Non lo sanno e non vogliono saperlo di S.Zingaretti

Sandra Zingaretti
http://comune-info.net

Che ne sanno i “polTronisti” al governo cosa si prova ad essere precario e cosa significa fare l’insegnante? Che ne sanno che cos’è il lavoro, loro che di mestiere occupano (abusivamente) una poltrona in un ministero e una sedia in tv? Che ne sanno di cosa significa riformare la scuola loro che per “cambiamento” intendono “rimpastino”? Che ne sanno di cosa significa avere uno spezzone di supplenza e campare con 400/800 euro al mese o, quando ti va bene bene, 1300? Che ne sanno della vita e dei costi dei precari lontani dalle loro città e dalle loro famiglie, licenziati ogni anno a giugno senza sapere se lavoreranno di nuovo? Che ne sanno che non potranno mai comprarsi un’auto, figuriamoci una casa? Che ne sanno che i precari, abilitati e non, hanno esperienza anche ventennale e trentennale e che hanno conseguito lauree, specializzazioni, titoli, pubblicazioni, superato concorsi, tirocini, master?

Che ne sanno che sono proprio loro a mandare avanti le scuole “difficili”, quelle da cui se ne vanno tutti? Che ne sanno che per una mela marcia, prontamente sbattuta in prima pagina, ci sono cento docenti totalmente dediti alla scuola che non fanno solo gli ho insegnanti, ma anche gli educatori, gli psicologi, gli assistenti sociali, i padri, le madri e le famiglie che alcuni alunni a volte non hanno? Che ne sanno che gli studenti non sono “merce”, il sapere non può essere “profitto” e la scuola non può essere “azienda”? Che ne sanno che non abbiamo tre mesi di vacanze, ma che i “fortunati” di ruolo a luglio lavorano e a fine agosto rientrano? Che ne sanno che il “privilegio” di avere la pausa a Natale, Pasqua e agosto (se non ti sospendono la supplenza) significa non potersi permettere una vacanza perché è alta stagione?

Non lo sanno e non hanno interesse a saperlo, perché il marchio di fabbrica degli improvvisati, approssimativi e improbabili politicanti del Partito democratico, come i vari Faraone, Puglisi, Malpezzi, Ascani, Luccisano o Spicola, è l’arroganza, la supponenza, la violenza verbale, la chiusura al dialogo, il rifiuto all’ascolto, la menzogna e la diffamazione come forme di difesa.

Perciò questo governo ha giocato a rimpiattino con gli insegnanti: ha prima illuso i precari mettendoli gli uni contro gli altri con il miraggio di un’assunzione, per poi dare loro in realtà solo una “stabilizzazione”, per tre anni e con periodo di prova non ripetibile; ha “sistemato” gli altri precari (abilitatisi a caro prezzo) nel calderone degli albi (ora ambiti) senza inserirli in alcun piano di assunzione pluriennale; ha tolto la titolarità ai docenti di ruolo costringendoli tutti ad un ritorno al precariato; ha umiliato l’intera classe docente con la macchina del fango messa in moto dai media.

Ecco come questo governo, con l’approvazione del disegno di legge scuola, ora legge 107 del 13 luglio 2015, ha risolto la “piaga del precariato“: eliminando fisicamente i precari e creandone di nuovi. Ecco come ha risolto la “vexata quaestio” su merito e valutazione dei docenti: ci penserà un preside qualunque, che “individuerà” chi gli serve da un elenco, in cui l’unico criterio d’inserimento sarà l’ordine alfabetico e non il merito, una specie di volantino del supermercato con le offerte. Ecco come ha risolto la carenza dei bidelli già tagliati dalla scure Gelmini: non menzionandoli nemmeno. Ecco come ha aiutato le famiglie che hanno difficoltà persino a pagare il “contributo volontario” alla scuola pubblica statale: finanziando quelle che iscrivono i figli alle scuole private.

Che governo è un governo, non voluto e non votato, che si ostina stolidamente a “fare” senza “sapere”? È esattamente quello che dice di essere: un “governo del fare”. Schifo.

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Quanto è cattiva la “Buona Scuola”

Angelo d’Orsi
www.micromega.net

Renzi e la ministra Giannini, una delle “Renzi Ladies”, cantano vittoria: il DDL sulla “Buona Scuola” (che infamia, già l’etichetta!), è stato approvato da una Camera dalla cui aula la residua e risibile “opposizione interna” del PD è uscita, credendo di salvarsi l’anima. Una prece per loro e per la “ditta” (Bersani docet).

Il decreto è un tassello importante del percorso del ducetto fiorentino, volto alla eliminazione dei corpi intermedi, alla sconfitta delle rappresentanze sociali e all’azzeramento della dialettica democratica. Un tassello tanto più importante se lo si colloca nel contesto delle altre “riforme” portate avanti da questo governo che si sta rivelando, una settimana dopo l’altra, uno dei peggiori, per la qualità negativa della sua azione, ossia per gli effetti in corso e quelli prevedibili, della storia repubblicana.

La riforma elettorale, quella costituzionale, le modifiche del mercato del lavoro, la responsabilità civile dei magistrati, persino l’abolizione delle Province (asserita, peraltro, con la creazione di quel monstrum giuridico e politico delle “Città metropolitane”) … Tutto concorre a disegnare uno scenario perfetto di “post-democrazia”, ossia di un regime sostanzialmente autoritario e neoleaderistico che conserva in parte, anche se sempre più ristretta, le forme della democrazia. E il cui obiettivo di fondo è appunto smantellare le conquiste politiche, culturali, sociali delle classi subalterne, e sottoporle alla dura legge della tecnocrazia finanziaria.

E tutto ciò persino a prescindere dai contenuti della riforma della scuola: che, come ogni governo che miri a lasciare una traccia, quello renziano ha voluto ad ogni costo “portare a casa” (l’orribile lessico politico del nostro tempo). Malgrado l’opposizione assoluta di insegnanti docenti personale, e di tutti, dicasi tutti, i sindacati. Ma che importa? Loro tirano diritto. Chissà dove finiranno. Ossia, fermiamoli, prima che sia davvero troppo tardi. La battaglia sulla scuola non riguarda solo i diretti interessati, così come tutte le altre infamie realizzate o messe in programma da Renzi e dal suo PD (ultima la ripresa dell’Unità, trasformata, dopo mesi di assenza dalle edicole, in un miserevole bollettino di partito, con una redazione da cui sono stati espunti tutti gli elementi non allineati).

Quanto alla “Buona scuola”, tra la falsa apologetica del “merito”, la creazione di presidi manager e insieme sceriffi (per edulcorare la pillola si è inventata la grottesca definizione di “leader educativo”!), la squalificazione del servizio pubblico, la presa in giro dei precari, con lo spaccio di cifre fasulle sulle assunzioni, lo spazio concesso ai privati (cattolici, in primis, ovviamente; la perla è la deducibilità fiscale dei contributi finanziari alle scuole private), condito da mito della “modernità”, dell’“efficienza”, della “innovazione”, della “internazionalizzazione”…, ebbene, si tratta di un’autentica schifezza. Se davvero portata avanti nella pratica dei prossimi mesi ed anni, questa ennesima “riforma” della scuola, darebbe un colpo mortale al sistema formativo italiano, tanto più che già Renzi e la sua ministra annunciano un Jobs act per l’Università: vogliono cancellare la scuola (e l’università) intese come bene di tutti, come centri pubblici di formazione e di elaborazione di sapere critico.

A che si ridurrà la formazione degli italiani? Alla preparazione al fantomatico “Mercato” (con la maiuscola), al lavoro in azienda (ma quali!?), esattamente come la democrazia viene ridotta alla pratica della “governabilità”, le discussioni sono bollate come perdite di tempo, e il preside giudica e manda, recluta e condanna, proprio come un presidente del Consiglio che si riscopre “capo del Governo”, secondo l’etichetta creata da Alfredo Rocco, novant’anni or sono. E pretende di comportarsi da capo che decide motu proprio, continuando a ripetere di essere legittimato da votazioni europee e da pseudovotazioni interne (le cosiddette Primarie, peraltro accusate di brogli e tuttora gravate da una nuvola di sospetti).

Sotto il segno del comando, la scuola, come la fabbrica, come la società, come le istituzioni, dal Parlamento al potere giudiziario. Ecco il renzismo, con il suo condimento giovanilistico, e il suo piglio realizzatore, in realtà prono a voleri esterni, di cui il tronfio capetto non è che uno zelante esecutore.

Una ragione di più per fermarlo.