La cultura del rispetto delle minoranze, questa sconosciuta di D.Accolla

Dario Accolla
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Lo sciopero della fame di Scalfarotto, ufficialmente approntato per riportare al centro del dibattito il tema delle unioni civili, ci pone un problema di credibilità da parte del Partito democratico e del Presidente del Consiglio, che ai tempi delle primarie fece delle civil partnership (con tutti i diritti del matrimonio inclusi) un suo cavallo di battaglia. Il gesto del sottosegretario si lega, per altro, alle dichiarazioni di Monica Cirinnà: “fatevi sentire”. Proveniamo da mesi anche abbastanza roventi – e non solo per il clima – in cui dal singolo parlamentare all’ultimo dei militanti, passando per l’azione del governo, di certi temi si è discusso quali l’irrilevanza della sinistra interna al partito di maggioranza o la cosiddetta “buona scuola”, solo per citarne due. Ciò dimostra, quindi, che quando si vuole il politico di turno riesce ad avere un’opinione. Il gesto del digiuno e le dichiarazioni della relatrice del ddl denunciano, di contro, il sostanziale disinteresse di un’intera classe politica rispetto alla questione. Ciò comporta, quindi, almeno due ordini di considerazioni.

In primis: il Partito democratico non è riuscito ancora a sviluppare una cultura del rispetto delle minoranze, a cominciare da quella LGBT. Non si è capito, con tutta evidenza, che relegare a fatto elitario (o peggio ancora, come capriccio borghese) il tema cruciale dei diritti affettivi è una questione di democrazia a più ampio raggio. Una società che garantisce giuridicamente legami tra persone dello stesso sesso, è una società che si cementifica. Crea maggiori opportunità, anche economiche: migliaia di coppie potrebbero accedere ai mutui e dare ossigeno al mercato immobiliare. Per non parlare dei capitali portati all’estero per la celebrazione dei matrimoni oltre frontiera. Un partito che non capisce tutto questo può pure candidarsi a guidare il paese, ma rimane e sarà sempre una soggetto provinciale, di parte e – spiace dirlo, ma è così – sostanzialmente omofobo.

Ancora sul primo punto, c’è il problema dell’influenza dei cattolici e di quanti, dentro la maggioranza di governo (a cominciare dall’Ncd) si oppongono al ddl su questioni legate alla fede. Che siano questi soggetti ferventi cattolici o rappresentanti di quell’elettorato, mette tristezza che Matteo Renzi – l’uomo che ha sfidato i sindacati con il jobs act e che ha umiliato migliaia di insegnanti con la riforma della scuola, nonostante tutte le proteste del caso – sia ostaggio di un Angelino Alfano qualsiasi. Eppure è proprio quello che sta accadendo all’immagine del nostro premier. Poi certo, c’è la peggiore delle ipotesi, e cioè che al nostro presidente del Consiglio nulla importi di un provvedimento sul quale si sta spendendo pochissimo. Il tempo ci darà le risposte che cerchiamo.

Secondo aspetto: le maestranze LGBT dentro i partiti. Per anni gay e lesbiche interni al Pd ci hanno convinto della necessità della loro presenza per cambiare il partito. Eppure la situazione non sembra così diversa da quella dei DS o, peggio ancora, della Margherita. E ciò lo dimostrano proprio le proteste di Scalfarotto e gli appelli di Cirinnà sul silenzio della classe dirigente e sui continui ritardi rispetto all’iter di legge. E ciò lo dimostra, dinamiche parlamentari a parte e tolto l’interesse genuino di questo o quel rappresentante, quell’assenza di una cultura per le minoranze a cui si è accennato. Per un Giovanardi o una Binetti che tuonano di continuo, per un Family Day che funesta il paese con una piazza in cui si sciorinano teorie nel migliore dei casi fantasiose sul femminicidio, coloro che dovrebbero essere gli alleati – l’esercito dei “buoni” insomma – tacciono.

E ricordo, a questo proposito, le parole di Martin Luther King, che diceva che a ferire non è tanto l’odio del nemico, quanto l’ignavia di chi si considera dalla nostra parte. Quest’ordine di considerazioni, quindi, pone un dilemma di non secondaria importanza: ma quei gay e quelle lesbiche che dentro il Pd ci sono entrati fin dal primo momento, che cosa hanno fatto di buono per giustificare, ad oggi, la loro presenza? Poltrone e incarichi a parte, si intenda. Che va benissimo far carriera, ci mancherebbe, ma non sulla pelle della gay community. Intanto attendiamo che arrivino le dovute risposte. Dal Pd, sull’approvazione delle unioni. Dai gay di partito sull’efficacia del proprio ruolo.