Teoria del gender, oltre l’ideologia di G.Piana

Giannino Piana *
(dal blog Moralia del mensile cattolico Il Regno, 17 aprile 2015)

Le ferme espressioni con cui nella sessione primaverile del Consiglio permanente della CEI il card. Bagnasco ha stigmatizzato la teoria del gender meritano qualche considerazione. La drastica denuncia dei rischi connessi a tale teoria è espressa nell’affermazione secondo cui essa “pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un ‘transumano’ in cui l’uomo appare come un nomade privo di mèta e a corto di identità”, e di conseguenza, grazie a essa, ha luogo il prodursi di una “identità senza essenza” o la creazione di “persone fluide che pretendono che ogni desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto”.

Ora non vi è dubbio che la teoria del gender si presenta, nella sua versione più diffusa, come un’ideologia totalizzante, che mette radicalmente in discussione la naturalità dell’identità di genere, il suo stretto legame cioè con la differenza originaria dei sessi, e che finisce dunque per considerare gli atti sessuali come mera costruzione sociale. Si tratta, in altre parole, dell’abbandono della tradizionale interpretazione del comportamento sessuale, che viene totalmente ricondotto a fattori socio-culturali, negando ogni ruolo al sesso biologico.

È naturale che questo tipo di approccio alla questione della differenza di genere, peraltro non scientificamente fondato, susciti forti perplessità e renda, in una certa misura, plausibile la reazione del card. Bagnasco. In ogni caso la demonizzazione si espone all’accusa di risultare inficiata a sua volta da una visione ideologica. L’importanza (e la priorità) del riferimento al sesso biologico nella definizione dell’identità di genere è fuori discussione. La differenza uomo-donna, che ha anzitutto la propria radice nel dato biologico, costituisce l’archetipo irrinunciabile dell’umano.

Questo non significa tuttavia che l’identità di genere debba essere esclusivamente ridotta a tale dato: s’incorrerebbe in una lettura univoca dell’umano, la cui ricchezza è invece costituita dallo strutturale riferimento al dato culturale.

È questo l’apporto della teoria del gender, che, depurata dalle rigidità ideologiche, ci ricorda il ruolo delle strutture sociali e della cultura nella costruzione della soggettività e nella determinazione dei vissuti personali. Si tratta perciò di superare le posizioni unilaterali per fare spazio a una visione nella quale il dato biologico venga coniugato con il riferimento alle forme culturali, che modellano, di volta in volta, l’identità e le preferenze sessuali.
È questa anche la strada per vincere alcuni pregiudizi, fonte di gravi discriminazioni, come quelli che hanno a lungo determinato (e in parte tuttora determinano) l’emarginazione di alcune categorie, omosessuali e transessuali in particolare.

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* Giannino Piana ha insegnato etica cristiana presso la Libera Università di Urbino e etica ed economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino. È stato presidente dell’Associazione Italiana dei Teologi Moralisti. Fa parte delle redazioni delle riviste Hermeneutica, Credere oggi, Rivista di teologia morale e Servitium; collabora al mensile Jesus con la rubrica “Morale e coscienza” e al quindicinale Rocca con la rubrica “Etica Scienza Società