«Il vero target turco sono i kurdi, non l’Isis» di C.Cruciati

Chiara Cruciati
Il manifesto, 27 luglio 2015

Raid sullo Stato Isla­mico in Siria, ope­ra­zioni mili­tari con­tro il Pkk tra Tur­chia e Iraq: Ankara, dopo un anno di silen­zio e accuse di col­la­bo­ra­zio­ni­smo con l’Isis, si è lan­ciata con­tro gli isla­mi­sti. Ma il tar­get prin­ci­pale è chia­ra­mente un altro: il movi­mento kurdo. Fini­sce così una tre­gua mai real­mente voluta dalla Tur­chia di Erdo­gan, le cui poli­ti­che neo­li­be­ri­ste e nazio­na­li­ste hanno affos­sato le tante richie­ste di demo­cra­zia pro­ve­nienti dalla base, turca e kurda.

Ne abbiamo par­lato con Murat Cinar, gior­na­li­sta e atti­vi­sta della sini­stra turca.

Dopo aver evi­tato di inter­ve­nire per oltre un anno, ora la Tur­chia col­pi­sce lo Stato Isla­mico. Ma anche e soprat­tutto il Pkk. Sem­bra che l’azione con­tro l’Isis sia in realtà una giu­sti­fi­ca­zione all’intervento con­tro il movi­mento kurdo.

Le prime ope­ra­zioni subito dopo la strage di Suruc com­piute in quasi 25 città, con lo scopo di arre­stare even­tuali appar­te­nenti alle orga­niz­za­zioni Hpg, Pkk e Isis, hanno reso chiaro il pro­po­sito del governo: repri­mere il Pkk, attra­verso arre­sti di massa e seque­stro di beni. Azioni che non veni­vano messe in atto da quando l’Akp e i ser­vizi segreti hanno optato per il nego­ziato con Oca­lan. La scorsa set­ti­mana la rot­tura della tre­gua si è con­cre­tiz­zata con i bom­bar­da­menti dei jet tur­chi con­tro la mon­ta­gna di Qan­dil, dove si tro­vano uffi­ciali del Pkk e sedi dell’organizzazione.

Ma i raid non vanno letti come un intento secon­da­rio: la Tur­chia non attacca l’Isis e, con quella scusa, anche il Pkk. La prima notte, la Tur­chia ha bom­bar­dato l’Isis in un inter­vento molto sem­plice e breve, solo 25 minuti e 5 bombe. Quello con­tro il Pkk non è un inter­vento secon­da­rio, ma pri­ma­rio: le parole di Davu­to­glu e le azioni dell’esercito sono l’espressione chiara dell’intenzione di col­pire il Pkk e non l’Isis. Davu­to­glu dome­nica ha detto che lo scopo è rispon­dere al Pkk in merito all’uccisione dei due poli­ziotti a Cey­lan­pi­nar. Un gesto forte dopo due anni e mezzo di quasi totale silen­zio. Dico quasi per­ché negli ultimi mesi la ten­sione era salita: l’esercito ha costruito dighe e nuove caserme in ter­ri­to­rio kurdo e ha mili­ta­riz­zato il territorio.

Ancora sabato e dome­nica in altre 30 città migliaia di poli­ziotti hanno svolto ope­ra­zioni nelle abi­ta­zioni di civili por­tando in caserma cen­ti­naia di pre­sunti mem­bri del Pkk, ma anche mem­bri del Par­tito Demo­cra­tico del Popolo, l’Hdp.

In realtà Erdo­gan non ha mai por­tato avanti seria­mente il nego­ziato. Per­ché l’Akp non vuole la pace?

Par­liamo di una realtà par­ti­tica par­ti­co­lare: l’Akp prende i voti non solo dai con­ser­va­tori, ma anche dai nazio­na­li­sti. Con l’apparizione di Erdo­gan sulla scena poli­tica, il par­tito nazio­na­li­sta turco è morto e i voti sono con­fluiti sull’Akp, una com­pa­gine nuova con un lea­der cari­sma­tico che aveva pro­messo un fit­ti­zio rilan­cio eco­no­mico e la solu­zione di un pro­blema sto­rico senza armi.

Ma men­tre Erdo­gan pro­met­teva una solu­zione di ricon­ci­lia­zione nazio­nale (anche per atti­rare i voti dei kurdi con­ser­va­tori o dei gio­vani kurdi che non hanno cono­sciuto l’epoca della repres­sione), sapeva di rischiare di per­dere con­senso tra il pro­prio elet­to­rato trat­tando con Oca­lan, defi­nito dalla stampa come macel­laio e ter­ro­ri­sta. Dif­fi­cile giu­sti­fi­care all’opinione pub­blica un nego­ziato tra i tuoi par­la­men­tari e i tuoi ser­vizi segreti e il Pkk. Per que­sto, men­tre par­lava di pace, Erdo­gan negava l’identità kurda, l’insegnamento della lin­gua kurda, impe­diva la par­te­ci­pa­zione poli­tica dei kurdi e get­teva fango sull’Hdp.

È un gioco insano che non poteva reg­gere. Per­ché men­tre Erdo­gan ucci­deva i nostri gio­vani a Gezi Park, ren­deva pre­ca­rio il lavoro, sven­deva il paese, le ban­che e i porti ai pri­vati, intro­du­ceva i pac­chetti di sicu­rezza più tota­li­tari mai visti in Tur­chia, ucci­deva cen­ti­naia di ope­rai ren­dendo insi­curo il lavoro, non poteva allo stesso tempo costruire la pace né ren­dere più demo­cra­tico il paese.

Nei pros­simi giorni e mesi si ria­prirà il con­flitto? L’impressione è che Ankara punti al caos per tor­nare al voto.

Il con­flitto si è già ria­perto. Il governo non è ancora legit­timo e non si impe­gnerà a risol­vere la que­stione in modo paci­fico. Erdo­gan è stato chiaro: Pkk e Hdp non hanno saputo sfrut­tare que­sta occa­sione, per cui non avrà pietà.

Dopo­tutto Erdo­gan ha sem­pre gover­nato con la paura e i pac­chetti di sicu­rezza. Aumenta il numero di poli­ziotti e i loro sti­pendi, applica le leggi costi­tu­zio­nali degli ultimi gol­pi­sti per sospen­dere il diritto di scio­pero, invia la gen­dar­me­ria con­tro gli ope­rai che chie­dono aumenti sala­riali. Lo ha fatto a pri­ma­vera con­tro i 100mila metal­mec­ca­nici in scio­pero e, prima, con i lavo­ra­tori del Tekel, l’ente sta­tale per tabac­chi e alcolici.

È la cul­tura della para­noia che aumenta l’attaccamento alla reli­gione e al sen­ti­mento nazio­na­li­sta: la Tur­chia è il labo­ra­to­rio del gla­dio e del nazio­na­li­smo ed Erdo­gan non è che la nuova fac­cia che sfutta poli­ti­che sto­ri­che, dai pro­getti anti-comunisti di Car­ter fino al golpe del 1980. È solo l’ultimo stru­mento di un sistema seco­lare, un sistema che fun­ziona ma a breve ter­mine. La Sto­ria dimo­stra che que­ste poli­ti­che non durano. L’Akp può reg­gere dieci, vent’anni: Gezi Park ha dimo­strato che Erdo­gan è in declino. La mia paura è che men­tre va verso la rovina, si tra­scini die­tro un paese a pezzi, pieno di con­flitti interni.

In un inter­vento a Radio Onda d’Urto, lei ha par­lato di un infil­trato nell’Akp che già dopo le ele­zioni ripor­tava dell’alta pro­ba­bi­lità di atten­tati orga­niz­zati dai ser­vizi segreti.

Si tratta di un account miste­rioso che opera da molto tempo, pro­ba­bil­mente un mem­bro dell’Akp. In pas­sato ha annun­ciato in anti­cipo diverse ope­ra­zioni dell’esercito e dei ser­vizi segreti. Pochi giorni dopo le ele­zioni del 7 giu­gno, ha scritto di un pac­chetto di Akp e ser­vizi segreti per tra­sci­nare il paese nel caos attra­verso una serie di atten­tati, così da por­tare il popolo a ele­zioni anti­ci­pate, a novem­bre, con­vin­cen­dolo che solo un governo a par­tito unico potrà salvarlo.

Quale potrebbe essere la rea­zione dei movi­menti di base tur­chi e kurdi, quelli che sce­sero in piazza per Gezi Park e più recen­te­mente per Kobane e Rojava?

Dopo Gezi la gente ha capito di poter fare tanto, il paese si è alzato in piedi e ora ci mette poco a mobi­li­tarsi. Gezi ha sol­le­vato una coscienza che dor­miva. La gente è inti­mo­rita per le morti di piazza e le aggres­sioni della poli­zia ma la strada è ormai segnata: la sini­stra si è mobi­li­tata e il suc­cesso elet­to­rale dell’Hdp ne è la prova. Non è ormai un par­tito filo-kurdo e basta, ma è il rap­pre­sen­tante par­la­men­tare della sini­stra radi­cale e dei movi­menti di base