Raschiare il Fondo di M.DeFazio

Matteo De Fazio
www.riforma.it

Un decreto legge approvato alla Camera e in attesa di discussione al Senato, prevede lo spostamento di 3,4 milioni di euro dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo verso il rafforzamento delle forze armate.

Il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo ripartisce le risorse che arrivano dal Ministero degli Interni e del Fondo Europeo per i rifugiati, a favore di chi si occupa di servizi di assistenza e di integrazione in favore di rifugiati e richiedenti asilo. Secondo un decreto legge approvato alla Camera e in attesa di discussione al Senato, 3,4 milioni di euro saranno spostati dal fondo per il rafforzamento delle forze armate. «Una riduzione economica del fondo significa meno persone accolte, quindi più persone che devono rinunciare al proprio diritto di fare richiesta di protezione, sancito dalla normativa internazionale – dice Massimo Gnone, responsabile del Servizio richiedenti asilo e rifugiati della CSD Diaconia Valdese – il fatto che queste risorse siano destinate alla cooperazione militare, fa riflettere: negli ultimi anni le missioni militari all’estero sono andate sempre più a monopolizzare l’utilizzo di risorse economiche che in passato erano destinate allo sviluppo e alla cooperazione internazionale in genere».

Come reagisce a questa possibilità?

«Il fatto che questo decreto preveda una riduzione del Fondo Nazionale non può che dispiacere a chi si occupa di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati. Naturalmente è una notizia da prendere con le molle, poiché il decreto è in discussione e non è ancora stato confermato. Certamente, come valutazione politica, il fatto che queste risorse siano destinate alla cooperazione militare, fa riflettere: negli ultimi anni le missioni militari all’estero hanno progressivamente monopolizzato l’utilizzo di risorse economiche che in passato erano destinate allo sviluppo e alla cooperazione internazionale in genere. Se, in questo caso, sono toccate le risorse che in Italia vengono utilizzate per la gestione dei flussi dei richiedenti asilo e dei rifugiati, la notizia è ancora più preoccupante. D’altro canto in generale gli stanziamenti del governo italiano destinati a questo settore negli ultimi anni non sono mai stati sufficienti. L’anno scorso, con il programma Mare Nostrum attivo, sono arrivate in Italia circa 160 mila persone attraverso il Mediterraneo: nei centri di accoglienza ufficiali ora sono accolte circa 65 mila persone. Mancano centomila persone all’appello, molte delle quali sono solo transitate in Italia, nonostante il regolamento di Dublino preveda la richiesta di asilo nel primo paese di arrivo. L’Europa ci ha anche richiamato per questo. La maggior parte dei migranti arrivati nel 2014 sono eritrei e siriani e sono pochissimi nei centri di accoglienza. Altre migliaia di persone sono nel nostro paese e non stanno ricevendo l’accoglienza prevista dalle convenzioni internazionali che l’Italia ha ratificato: vivono in case occupate, in dormitori, o sono in giro per le nostre città senza essere accolti».

Il sistema sta cambiando?

Il quadro è complesso, l’Italia sta facendo grandi sforzi per costruire un sistema adeguato ai numeri: pensiamo allo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che è passato in pochi anni da 3 mila a circa 25 mila posti. Lo Stato sta cercando di dotarsi di capacità di accoglienza significative, ma dall’altra parte le politiche sono ancora di tipo emergenziale. Nello Sprar, che garantisce un’accoglienza integrata come previsto dall’UE, la maggioranza delle persone viene accolta in centri di accoglienza straordinaria, e questo fa sì che non abbiano un trattamento equo nelle diverse parti d’Italia».

Cosa significherebbe per le persone coinvolte?

Attualmente una persona accolta nei sistemi prefettizi costa intorno ai 30 euro al giorno. Ma per evitare cattive interpretazioni del dato, bisogna sottolineare che i soldi non vanno al richiedente asilo, ma servono a pagare il vitto, l’alloggio, il vestiario, gli operatori che si occupano del processo di integrazione, di ricerca del lavoro, di alfabetizzazione, eccetera. Quello che fa riflettere è sicuramente il fatto che questa riduzione sia contenuta in un decreto che riguarda la cooperazione civile e militare, quando cooperazione e asilo sono molto correlati. La cooperazione è quel sistema per evitare che molte delle persone debbano ricorrere alla fuga dai paesi di provenienza per arrivare in Europa. Una riduzione economica del fondo significa meno persone accolte, quindi più persone che devono rinunciare al proprio diritto sancito dalla normativa internazionale di protezione».