Migranti: un’agenda tutta da riscrivere di C.Peri

Chiara Peri
Adista Segni Nuovi n° 23 del 27/06/2015

«La tragica perdita di vite umane nel Mediterraneo ha sconvolto tutti gli europei», ha affermato il primo vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans lo scorso 13 maggio, nel presentare la nuova agenda europea sulla migrazione. «I nostri cittadini si aspettano che gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue agiscano per impedire il ripetersi di simili tragedie». Era ancora recente nella memoria la strage avvenuta il 19 aprile, quando un peschereccio con almeno 800 persone a bordo si è rovesciato al largo delle coste libiche. Appena 28 i superstiti.

L’onda dell’emozione sembra rimasta l’unica leva per scuotere i governi europei dalla loro inerzia rispetto alle crisi umanitarie di straordinaria portata che hanno fatto superare largamente, nel 2013 e di nuovo nel 2014, i 50 milioni di rifugiati nel mondo. E si tratta, purtroppo, di un’onda che si infrange rapidamente sul frangiflutti degli interessi nazionali che anche in questo caso hanno ridimensionato in modo sostanziale le proposte iniziali fino ad arrivare a un documento che lascia intravedere diversi punti critici.

Tra gli altri, in particolare il Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs), ha espresso grande preoccupazione su passaggi specifici del documento.

Il piano europeo di re-insediamento (resettlement) dei rifugiati è una misura positiva che l’Unhcr e i principali enti di tutela, tra cui il Centro Astalli, chiedevano da tempo. Tuttavia il numero di 20mila ingressi in due anni ipotizzato per l’intera Unione è assolutamente irrisorio rispetto al numero di rifugiati che cercano di giungere in Europa. Un piano di queste dimensioni non può rappresentare una valida alternativa al traffico di esseri umani. Ricordiamo che, per i soli siriani, l’Alto Commissariato per i Rifugiati aveva chiesto un reinsediamento di 130mila persone.

Destano ancor maggiore preoccupazione i numeri proposti per il ricollocamento (relocation) dai Paesi di primo ingresso negli altri Stati membri dell’Unione, in base a quote prestabilite. Secondo l’agenda, infatti, la misura riguarderebbe solo 40mila persone in due anni di cui 24mila dall’Italia e 16mila dalla Grecia. Solo lo scorso anno l’Italia ha assistito allo sbarco di 170mila persone. Considerando che le domande d’asilo presentate sono state 64.886, se ne deduce che hanno lasciato spontaneamente l’Italia almeno 105mila persone.

Il potenziamento di fotosegnalamento e identificazione attraverso il rilevamento delle impronte digitali, anche con coercizione e detenzione di chi si rifiuta, che verrebbe eseguito all’arrivo in Italia, secondo quanto previsto dal regolamento di Dublino, rappresenta una seria criticità perché di fatto comporterebbe per l’Italia l’onere di dover accogliere sul proprio territorio un numero di domande di asilo molto più alto rispetto al 2014. Non è difficile prevedere che, se i numeri rimangono tali e se non si supera – come più volte annunciato dal governo italiano ma sostanzialmente smentito dall’Europa – il regolamento di Dublino, dovremo assistere all’effetto esattamente contrario al principio di ripartizione dei rifugiati tramite il ricollocamento previsto dall’Ue. Fatta eccezione per i 24mila ricollocabili, gli altri sarebbero costretti a rimanere tutti in Italia.

A questa piccola misura di ricollocamento peraltro potranno accedere esclusivamente siriani ed eritrei: questo è un ulteriore elemento di criticità. Secondo il testo, gli aventi diritto al trasferimento sono solo i richiedenti asilo che provengono da Paesi che hanno il tasso di riconoscimento delle domande di asilo pari o maggiore del 75%. Una simile classificazione è inaccettabile. Lo status di rifugiato deve essere riconosciuto sulla base della dimostrazione di persecuzioni a carattere personale, non sulla base della nazionalità. Fare classifiche tra i Paesi da cui accogliere i rifugiati è contro la tutela del diritto di asilo per quanti fuggono da guerre e persecuzioni.

Oltre a questo problema, per così dire “di principio”, è importante rilevare che nel 2014 in Italia i siriani e gli eritrei che si sono fermati per presentare domanda d’asilo sono stati complessivamente 985. Considerato che, solo via mare, nel 2014 ne erano arrivati 81.974, è facile dedurre che la gran parte di coloro che, sbarcati, avevano scelto di proseguire il viaggio verso il nord Europa erano persone con un chiaro bisogno di protezione. È evidente dunque che i Paesi europei con questa misura non fanno che rafforzare le frontiere interne dell’Unione, ponendosi l’obiettivo di respingere la maggior parte dei rifugiati che spontaneamente potrebbero spostarsi dal Paese di primo approdo.

Si deve infine osservare che l’annunciata e pure auspicabile operazione di contrasto al traffico di esseri umani, se non accompagnata dalla contestuale attivazione di canali umanitari sicuri, costringerebbe i migranti a rimanere bloccati nei Paesi di transito. Si tratterebbe di una sorta di respingimento di fatto in Paesi, come la Libia, che attualmente non assicurano condizioni di sicurezza adeguate e il rispetto dei diritti umani, come abbondantemente documentato da un recente rapporto di Amnesty International (“La Libia è piena di crudeltà”: http://www.amnesty.org.uk/sites/default/files/libya_is_full_of_cruelty.pdf). Non è bloccando i rifugiati in Paesi che non possono offrire loro nessuna forma di protezione che si può pensare di risolvere il problema delle stragi in mare. I governi da anni si concentrano su accordi e politiche capaci di impedire gli arrivi, ma l’unico risultato che si ottiene è un’incalcolabile strage di innocenti.

Niente può distogliere coloro che sono in cerca di asilo dal mettersi in viaggio in cerca di salvezza. Fino a quando l’Europa, colmando un ingiustificabile ritardo, non provvederà a creare per tutte queste persone la possibilità di accedere alla protezione a cui hanno diritto attraverso vie legali e sicure, senza essere costretti a ricorrere a trafficanti pronti ad arricchirsi sfruttando la loro disperazione, continueremo a contare morti ai confini della nostra casa comune. Purtroppo nessuna delle misure contenute nell’attuale agenda, che pure è stata definita audace e innovativa, va concretamente in questa direzione.