Un Giubileo per dire e fare misericordia di L.Sandri

Luigi Sandri
Confronti, maggio 2015

Francesco ha indetto un Anno santo straordinario della misericordia, che si aprirà l’8 dicembre prossimo e terminerà il 20 novembre 2016. Il papa si aspetta soprattutto che i fedeli accorrano fiduciosi a confessarsi. Le sfide dell’iniziativa, gli aspetti problematici, i nodi teologici, l’attesa di qualche esplicito «mea culpa».

Con la bolla Misericordiae vultus [il volto della misericordia], «Francesco, vescovo di Roma, servo dei servi di Dio, a quanti leggeranno questa lettera, grazia, misericordia e pace», l’11 aprile ha indetto un «Giubileo straordinario della misericordia». L’intestazione sembra suggerire che egli si rivolga a chiunque, anche al di là della Chiesa cattolica romana, desideri leggere il testo. In quanto al contenuto – che qui commentiamo brevemente, presupponendo però una sua conoscenza integrale, raggiungibile anche in internet – esso sembra intrecciare tre assi: il «chi è» della misericordia, nelle Scritture ebraiche e in quelle cristiane; le motivazioni del Giubileo; le iniziative che dovrebbero caratterizzare questo Anno santo che inizierà l’8 dicembre prossimo, cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, e terminerà il 20 novembre 2016, festa di Cristo Re.

Gesù, il volto della misericordia del Padre

Il tema del Dio misericordioso – scrive la bolla – trabocca già nell’Antico Testamento: «“Eterna è la sua misericordia”: è il ritornello che viene riportato ad ogni versetto del salmo 136 mentre si narra la storia della rivelazione di Dio. In forza della misericordia, tutte le vicende dell’Antico Testamento sono cariche di un profondo valore salvifico. La misericordia rende la storia di Dio con Israele una storia di salvezza. Ripetere continuamente: “Eterna è la sua misericordia”, come fa il salmo, sembra voler spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore».

Tuttavia – e ci sembra una singolare omissione – il papa non cita minimamente il Giubileo biblico, così come descritto nel Levitico (c. 25): ogni cinquant’anni era proclamato un «Anno santo», che prevedeva «la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti»; e quello «sarà per voi un Giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia»; e, in quell’anno, la terra dovrà riposare. Discutono, gli esegeti, se un tale Giubileo sia mai stato veramente attuato, o se non sia rimasto piuttosto un ideale verso cui guardare. In ogni caso, esso dischiude prospettive dirimenti, perché non prevede semplici pratiche rituali, ma si pone come momento di radicale giustizia, che implicava la liberazione degli schiavi e il ritorno in possesso di quel pezzetto di terra che magari una famiglia aveva dovuto vendere per sopravvivere.

Parlando poi di Gesù, la bolla, definendolo «volto della misericordia del Padre», sottolinea come Egli abbia incarnato la straripante bontà di Dio verso l’umanità. E, a proposito della vocazione di Matteo – Cristo inserisce tra i suoi apostoli uno che raccoglieva le imposte –, Francesco cita san Beda il venerabile [monaco e teologo inglese, morto nel 735] che, «commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo. Mi ha sempre impressionato questa espressione, tanto da farla diventare il mio motto».

Un Giubileo «straordinario», da celebrarsi non solo a Roma

Nel primo millennio del Cristianesimo nessuno mai propose Giubilei o Anni santi. Il primo a farlo fu, poi, papa Bonifacio VIII che, nel 1300, convocò un Giubileo, svuotandolo però di ogni riferimento a quello biblico: così, quanti venissero a Roma a pregare, penitenti, sulle tombe degli apostoli, ricevevano l’indulgenza plenaria (oltre alla cancellazione della colpa, avvenuta in confessione, era garantita la cancellazione della pena legata al peccato). Migliaia e migliaia di pellegrini attraversarono l’Europa per raggiungere la città eterna e, dunque, per il papato l’esaltazione fu grande – ma effimera, perché contestata da Filippo il Bello re di Francia. Bonifacio fissò ad ogni centesimo anno la scadenza dei Giubilei; ma poi fu accorciata a cinquant’anni, quindi a trentatré (gli anni di Cristo) e, dal 1475, sempre ogni venticinque anni. In totale, fino al Giubileo del 2000 voluto da papa Wojtyla, sono stati celebrati ventisei Giubilei «ordinari» (a causa di ragioni politiche non furono indetti quelli del 1800 e del 1850). Ma, per solennizzare eventi speciali, o per particolari motivazioni, i papi hanno indetto anche molti Giubilei «straordinari», non legati a scadenze: tra questi si colloca, ora, quello di Bergoglio.

«Abbiamo sempre bisogno – afferma la bolla – di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità… Ma ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo straordinario della misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti».

Il papa l’8 dicembre aprirà la Porta santa della Basilica vaticana, che lui chiama «Porta della misericordia»; poi si apriranno analoghe Porte nelle altre tre basiliche papali (S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore, S. Paolo fuori le Mura). Ma, precisa la bolla, non sarà affatto necessario venire a Roma; in ogni diocesi la chiesa cattedrale (o altro santuario significativo, stabilito dal vescovo) avrà la sua Porta santa. Comunque, lungo o corto che sia, «il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi».

Durante il Giubileo tutti i fedeli sono invitati ad andare, con fiducia, a confessarsi; e, durante questo Anno santo, il papa invierà nelle diocesi i «missionari della misericordia: saranno sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati [particolarmente gravi, come la profanazione delle specie eucaristiche o l’assoluzione a un prete che assolve il suo complice nel peccato contro il sesto comandamento] che sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato».

L’attesa degli eventi caratterizzanti il Giubileo

Pur dando le coordinate teologiche e pastorali entro le quali dovrebbe muoversi l’annunciato Giubileo, la bolla non si addentra in esemplificazioni concrete. Intanto, spiega la data di inizio: «Ho scelto quella dell’8 dicembre perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio ecumenico Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo… Tornano alla mente le parole cariche di significato che san Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio per indicare il sentiero da seguire: “Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore… La Chiesa cattolica, mentre con questo Concilio ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati”. Sullo stesso orizzonte, si poneva anche il beato Paolo VI, che si esprimeva così a conclusione del Concilio: “Vogliamo notare come la religione del nostro Concilio sia stata principalmente la carità… L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio… Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore”». E cita, inoltre, l’enciclica Dives in misericordia (1980) di Giovanni Paolo II.

Sul che fare, in concreto, il papa denuncia quanti sono legati a gruppi criminali, o ai complici della corruzione, «questa piaga putrefatta della società – un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. Essa impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri»; e sprona i colpevoli a ravvedersi.

Esorta poi l’intero popolo cristiano a compiere le opere di misericordia corporale (dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti), e spirituale (consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti); opere che, coralmente compiute dalla massa dei cattolici del mondo, avrebbero evidenti e positivi effetti sociopolitici. Sottolinea, poi, che il Giubileo porta con sé l’indulgenza, la quale «libera il peccatore da ogni residuo della conseguenza del peccato». Infine, ricorda: «La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’ebraismo e all’islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio… Questo Anno giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose».

Non vi è, direttamente, nessun invito al dialogo con le Chiese non cattoliche; forse perché Francesco è ben consapevole che con quelle legate alla Riforma sarebbe irto di problemi irrisolti il dibattito sulla plausibilità biblica e la sostenibilità teologica del concetto cattolico di indulgenza che, pur depurato da ogni abuso passato, la bolla ripropone. Ma è la stessa insistenza dell’«andate a confessarvi dai sacerdoti» che lascia perplessi i Protestanti, e anche una parte del mondo teologico romano e dei cattolici critici. Essa, infatti, ribadisce un concetto di mediazione e di sacerdozio che è arduo comporre con il messaggio di Gesù, il quale ha abolito il sacerdozio del Tempio, e che per la comunità dei suoi discepoli e discepole ha previsto, invece, la donazione del servizio/ministero/ diakonia. D’altronde, pur senza osare addentrarsi in tale problematica, il Vaticano II dedicò un decreto, Presbyterorum ordinis, ai «presbìteri», non ai «sacerdoti», un cambiamento non casuale di parola. Ancora, la bolla ignora il dibattito post-conciliare su una riforma del rito penitenziale, e tralascia l’ipotesi della «confessione comunitaria» – una comunità riflette sulla Parola di Dio che invita al ravvedimento, ciascuna persona si pente, nel cuore, senza nessuna confessione auricolare, dei propri peccati, e poi il presbitero dà a tutti l’assoluzione generale; un’ipotesi lanciata, con pregnanti motivazioni teologiche e storiche, sia da teologi che da episcopati (come, nel 1970, quello svizzero), ma bloccata da Paolo VI e dai suoi successori.

Misericordiae vultus non anticipa gli intensi eventi con i quali Francesco intenderebbe costellare il Giubileo, e tuttavia qualcosa fa balenare, affermando arditamente: «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia… La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia». Non ci si dovrebbe meravigliare, allora, se da più parti fiduciosa si è fatta l’attesa che, durante l’Anno santo, il vescovo di Roma, a nome dell’Istituzione-Chiesa, e non solo di alcuni dei suoi «figli», restituisca pubblicamente l’onore ecclesiale a tutte quelle persone – teologi, teologhe, studiosi, religiosi/e, presbìteri, laici uomini e donne, comunità – che nei cinquant’anni post-conciliari la Curia romana ha ingiustamente punito o emarginato. ¡Adelante, Francisco!