cosa dicono a noi oggi queste letture?

Qui è stato più difficile nel nostro piccolo gruppo trovare qualcosa da dire di attualizzante. La nostra attenzione è andata ai tanti “templi” odierni: ai santuari con il loro corredo di commerci, di candele, statue di santi e madonne, di ampolline di acque miracolose, etc. Sembra che non si sia imparato nulla dal vangelo di oggi. Forse perché si è voluto costruire un apparato rassicurante, oltre che volutamente alienante. Questa fede fatta di acque miracolose e candele accese permette il controllo delle coscienze, è un surrogato ad una fede nuda, essenziale, fatta di cose non visibili e non toccabili. e finisce per mettere al secondo posto gli altri, riduce lo spazio e il tempo per le relazioni con gli altri.

Quali sono gli strumenti oggi, le fruste da intrecciare, per scacciare i mercanti dal tempio e lasciare spazio ad una fede nuda? E se questa fede nuda togliesse sicurezze proprio ai più fragili, a cui Gesù è venuto a portare la sua buona novella? Cosa ci è richiesto perché anche la nostra fede – magari di cattolici del dissenso – non ricada nel “perbenismo”?