Sono gay, e allora? di SilvanoC

Silvano C.
http://aspheloblog.blogspot.it/

Sono gay, lo sono e basta.
All’inizio, da giovane, quando ho iniziato a capirlo, ho passato un periodo abbastanza lungo nel quale non mi accettavo, perché mi vergognavo. Ridevo delle battute idiote sui finocchi, mi sono anche atteggiato a bullo per un breve periodo, poi ho lasciato perdere.

Per mia fortuna, ad un certo punto, ho trovato una persona non gay che lo ha intuito, una donna per essere precisi. Lei mi ha convinto che sbagliavo a provare vergogna. E lo ha fatto in modo discreto, senza smascherarmi tra coloro che frequentavo, una sera mentre la stavo accompagnando a casa in auto dopo aver trascorso assieme a conoscenti comuni alcune ore piacevoli. Ora lei, molti anni dopo, è la mia migliore amica e confidente, ed io semplicemente vivo molto meglio.

Non sono per nulla orgoglioso di essere gay, non ne ho alcun merito, ma neppure me ne faccio una colpa, sarebbe idiota. È così, semplicemente.

Non amo le manifestazioni pubbliche un po’ provocatorie a difesa dei diritti di gay e lesbiche, sono lontane dal mio carattere, ma riconosco che servono pure quelle per far capire alle teste dure che noi non facciamo male a nessuno. Anche andare in piazza è utile allo scopo, per costringere a riflettere. Come è importante spiegare, comunicare. Purtroppo alcune prese di posizione sono in parte controproducenti, hanno un rovescio della medaglia, nel senso che innescano una reazione perbenista che vorrebbe sì accettare i diversi ma a condizione che non rompano troppo, che restino defilati, che non mettano in crisi la famiglia tradizionale. Inoltre, cosa ancor più grave e pericolosa, aizzano le teste calde, le richiamano a branchi, tutte soddisfatte di avere un nemico ed uno scopo, un esempio di depravazione e di degrado dei sacri valori della società. Da che pulpito poi, viene spontaneo pensare, con molta rabbia, immancabile tristezza ed un po’ di ironia.

In fondo è successo lo stesso anche con le donne sin da quando in Inghilterra, oltre un secolo fa, cominciarono le lotte per ottenere il diritto di voto, per poi arrivare in tempi più recenti ai movimenti femministi degli anni ‘60 e ’70. Alcune donne hanno esagerato, è probabile, ma come far capire altrimenti l’urgenza di essere riconosciute nei loro diritti inviolabili dopo millenni di cultura maschile?
Ora alcuni accettano che io possa stare col mio compagno, ma non che mi azzardi a chiedere che la nostra unione venga riconosciuta ufficialmente. Questo mai.

È un po’ quanto è avvenuto con Peppino Englaro, per fare un altro esempio. Una corrente di pensiero sostiene infatti che sarebbe stato molto meglio se lui avesse evitato di sollevare il clamore mediatico sul caso della figlia Eluana, come invece ha fatto, e semplicemente si fosse accordato con un medico compiacente, risolvendo in modo discreto e silenzioso la questione.

Eppure, mi viene da chiedermi ancora, perché devo essere odiato per quello che sono? Io evito di infastidire chi non vuole essere importunato, permetto a tutti di vivere la vita che vorrebbero, non ho nulla contro altre modalità di rapporti e di unioni, non mi permetto di giudicare chi tradisce o divorzia, va con prostitute o si prostituisce, si sposa in chiesa o semplicemente fa quello che vuole. Non accetto la violenza o l’abuso sui minori, ma tutti i rapporti tra adulti consapevoli e consenzienti mi stanno bene. Perché allora io non ho gli stessi diritti di altri, se pure io pago le tasse, faccio il mio dovere di cittadino e rispetto le istituzioni? Perché le istituzioni non rispettano me? In cosa saremmo immorali o sbagliati io ed il mio compagno se volessimo adottare un bambino, visto che ne abbiamo i mezzi, e gli offriremmo una vita sicuramente migliore?

Io e lui abbiamo dovuto andare da un notaio per regolare alcuni aspetti pratici e burocratici del nostro rapporto, mentre una legislazione più attenta ci avrebbe evitato queste altrove inutili e comunque costose precauzioni. Sono gay, e allora?