Scuola e merito: dalle stelle alle stalle (ovvero la Costituzione stravolta) di A.Sani

Antonia Sani
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Parlare di “stelle” a proposito della legge istitutiva degli Organi Collegiali della Scuola è indubbiamente una forzatura, avendo ciascuno di noi ben presenti i limiti che incepparono sul nascere il funzionamento autonomo di questi organismi. Limiti non casuali. Ma la qualifica di “stella” la merita all’interno di quella Legge 477 /1973 l’art.4,9 relativo allo stato giuridico del personale. Vale la pena richiamarlo alla memoria “…la modalità di valutazione del servizio non riferibile comunque a un periodo superiore al triennio cui dovrà provvedere solo su richiesta dell’interessato un apposito comitato eletto dal Collegio dei docenti previa relazione del capo d’Istituto… Non si dà luogo a note di qualifica…”.

Via in un sol colpo le discriminazioni tra i docenti, clientelismi e acquiescenza a direttori e presidi, competizione tra colleghi… via le note di qualifica, via i concorsi per merito distinto. Via in una parola l’idea che nella scuola, dove i protagonisti sono insieme docenti e alunni, entrambi soggetti viventi, ben altro dalla merce prodotta in azienda, si possa configurare una “carriera”. Rileggere oggi quell’articolo fa una certa impressione.

Sarebbe interessante ripercorrere i verbali del lungo dibattito nelle commissioni, le perplessità di chi riteneva quella formulazione la vittoria di un egualitarismo di marca sessantottina, la determinazione della maggioranza parlamentare che l’approvò. Da chi era formata quella maggioranza? Governi a guida democristiana, Rumor, Andreotti, Rumor, alternanze tra monocolore DC e governi di coalizione DC,PSI,PSDI,PRI, aperture ai Socialisti.

Il PCI non aveva ancora compiuto il grande balzo con Enrico Berlinguer, esploso nel paese proprio grazie all’affermazione dei valori della sinistra nella partecipazione democratica all’interno delle scuole. Ancora una volta, come dieci anni prima con le nazionalizzazioni di beni primari, quali l’energia elettrica, la Scuola Media Unica obbligatoria, fu la Costituzione a vincere: la libertà di insegnamento sancita nell’art.33 doveva essere un diritto tutelato, nessun condizionamento poteva affievolirlo.

Negli anni successivi l’ossessione della valutazione proseguì con andamento carsico. Il luogo comune che la scuola avrebbe perso qualità se non si fosse escogitato un sistema per “valutare” la prestazione dei docenti “sul campo” non si assopì mai. Furono tentate vie traverse: incentivazioni, l’istituzione di figure con responsabilità particolari, riconoscimenti. Si pensò di demandare tutto a una valutazione del sistema scolastico nazionale, ma la disposizione contenuta nell’art.4 della legge 477 /73 non fu fino a oggi mai stravolta.

Questo sta ora avvenendo col ddl in discussione al Senato. L’ossessione della valutazione come strumento nelle mani del dirigente da impiegare a tappeto contraddice l’art.4 della legge citata e insieme l’art.33 della Costituzione. Gli art. 11 e 13 del ddl 1934 disciplinano la valutazione del personale docente per “la valorizzazione del merito” sulla base di criteri individuati da un comitato per la valutazione. (?) Da qui nasce il nostro giudizio di incostituzionalità e quindi di inaccettabilità di questo ddl che ha sollevato nel mondo della scuola una protesta di dimensioni mai viste. Ritornerebbero potenziati dalla triennalizzazione dei contratti quei fantasmi esorcizzati dalla legge 477, l’instabilità dei docenti non proni, competizione tra colleghi, rivalità tra genitori, la stessa chiamata diretta dall’albo territoriale, sia pure edulcorata nei termini, del capo d’istituto, ha la sua radice nell’idea di merito che permea il Piano dell’Offerta Formativa ispirato dallo stesso capo.
Peraltro senza alcuna effettiva garanzia di una maggiore qualità diffusa in tutte le scuole.

Ben altro impegno dovrebbe investire lo Stato per garantire una formazione in servizio generalizzata, e ben altra attenzione all’interno delle scuole per sostenere casi di docenti che lo richiedano in un franco confronto di posizioni, in un clima di collaborazione e solidarietà che la “geografia scolastica” renziana non aiuterebbe certo a manifestarsi.

Altri aspetti di incostituzionalità, rilevati anche recentemente nell’ambito della Commissione Affari Costituzionali del Senato, sono certamente i finanziamenti alle scuole private paritarie e gli sgravi fiscali ai loro frequentatori, l’indebolimento del già esiguo potere degli Organi Collegiali, ma si tratta di provvedimenti non del tutto scaturiti dal cervello renziano: la strada era già stata preparata da decenni di interventi, da Luigi Berlinguer, alla Moratti, a Fioroni, alla Gelmini; quello che invece è proprio farina del sacco del nostro premier e dei suoi collaboratori è lo stravolgimento dell’ordinamento costituzionale operato dal marchingegno della “valorizzazione del merito”. Per questo se il ddl 1934 non verrà respinto rischiamo di finire davvero “nelle stalle”.