I migranti sono il nemico perfetto di M.DeFazio

Matteo De Fazio
www.riforma.it

Con Francesco Piobbichi (Mediterranean Hope) ragioniamo su come viene raccontato il fenomeno migratorio: ai tempi della comunicazione social, le fasce più deboli della popolazione restano un capro espiatorio ineguagliabile

Il 15 luglio, a Quinto di Treviso su ordine del prefetto sono stati trasferiti 101 migranti in un residence della città. Il loro arrivo ha scatenato le proteste di una quarantina di residenti, ai quali si sono uniti militanti di Forza nuova e Lega Nord. La notte successiva sono stati assaltati gli appartamenti che ospitavano i migranti, ci sono stati dei furti e sono stati incendiati alcuni mobili sottratti all’edificio. Nelle stesse ore, a Roma alcuni militanti di CasaPound e residenti di una zona residenziale sulla Cassia, hanno bloccato il trasferimento di una ventina di richiedenti asilo e migranti in un’ex scuola al Casale San Nicola. Commentiamo le notizie con Francesco Piobbichi, dell’osservatorio lampedusano Mediterranean Hope, della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia.

Come si possono leggere questi eventi?

«Avvengono in coda ad una delle più grandi campagne mediatiche che l’Italia abbia conosciuto verso i migranti, tra i soggetti sociali più deboli nel nostro Paese. Dobbiamo leggere il fenomeno a partire da come i media, dai giornali locali fino ai Talk Show televisivi, lo hanno utilizzato per costruire la retorica del nemico perfetto. Un meccanismo che abbiamo analizzato abbastanza bene e che intreccia vari elementi: la paura della classe media italiana, che si sente insicura per la crisi e viene mobilitata attraverso la paura dell’invasione o delle malattie, verso chi subisce la crisi, e non verso chi la provoca davvero. A questo va aggiunto che nei casi come quello di Treviso c’è un modello di gestione da parte dello Stato che spesso non funziona, perché è verticale e non costruisce elementi di partecipazione e corresponsabilità dei cittadini sulla questione dell’accoglienza. Mettere cento persone in un residence provoca immediatamente un elemento di ostilità. A Roma la situazione era diversa, manifestava il ceto medio romano: le periferie della città sono già molto ricche di centri di accoglienza, e si stava cercando di avvicinare queste strutture al centro della città. Un po’ quello che abbiamo fatto a Scicli, dove la nostra Casa delle culture è stata messa nel cuore della città. E in ogni caso, sul nemico perfetto è facile costruire campagne di mobilitazione territoriale».

Ad oggi sono 82 mila gli ingressi in Italia, c’è stato un aumento solo dell’8% rispetto al 2014. Perché i numeri sono ignorati e non riescono a vincere l’ideologia?

«Credo che siano saltate completamente le barriere della discussione: oggi abbiamo sui social network persone che pubblicamente gioiscono della morte dei bambini in mare e del naufragio dei barconi, ma continuando ad essere accettati socialmente. Non è più questione di numeri, è una questione di una paura irrazionale trasmessa con responsabilità da parte dei media e del governo: infatti, è facile prendersela con il nazista che fa il saluto romano davanti ai profughi; è molto meno facile prendersela con quelle trasmissioni televisive che mobilitano l’opinione pubblica contro le persone indifese. Abbiamo visto trasmissioni in cui sono state inventate delle video interviste contro i rom, e nessuno dei direttori che le ha mandate in onda è stato sospeso. Ho letto delle cose agghiaccianti sui giornali locali sulle quali nessuno interviene. Occorre affrontare questa questione per quello che è: dentro la crisi si cerca un capro espiatorio che permetta di continuare di mantenere lo status quo».

Nessuno interviene perché la carta stampata ha perso potere o perché c’è un disinteresse generale?

«Penso che l’opinione pubblica sia oggetto di campagne di propaganda che funzionano: su questo vedo che tutti i media lavorano in maniera continua. Oltre a ciò è chiaro che anche i grandi vettori comunicativi che hanno accesso ai social media riescono a diffondere ancor di più questo tipo di notizie. In alcuni commenti si diceva che “noi italiani siamo così”, ma è scorretto: molti italiani non condividono nulla con chi manifestava a Roma contro i 20 profughi. Ma dire “noi e loro” è un qualcosa che viene continuamente riproposto per alimentare i meccanismi di paura».

Qual è il limite del modello verticale dello Stato?

«A Lampedusa cerchiamo di accogliere le persone che arrivano con un abbraccio, un saluto e un segno della vittoria. Dobbiamo costruire un pensiero nuovo, che sottrae il fenomeno alla dimensione emergenziale, considerando che può essere gestito benissimo dalla società civile. Dall’altra dobbiamo pensare che avere delle persone straniere nelle nostre città può essere un’occasione per fare progetti che leghino i bisogni delle persone più vulnerabili in Italia, con i bisogni dei migranti. Dobbiamo ricostruire un noi che è un’altra cosa dal noi contro loro. Un noi che sia capace a legare i bisogni dei diritti dei migranti, con i bisogni dei diritti dei cittadini italiani. Abbiamo cercato di farlo alla Casa delle culture di Scicli, valorizzando le capacità delle persone accolte ma mettendole anche in gioco rispetto al territorio in cui vivono».