La legge che imbavaglia la Spagna di M.Mora

Miguel Mora
www.internazionale.it

Il New York Times l’ha definita una “legge abominevole” e ha affermato che riporta la Spagna “in maniera inquietante ai tempi bui di Franco”. Il relatore speciale dell’Onu per il diritto alla libertà di associazione e di riunione pacifica, Maina Kiai, ha invitato i legislatori spagnoli a sospendere la legge, dicendo che “il diritto di protestare pacificamente e di esprimere collettivamente un’opinione è fondamentale per l’esistenza di una società libera e democratica”.

Ma niente di tutto questo ha fatto cambiare idea a Mariano Rajoy e al suo ministro dell’interno, Jorge Fernández Díaz, un membro dell’Opus dei che aveva già fatto intuire il suo senso di cristianità quando ha difeso i sedici componenti della Guardia civil che hanno usato mezzi antisommossa contro un gruppo di immigrati e rifugiati mentre cercavano di raggiungere a nuoto la Spagna dal Marocco, causando la morte di quindici persone.

Rajoy e Fernández hanno ignorato gli avvertimenti di giuristi, mezzi di informazione e ong, e il 1 luglio la legge sulla sicurezza, più nota come legge bavaglio (ley mordaza), è entrata in vigore in Spagna, finora la quarta economia della zona euro. La legge arriva dopo tre anni e mezzo di maggioranza assoluta del Partito popolare spagnolo (Ppe), un periodo che indubbiamente passerà alla storia come uno dei più neri e più affascinanti dal punto di vista politico e sociale della recente storia spagnola.

La legge, che è stata approvata dalla cerchia del Ppe in parlamento e contro cui l’opposizione ha presentato ricorso davanti alla corte costituzionale, prevede 44 fattispecie che concedono al governo la facoltà di multare i cittadini con sanzioni che vanno dai cento ai seicentomila euro per infrazioni amministrative suddivise in tre categorie: lievi, gravi e molto gravi. L’obiettivo della legge è consentire alla polizia di agire in maniera rapida e decisa contro le persone che commettessero una o più di una di queste 44 infrazioni senza passare davanti al giudice, cosa che in effetti ci riporta ai tempi della dittatura franchista e ci fa ripiombare in uno stato di polizia.

La legge bavaglio è anche peggiore delle norme in vigore in quegli anni atroci. All’epoca, quando la polizia arrestava un manifestante e il giudice lo rimetteva in libertà, la polizia aspettava sulla porta la persona fermata e le imponeva una multa amministrativa. Adesso le forze di sicurezza potranno imporre le multe direttamente, senza la mediazione di un tribunale. Secondo la nuova legge, gli atti di disubbedienza o di resistenza all’autorità non saranno più considerati un’infrazione lieve (come prevedeva la legge 1 del 1992) ma grave, punita con una multa da 601 a 30mila euro.

La paranoia del governo

Com’è possibile che una simile legge liberticida sia stata approvata all’inizio del terzo millennio in Spagna? La prima risposta alla domanda sta nella profonda paura del Ppe nei confronti delle manifestazioni e dei mezzi di informazione liberi.

Il presidente Rajoy, abituato a presentarsi davanti ai giornalisti attraverso uno schermo al plasma per evitare domande dirette, nel 2004 perse le elezioni contro Zapatero perché il suo partito aveva mentito sull’attentato jihadista contro la stazione di Atocha: gli spagnoli scesero in piazza a chiedere spiegazioni, non le ottennero, e due giorni dopo punirono il governo alle urne. Quattro anni fa milioni di cittadini indignati hanno invaso le piazze spagnole durante le proteste del 15-M: la richiesta di una maggiore democrazia aveva assunto un andamento condiviso in tutto il paese. Adesso il governo conservatore affronta gli ultimi mesi di legislatura in una situazione di fragilità quasi disperata.

La sua popolarità è ai minimi termini a causa della diffusissima corruzione, della durezza dei tagli dovuti all’austerità e degli enormi tassi di disoccupazione e precarietà (un terzo degli spagnoli oggi vive sotto la soglia di povertà). Rajoy vuole evitare a tutti i costi nuove manifestazioni che lo metterebbero ancora più in difficoltà. L’ombra della Grecia è lunga. Podemos, che ha strappato al Ppe alcune delle principali città alle ultime elezioni comunali, è una minaccia molto seria per il sistema bipartitico spagnolo, screditato e marcio. La legge prevede sanzioni fino a 600mila euro in quattro casi. Per farsi un’idea della paranoia che la ispira, basti sapere che punisce allo stesso modo la “fabbricazione o il commercio di armi ed esplosivi” e le “manifestazioni o riunioni non comunicate”.

La seconda ragione, è il desiderio di trasformare la strada in un commissariato. Sono previste multe fino a 30mila euro per chi manifesterà davanti a istituzioni pubbliche, per chi fumerà una canna in pubblico, per chi chiederà prestazioni sessuali vicino a scuole o asili, per chi interromperà un evento pubblico (una partita di calcio, una conferenza o una messa), per chi sposterà una transenna della polizia o un cassonetto, per chi si opporrà a uno sfratto (ce ne sono stati 600mila in sette anni), per chi non avrà con sé la carta di identità, per chi esibirà un’arma, per chi si travestirà da poliziotto, per chi manderà qualcun altro a comprare droga al posto suo o per chi pianterà marijuana in giardino.

La terza ragione sta nel progetto di limitare la libertà di espressione. La legge bavaglio punirà con multe fino a seimila euro i professionisti e i mezzi di comunicazione che fotograferanno, pubblicheranno o denunceranno casi di abuso o maltrattamento compiuti dalla polizia, e punirà le fughe di notizie e la pubblicazione di alcune informazioni e immagini.

Quest’ultimo punto, seppur grave, è il meno necessario della legge. Anche se a molti italiani sembrerà impossibile, il governo del Ppe ha superato Silvio Berlusconi in quanto a controllo della stampa. Senza troppo rumore, grazie al sostegno di alcuni mezzi di informazione e con l’aiuto delle grandi banche che hanno “salvato” alcuni quotidiani in rovina trasformando il loro debito in azioni, oggi il Partito popolare controlla più del 90 per cento dei mezzi di informazione pubblici e privati della Spagna.

Se aggiungiamo a questa realtà la legge bavaglio e le riforme politiche e del lavoro che hanno privato gli spagnoli di altri diritti e libertà fondamentali (lavoro, istruzione, sanità, pluralità, casa), la conclusione del New York Times è probabilmente fin troppo ottimista.

In effetti per alcuni versi siamo tornati agli anni tragici e bui di Franco. Ma sono rispuntate anche la resistenza e la mobilitazione, e la speranza di molti è che il boomerang della giustizia finisca per ritorcersi contro questo governo guidato da un partito corrotto e clientelare che si finanzia illegalmente da quarant’anni con commissioni e mazzette registrate in una contabilità clandestina. Speriamo che la legge bavaglio sia solo il penultimo segno di vita di un governo servile con gli amici e i potenti e dispotico con gli oppositori e i cittadini.

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Il bavaglio che non passa mai di moda

Matteo De Fazio
www.riforma.it

La nuova legge spagnola sull’ordine pubblico prevede sanzioni durissime per chi manifesta. Giulietti, Articolo 21 «si colpisce il diritto dei cittadini a scrivere, a esprimersi e a conoscere»

Dal primo luglio, è in vigore in Spagna una nuova legge di sicurezza civica, molto repressiva per chi intende esprimere il proprio dissenso attraverso manifestazioni pubbliche: da mesi sono in corso proteste per impedirne l’approvazione e ora l’opposizione ha fatto ricorso davanti alla Corte costituzionale. Questa legge, soprannominata Ley Mordaza, legge museruola, prevede delle sanzioni che vanno dai cento ai seicentomila euro per infrazioni amministrative che possono essere applicate dalla polizia senza passare da un giudice: non sarà possibile scrivere su Internet dove si tengono atti di protesta non autorizzati, non sarà possibile fotografare le forze dell’ordine, non sarà possibile fare spettacoli o riunirsi nei pressi dei palazzi ufficiali, né occupare piazze o fare presidi. Commentiamo la notizia con Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21.

Che ne pensa di questa legge così repressiva?

«Purtroppo è un contagio che si sta diffondendo: in Francia, in Ungheria, in Italia, con la forte discussione sulla legge bavaglio: ma la legge spagnola è ancora più subdola e insidiosa. In effetti non è una legge solo sull’informazione, ma a tutela dell’ordine pubblico: si utilizza questo argomento con quello della sicurezza nazionale per fare operazioni di tutt’altra natura. Questa legge, che prevede diversi divieti, dice per esempio che se associazioni come Articolo 21 dovessero pubblicare sul proprio sito l’annuncio di una manifestazione o di un presidio non autorizzati, o di un’iniziativa che non si ritiene aver avuto tutte le regolari autorizzazioni, la polizia può procedere ad una sanzione e alla chiusura, perché la manifestazione viene considerata complice di un atto contro la sicurezza nazionale. Utilizzando la nozione di ordine pubblico si colpisce il diritto dei cittadini a scrivere, a esprimersi e a conoscere. Una legge che non ha a che vedere con la pubblica sicurezza, ma con il controllo preventivo delle piazze e con le grandi manifestazioni degli indignados di questi ultimi anni. Il fotografo che si reca alla manifestazione che si dice non essere autorizzata è compartecipe di un atto contro l’ordine pubblico, e questa è una violazione dei diritti di libertà».

Un problema che non è solo spagnolo.

«Infatti. In Italia, la legge sulla diffamazione, approvata in terza lettura alla Camera e che ora deve tornare al Senato, elimina il carcere, ma non introduce nessuna norma per scoraggiare le querele temerarie. Il mondo del malaffare potrà intimorire con querele preventive per milioni di euro una testata che, se prosciolta, non riceverà nessun indennizzo dal molestatore. Un modo per rafforzare chi minaccia e indebolire chi racconta. L’Egitto sta passando a una stretta repressiva ulteriore sul diritto di cronaca, utilizzando l’argomento del terrorismo e della sicurezza. Argomenti veri, ma che guarda caso vanno a colpire quei cronisti e quei giornali che cercano di esercitare lo spirito critico. Credo sia giunto il momento per il sindacato internazionale e per le tutte le associazioni professionali dei giornalisti di indire una grande manifestazione europea a Bruxelles, e di non far finta che si tratti di tanti casi isolati: occorre una risposta forte, corale e pubblica a difesa del diritto a informare ed essere informati, che è a rischio».

Sicurezza in cambio di libertà: un ‘equazione che continua a funzionare.

«Dopo la grande manifestazione per la libertà di espressione a Parigi, dopo i fatti di Charlie Hebdo, la situazione è diventata sempre più preoccupante: in Spagna, ma anche in Francia, dove si sta aumentando la stretta su blog e siti, o in Italia, dove sta per arrivare una legge sulle intercettazioni che potrebbe ridurre ulteriormente la possibilità di raccontare il contenuto delle intercettazioni per la quale, per esempio, il caso Mafia Capitale non sarebbe uscito. L’Ungheria ha messo una stretta sull’esercizio del diritto di cronaca, controllando totalmente l’emittente pubblica. In Grecia, prima di Tsipras, l’emittente pubblica era stata chiusa con l’intervento della celere per mettere a tacere le voci dissidenti. La situazione è preoccupante e richiede i riflettori accesi, ma sembra che ci sia una scarsa capacità di reazione, non solo nel nostro paese. Il valore della libertà di informazione e dei diritti civili tende a ridursi. Sforare i parametri del Pil sottopone i paesi europei a sanzioni durissime, ma sforare i parametri delle libertà non sottopone allo stesso tipo di sanzioni. Chi ama l’Europa unita come noi, ha il dovere di essere ancora più implacabile nella denuncia, per non lasciare il via libera a questo tipo di atteggiamenti repressivi».