Lo stato è la Repubblica di M.Vigli

Marcello Vigli
Italialaica, 03.06.2015

L’opposizione alle innovazioni contenute nella proposta di Buona scuola avanzata dal governo Renzi è insorta e si è sviluppata nelle scuole, nelle piazze, in Parlamento per motivi diversi, ma tutti sono confluiti in una conflittualità appassionata a difesa di un bene pubblico considerato inalienabile. Il fronte che si è opposto allo smantellamento del sistema scolastico nazionale, contenuto in quella proposta, non è stato mai così ampio e compatto.

Al suo interno, però, non era piena la consapevolezza della posta in gioco pur nella condivisa individuazione della necessità prioritaria di rintuzzare la proposta della centralità del Dirigente nella gestione di scuole territorializzate e sottratte ad un sistema nazionale. Non è apparso evidente che proprio tale smantellamento era l’obiettivo primario della proposta, in sintonia con una politica perseguita da oltre vent’anni, più o meno consapevolmente da certi settori della sinistra, per un malinteso antistatalismo, e del sindacalismo scolastico, per l’ottusa pretesa di condizionare la “funzione” docente.

Arruolati sotto la bandiera dell’autonomia scolastica hanno coinvolto e confuso sia spinte autenticamente innovatrici, sia forze reazionarie da sempre favorevoli alla privatizzazione della scuola pubblica.

La legittima e innovativa proposta, di sottrarre la scuola al controllo burocratico del Ministero, espressione delle maggioranze parlamentari, dotando il Sistema di una sua Autonomia, si è immiserita nella concessione dell’autonomia alle singole scuole ridotte, in contrasto con il dettato costituzionale, ad appendici delle famiglie funzionali alla formazione di forza lavoro per il territorio e assimilabili nelle finalità alle scuole private

La Costituzione stabilisce, infatti, che La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi, che spetta, cioè, agli organi centrali dello Stato decidere e non agli operatori e agli utenti delle singole scuole che cosa e come si deve insegnare.

Sulla base di questa premessa il testo costituzionale può imporre senza mezzi termini che L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria, mentre, invece, deve limitarsi a stabilire che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario pur riconoscendo che la tutela della salute è al tempo stesso fondamentale diritto dell’individuo, ma anche specifico interesse della collettività,.

Mentre madre e padre vanno in galera se i figli non frequentano la scuola, il malato può morire tranquillamente a casa sua!!!!

La proposta renziana nel Primo articolo della nuova legge, ignorando tutto ciò, si limita a garantire il diritto allo studio e pari opportunità di successo formativo per gli studenti e, coerentemente, affida tale garanzia alla piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, anche in relazione alla dotazione finanziaria.

Si tratta della legge voluta dal Ministro, allora comunista, Luigi Berlinguer che, avviò la trasformazione del Preside, fino ad allora distinto dagli altri docenti per la funzione e non per la dignità, in quel dirigente al quale, oggi, si aumentano, in nome dell’efficientismo, i poteri manageriali già allora attribuiti. Sono stati versati in questi giorni fiumi d’inchiostro per evidenziare la contraddizione fra tale burocratizzazione e le esigenze del processo educativo, a cui la scuola è destinata.

Ma inutilmente.

Se la scuola non serve alla Repubblica, per formare il cittadino all’unità nazionale e all’esercizio della democrazia, ma ai privati, per metterli in condizione di trovare lavoro e alle imprese per disporre di forza lavoro formata a spese pubbliche, è legittimo pensare che un’efficiente azienda sia più funzionale a questo scopo.

Se, però, si pensa che per gestirla meglio dello Stato sia bene affidarla ai privati, si eviti, almeno, di gravarne i costi sull’intera comunità dei contribuenti, sia previsto, cioè, un risarcimento a quelli di loro che, senza azienda o senza figli, non trarranno benefici dalla permanenza di quelli degli altri sui banchi di scuola.

La stessa regola, che consente di affidare a pochi la gestione del denaro di tutti, presiede alla logica dell’otto per mille ispiratrice della geniale trovata di Tremonti alla base del meccanismo di finanziamento della gerarchia cattolica. Esso affida infatti la gestione dell’otto per mille dell’intero ammontare del gettito fiscale ai contribuenti che decidono di farsi carico della scelta del suo destinatario. Ne consegue che pochi scelgono per tutti sottraendo al Parlamento, espressione della sovranità di tutti, la possibilità di gestirlo, cioè di fare il suo mestiere.

L’ipocrita risposta a questa obiezione, “lo stato amministra male”, nasconde un irriducibile antistatalismo, ingiustificato in regime di democrazia ma condiviso da molti, che produce disimpegno civico e, indirettamente, legittima l’evasione fiscale.

Proprio in questi giorni ad un appello per devolvere alla Chiesa Valdese l’otto per mille, lanciato da Micromega, hanno risposto, sottoscrivendolo, intellettuali, preti, giornalisti di diverso orientamento culturale e politico. Con tale destinazione l’8 per mille diventerebbe democratico

perché si opporrebbe all’offensiva clericale volta a limitare irrinunciabili libertà e diritti civili degli individui (che andrebbero invece decisamente ampliati), e alla subalternità e passività dello Stato nelle sue istituzioni parlamentari e governative.

Per opporsi alla degenerazione che scippa al Parlamento e al Governo l’esclusiva nella disponibilità delle finanze pubbliche, diventate tali perché sottratte ai privati, non la si può legittimare con l’ulteriore cessione ad alcuni privati “illuminati” di tale disponibilità.

Anche gli evangelici ne erano convinti!

Non a caso l’Assemblea dei fedeli valdesi ha respinto fino al 1993 la proposta di accettare di partecipare al finanziamento pubblico attraverso l’otto per mille e l’Unione Battista ha resistito fino al 2010 alla tentazione di aggregarsi.

Ad essa, invece, sono oggi pronti a cedere perfino gli agnostici e atei dell’UAAR!

Alla suddetta offensiva si reagisce, invece, destinando l’otto per mille allo Stato che già amministra il restante 92 per mille che nessuno propone di togliergli, e intensificando la battaglia anticoncordataria per giungere ad una soluzione definitiva che tolga alle chiese esenzioni e privilegi non goduti da tutte le altre forme di associazione .

Lo Stato, come concretizzazione della Democrazia repubblicana nelle sue Istituzioni di indirizzo, di governo e di controllo, non può delegare a privati cittadini la gestione e l’esercizio del pubblico denaro senza creare quelle diseguaglianze per eliminare le quali è stato costituito.
Anche nell’era della globalizzazione deve restare garante che la libertà di alcuni – ieri nobili, clero, terzo stato, oggi contribuenti – non sopravanzi quella di altri riducendoli a cittadini di stato inferiore solo perché incapienti.