Un terzo dei rifugiati giunti in Italia ha subito torture o violenze di I.Scaramuzzi

Iacopo Scaramuzzi
La Stampa, 25 luglio 2015

Un terzo dei rifugiati o dei richiedenti asilo presenti in Italia ha subito torture, violenze o
maltrattamenti. E’ la stima del centro Astalli, il servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia, che,
mentre in estate le cronache riportano continui sbarchi di migranti sulle coste meridionali, sottolinea
anche un altro fenomeno poco conosciuto, i problemi psichiatrici, spesso ignorati, di una consistente
quota di profughi che giungono nel nostro paese da zone di guerra o di estrema povertà in Africa o
in Medio Oriente.

«Un dato che molto spesso non si ricorda è che circa un terzo delle persone rifugiate o richiedenti
asilo sono vittime di tortura, violenze o maltrattamenti, subiti nel paese di origine o durante il
viaggio», racconta padre Camillo Ripamonti, presidente del centro Astalli. «Le vittime sono
prevalentemente donne, ma anche gli uomini non sono risparmiati. Vengono picchiati, legati, le
donne stuprate. Avviene nei paesi da cui fuggono o durante il viaggio, ad esempio nei centri di
detenzione in Libia». A questo va aggiunto il problema delle malattie psichiatriche sviluppate da
non pochi richiedenti asilo, non sempre agevoli da individuare, ma esacerbate dalla situazione di
chi, giunto in Italia, non ha più una rete di sostegno di famigliari o amici, per cui «si trova in una
situazione di vulnerabilità ancora più forte».

Nei confronti di chi è stato vittima di violenza, si legge nel report 2015 pubblicato nei giorni scorsi
dal centro Samifo, struttura per la Salute dei migranti forzati nata nel 2006 dalla collaborazione tra
l’azienda USL Roma A e il Centro Astalli, «sussiste un obbligo da parte delle istituzioni sanitarie
pubbliche nel fornire il necessario trattamento». Ancora più grave risulta la condizione dei rifugiati
con disagio mentale, conseguente a traumi subiti nel Paese d’origine o durante il viaggio, «ma
anche alle condizioni di vita in Italia (insufficienza dei posti di accoglienza, difficoltà di presa in
carico che finiscono per colpire in modo particolare le persone più vulnerabili)». In questo quadro,
«le oggettive difficoltà delle Aziende Sanitarie Locali a prendersi cura di un’utenza con
caratteristiche e bisogni così specifici e l’elevato afflusso di migranti forzati giunti negli ultimi due
anni, a causa dei cambiamenti politici e delle guerre che hanno coinvolto diversi Paesi, non hanno
potuto che aggravare una situazione già di per sé critica».

Il problema delle violenze e dei disturbi psichiatrici «è sempre stato presente», è l’analisi di padre
Ripamonti, «ma negli ultimi tempi i trafficanti sono diventati più spietati, è come se il business dei
trafficanti fosse entrato a regime». Le cronache degli ultimi mesi hanno raccontato di un flusso
crescente di migranti che attraversano il Mediterraneo, di una situazione fuori controllo in Libia, di
imbarcazioni fantasma abbandonate dai trafficanti alla deriva delle coste di approdo o lasciate
nell’ultimo tratto nelle mani di minori egiziani che, in ragione della loro età, non avrebbero
rischiato l’incriminazione una volta giunti a destinazione. In Italia giungono persone profondamente
provate, «e se non ci si fa carico di queste situazioni possono svilupparsi ripercussioni deleterie
sulla loro salute mentale».

Senza contare che – la memoria va a Adam Mada Kabobo, il ghanese che nel 2013 uccise tre passanti
a Milano con un piccone – «se lo Stato si fa carico di queste situazioni, mette in sicurezza anche
la società di accoglienza», sottolineano al centro Astalli. Che, insieme a Caritas, comunità di Sant’Egidio,
Inmp (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto
delle malattie della Povertà), Cir, Save the children ed altre organizzazioni ha maturato una ampia
esperienza in materia. Tanto che con il ministero dell’Interno e quello della Salute è ora attivo
un tavolo per arrivare a redigere delle nuove linee di orientamento per le persone vulnerabili.
La struttura dei gesuiti, che sorge a via degli Astalli, a pochi metri dalla centrale piazza Venezia,
fornisce ogni giorno circa 350 pasti, dalle 14 alle 17.30, insieme ad assistenza medica e legale ai
rifugiati e ai richiedenti asilo, oltre a gestire quattro centri di accoglienza, uno sportello per l’aiuto a
cercare lavoro ed una fondazione che si occupa, tra l’altro, di sensibilizzazione dell’opinione
pubblica italiana con iniziative come la testimonianza di un gruppo di rifugiati nelle scuole della
capitale. Afghani, curdi, iracheni, nigeriani i più presenti, mentre altre nazionalità (ad esempio
siriani) tendono a proseguire il loro viaggio verso il nord Europa. Alla mensa del centro Astalli, e a
Roma in generale, l’aumento estivo di sbarchi sulle coste meridionali non provoca un’impennata
delle presenze perché esso viene compensato da altri fenomeni come la coincidenza con il ramadan
appena concluso (circa l’ottanta per cento degli ospiti sono di religione musulmana), che prescrive
il digiuno nelle ore diurne, o la partenza di molti stranieri verso i campi del Mezzogiorno per le
raccolte stagionali.

I barconi di immigrati, però, continuano ad arrivare in Italia e l’Unione europea ha siglato un
accordo sulla ripartizione di 40mila rifugiati tra paesi membri. «Riconosciamo che l’Unione
Europea ha compiuto un primo passo per una gestione unitaria e programmata del fenomeno
migratorio», commenta padre Ripamonti. «Tuttavia ci pare si continui a ragionare su politiche di
chiusura dei confini che non consentono un cambio di prospettiva rispetto alle grandi crisi
umanitarie che interessano il mondo. Ancora una volta rileviamo che per l’Unione Europea la
sicurezza e il controllo delle proprie frontiere sono prioritari rispetto all’accoglienza e alla
protezione di chi scappa da guerre e persecuzioni». In particolare, «non si sono affrontate veramente
le problematiche geopolitiche dei paesi di origine e dei paesi di passaggio di questi flussi e non si
parla di canali umanitari e di vie di accesso legali, che a nostro avviso sono l’unico strumento
davvero efficace per fare guerra ai trafficanti», che in quel caso si troverebbero sprovvisti della
fonte del loro business, i migranti pronti a pagare un viaggio illegale per arrivare in Europa.

E se qualcuno, a Roma o a Treviso, parla di «invasione» di immigrati in Italia, padre Ripamonti ribatte:
«Basta vedere i numeri. Noi preferiamo parlare di persone, ma parliamo un po’ di numeri. Nei primi mesi del 2015
l’aumento di immigrati giunti in Italia è dell’otto per cento rispetto all’anno scorso. Nel 2014, comunque,
sono sbarcati in Italia 170mila persone, a fronte di una popolazione europea di 500 milioni di persone.
In Libano, che ha una popolazione di quattro milioni di persone, sono giunti in questi anni due milioni di siriani.
E’ come se in Italia arrivassero trenta milioni di immigrati. Allora si potrebbe parlare di invasione».
Invece Roma si trova ad accogliere numeri incommensurabilmente inferiori, «persone che sono state costrette
a lasciare la propria casa a causa di crisi umanitarie, conflitti o regimi dittatoriali. Si tratta mediamente
di persone molto giovani e tra di loro tante sono le vittime di tortura».

E ancora ieri mattina circa 40 migranti sono annegati in seguito al naufragio di un gommone davanti
alle coste libiche. Lo hanno riferito alcuni dei sopravvissuti sbarcati nel pomeriggio ad Augusta
dalla nave militare tedesca Holstein, che ha soccorso complessivamente 283 profughi.
Padre Camillo Ripamonti commenta la notizia e ribadisce: «I rifugiati non sono un’emergenza.
Sono il frutto prevedibile di guerre e crisi umanitarie che da anni affliggono molte regioni del
mondo. L’Unione Europea si impegni a lavorare sulle cause che generano le migrazioni forzate e
garantisca standard di sicurezza adeguati a chi è costretto a chiedere asilo per salvarsi la vita».