Cosa si nasconde dietro la difesa della famiglia tradizionale di L.Melandri

Lea Melandri
www.internazionale.it

La piazza piena di San Giovanni, in occasione della manifestazione del 20 giugno in difesa della famiglia tradizionale, non deve trarci in inganno: il cambiamento è già avvenuto e saranno proprio i figli, per la difesa dei quali padri e madri hanno deciso di manifestare, a viverlo con minori traumi e incertezze.

Dietro le proteste per l’apertura della scuola alle tematiche riguardanti la sessualità e le differenze di genere, non c’è solo il timore di veder crollare quelli che sono stati finora i fondamenti della genitorialità e dei ruoli familiari. Ben più profonda, radicata nell’atto fondativo delle civiltà a cui ha dato vita una comunità storica di soli uomini, è l’incertezza di una posizione “virile” perennemente minacciata dallo stesso impianto sociale che dovrebbe sostenerla: un legame di interessi, amicizie, amori, ideali condivisi tra simili. L’esclusione delle donne dalla scena pubblica non ha impedito che il “femminile” continuasse ad abitare questo impianto sociale, in quanto allo stesso tempo cemento indispensabile e mina vagante all’interno di una collettività omosociale.

Le “identità di genere”, considerate destino “naturale” di un sesso e dell’altro, sono state finora il baluardo materiale e ideologico di una cultura maschile preoccupata prima di tutto della stabilità e della durata del suo dominio. Non c’è da meravigliarsi perciò se la rivoluzione delle coscienze che ha sovvertito, nell’arco di un mezzo secolo, convinzioni e abitudini ancestrali, incontra oggi la reazione agguerrita di chi vede comparire alla luce del sole ansie e fantasmi tenuti faticosamente in ombra, e mai del tutto sconfitti.

Donne single, donne che non vogliono figli e che cercano “qualcosa per sé”, omosessuali e lesbiche, transgender e queer, a dispetto di un’educazione familiare e scolastica che ancora stentano a riconoscere il cambiamento, hanno preso cittadinanza visibile e largo consenso nella grande piazza pubblica. La “guerra”, che si poteva temere già negli anni settanta quando sono comparsi i movimenti destinati a ridefinire la politica sulla base di tutto ciò che ha confinato altrove (corpo, sessualità, maternità, divisione sessuale del lavoro, eccetera), è arrivata. Ma con la guerra è arrivata anche la prevedibile resistenza di una soggettività che si è venuta scoprendo capace di riappropriarsi di una molteplicità di manifestazioni di vita umana.

In un articolo pubblicato nel 1973 sulla rivista L’erba voglio e poi nel libro Il bambino dalle uova d’oro, Elvio Fachinelli scriveva:

Ma che cosa c’è alla radice del rifiuto dell’omosessualità maschile (giacché quella femminile propone un discorso, per ora, e per ragioni connesse alla condizione storica della donna molto diverso e meno significativo)? C’è sostanzialmente, da parte del maschio eterosessuale, la paura di perdere, nel contatto con l’omosessuale, la propria virilità, intesa qui molto profondamente come identità personale. Di fronte all’omosessuale, è come se ciascuno sentisse messa in discussione la sua posizione stessa di maschio e ciò che lo differenzia come individuo; come se quella posizione si rivelasse improvvisamente precaria, o incerta, più di quanto succede di solito. Di qui le reazioni di rifiuto e disprezzo; di qui anche i vari e ben noti comportamenti di ipervirilità aggressiva…

La manifestazione che ha richiamato a Roma un numero considerevole di famiglie intere deve giustamente preoccupare, tenuto conto che non a caso l’obiettivo polemico è la scuola, il luogo dove si confronteranno, all’interno di un comune processo formativo, bambini di sesso, condizione sociale e culturale diversa, e dove vige ancora – ma non si sa per quanto – la libertà di insegnamento garantita dalla costituzione. Il corpo a scuola è sempre stato presente, ma è rimasto finora il “sottobanco”, il “mare ribollente delle cose non dette” e che non riusciamo a nominare per lunga repressione, pregiudizi, paure inconfessabili da parte degli stessi insegnanti.

Portare l’educazione alle radici dell’umano è oggi l’intento, dichiarato o implicito, del discorso sulle identità del maschile e del femminile, e di conseguenza sui rapporti ambigui di amore, potere e violenza su cui si sono costruiti. Una materia enorme di esperienza, consegnata finora al chiuso delle case e delle relazioni parentali, esce allo scoperto, il “fuori tema” della cultura e della storia trasmessa finora dalle discipline scolastiche diventa “il tema”.

Espropriata di quello che ha considerato un suo inalienabile appannaggio, la famiglia tradizionale si “arma”, ma è costretta a farlo contro se stessa, contro i cedimenti che avverte al proprio interno, nei rapporti di coppia, nelle inclinazioni sessuali dei propri figli, nella libertà a cui le donne sono sempre meno disposte a rinunciare. Come tutte le guerre, reali o simboliche, farà nascere conflitti, lascerà ferite, ma ci sono acquisizioni della coscienza da cui non si torna indietro.

————————————————-

«Credo che sabato abbiamo perso tutti. Provo a dirvi perché»

don Mauro Leonardi
www.lacrocequotidiano.it

Con la premessa di essere un qualsiasi sacerdote dell’Opus Dei, e pertanto carente di alcun titolo che mi renda idoneo a rappresentare chicchessia se non me stesso, accedo volentieri alla cortese richiesta di Mario Adinolfi di commentare l’imponente manifestazione di sabato scorso a Roma. È noto, infatti, che non vi ho partecipato e che sul mio blog Come Gesù, ho ospitato interventi sia favorevoli che contrari all’evento. Nella Chiesa infatti esiste l’enorme spazio dell’opinabile: il luogo cioè dove «non solo è possibile che io mi sbagli, ma può anche succedere che io abbia ragione e gli altri pure» (San Josemaría Escrivá, L’avventura della libertà).

Dico subito che la piazza di sabato è stata indubbiamente un’importante manifestazione di quell’agire laicale in prima persona, tanto auspicato dal Concilio Vaticano II. C’erano tante famiglie che, dal basso, si sono pagate il loro viaggio e sono intervenute. Questa almeno è stata la percezione di chi, come me, ha assisitito dall’esterno. È alieno dalla mia personalità ipotizzare lobby e complotti, per cui anche in questo caso affermo semplicemente quello che ho visto. Detto questo però, mi viene subito in mente il vangelo di oggi, laddove si dice “perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?” (Mt 7,3). Infatti, anche se forse nelle intenzioni degli organizzatori non era così, quella che è arrivata al paese è stata la logica dello schieramento: un “noi e loro”, un “assediati e assedianti”, che a me pare non giovi assolutamente né alla Chiesa né all’Italia in generale. Uno schieramento preclude la possibilità di aiutare a capire meglio: manifesta un’ansia riduzionista, la voglia di semplificare le cose. E invece, oggi più che mai, abbiamo bisogno di allargare le nostre prospettive. Tra i cattolici, alcuni vedono meglio alcune cose e altri ne vedono meglio altre: la varietà delle posizioni dentro la Chiesa è una ricchezza perché consente di allargare le prospettive, così che alcuni possono arrivare dove altri non sono sensibili. Se invece qualche volta, nei giorni precedenti l’evento, è serpeggiato sui social e nel parlare un “per essere veri cattolici, bisogna partecipare alla piazza”, o “chi non partecipa è complice di chi attacca la famiglia” questo non è stato buono.

In seconda istanza desidero dire con chiarezza che non è impedendo ai gay di sposarsi – anche se la Chiesa non è d’accordo col matrimonio omosessuale – o negando le unioni civili che noi salveremo le nostre famiglie. La famiglia non è in crisi per le unioni civili e i matrimoni delle persone omosessuali. La famiglia è in crisi perché noi – noi cattolici – l’abbiamo imbevuta di individualismo, di falsi bisogni, di consumismo, di rassegnazione che poi si rovescia in rivendicazione. Perché i nostri nonni sono all’ospizio? Perché non c’è la famiglia intergenerazionale allargata? Perché i nostri figli vogliono convivere – cioè rifiutano l’istituto matrimoniale – e invece le persone omosessuali desiderano tale istituzione? Perché non c’è più solidarietà tra le famiglie e siamo tutti preoccupati della nostra privacy e autonomia? Cosa ci succede?

La famiglia è in crisi non perché ci sono le persone omosessuali ma perché, forse, siamo noi persone cattoliche ed eterosessuali ad averla tradita per primi, o comunque a non averla onorata nel modo più pieno. La logica dello schieramento, che necessariamente esteriorizza il problema perché lo identifica con il “nemico”, impedisce quella riflessione seria, interna prima di tutto al mondo cattolico, di cui abbiamo assoluto bisogno. Abbiamo necessità – ben oltre l’aula sinodale – di avviare un discorso onesto e serio sulla famiglia e di chiederci dove, come e quando abbiamo iniziato a tradirla, piuttosto che pensare che il male sia tutto là fuori, in “chi ci attacca”. Infine, innegabilmente, il mondo laico ha identificato tutto il mondo cattolico con le posizioni espresse sabato 20 in piazza San Giovanni. Io, nel mio piccolissimo, ho cercato di far vedere che non era così, ma è stato praticamente impossibile. Questo è un grossissimo problema – se vogliamo è un problema di tipo “politico” – perché è un ostacolo insormontabile a cercare alleanze anche con chi la pensa diversamene ma su singole questioni può essere d’accordo e aiutare a conseguire risultati concreti. Per esempio, a proposito di maternità surrogata ci sono molti laici, molti femministe che sono contrari. Ma dopo sabato 20 giugno sarà ancor più difficile parlare con loro per trovare soluzioni che favoriscano il bene comune, e non quello di una parte, perché la logica dello schieramento radicalizza le posizioni, preclude il dialogo, e quindi la possibilità di perseguire obiettivi intermedi o anche solo parziali, che vanno però a beneficio di tutti. Termino, ringraziando infinitamente questo giornale chi mi dà la possibilità di parlare di queste cose in termini civili e, oserei dire, cristiani.