Gender, come nasce la teoria che non c’è di D.Accolla

Dario Accolla
IlFattoQuotidiano

La polemica sul “gender” animerà la cronaca politica dei prossimi mesi. Il campo di battaglia sarà la discussione sulle unioni civili. Occorre fare chiarezza e, a tal proposito, credo sia illuminante ripercorrere il saggio di Sara Garbagnoli (dottoranda presso il Centre de Sociologie Européenne – École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi), pubblicato sulla rivista About Gender e intitolato “L’ideologia del genere”: l’irresistibile ascesa di un’invenzione retorica vaticana contro la denaturalizzazione dell’ordine sessuale.

Ad un certo punto, ci rivela la studiosa, il Vaticano si accorge che esistono i Gender Studies, le cui acquisizioni sono pericolose per il mantenimento della sua autorità sulle persone. Si pubblica il Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche (2003) e compare il termine “gender”, descritto come un bel mix di marxismo, estremismo femminista e perversione gay: “et voilà la misteriosa ‘teoria’: un blob di slogan senza alcun senso teorico e di pregiudizi sessisti e omofobi che non hanno niente a che spartire con le ricerche prodotte nel campo degli studi di genere, né poggiano su alcun fondamento scientifico”. D’altronde si sa: se agiti lo spettro del comunismo, dai la colpa alle donne e ci metti il “frocio” in mezzo, il successo è garantito.

Ma perché questi studi disturbano il sonno di chi vive oltre Tevere? Facciamo un po’ di storia. Categorie sociali un tempo discriminate dal potere maschile hanno cominciato a interrogarsi sul perché “essere femmina” o “non essere eterosessuale” dovesse coincidere con una patente di inferiorità. Si sviluppano riflessioni e acquisizioni scientifiche. E si arriva, nel lungo periodo, ad un’evoluzione culturale che ha introdotto maggiore uguaglianza sociale tra generi (uomini e donne) e tra categorie sessuali (etero e persone Lgbt). Ciò ha portato a politiche su diritti civili, interruzione di gravidanza, pari opportunità sul lavoro, leggi a favore della gay community, ecc. Far capire alla società che non si è inferiori se si nasce al di fuori dall’etichetta “maschio ed eterosessuale” ha portato maggiore equità sociale.

Poteva forse un potere di tipo confessionale, che si basa sulla negazione di tutto questo, starsene buono? Ovviamente no. E ha creato così il “dispositivo retorico reazionario” del “gender”, come lo definisce Garbagnoli, per spaventare le coscienze con un fine politico ben preciso: tornare indietro rispetto al progresso raggiunto. Se la gente è meno libera, obbedisce meglio… Tali evidenze ci permettono di fare tre ordini di considerazioni.

In primis, citando ancora la studiosa, “emerge che ciò che disturba il Vaticano […] non è il genere in sé ma il potenziale critico […] di una categoria analitica che denaturalizza l’ordine tra i sessi, iscrivendolo nell’ambito dei rapporti sociali di dominio”. Ovvero: prima si credeva che l’uomo fosse naturalmente superiore alla donna, i Gender Studies hanno dimostrato l’inconsistenza di tale assunto, con rigore provato.

Secondo poi: chi si oppone al “gender” è contrario al fatto che uomini e donne siano uguali e che le persone Lgbt abbiano gli stessi diritti della maggioranza eterosessuale. Un paio di esempi, in merito. Costanza Miriano, autrice ancora à la page presso certi movimenti fondamentalisti cattolici, ha scritto il libro Sposati e sii sottomessa, rivolto appunto alle donne. La piazza del Family Day, aizzata contro il “gender” a scuola ha poi prodotto lo slogan “stop Cirinnà”, contro la legge che dovrebbe regolamentare le unioni tra persone dello stesso sesso e che non è certo disciplina di studio nelle nostre aule.

Ancora, citando Garbagnoli: il gender “esiste, ma non è ciò che dice di essere”. Le forze del regresso, tra una scampagnata a piazza San Giovanni e qualche veglia silenziosa in giro per l’Italia, ci dicono che è una tirannide che vuole obbligarci tutti a cambiar sesso e a far masturbare i bambini a lezione. La realtà delle cose è diversa: sono studi che hanno prodotto maggiore democrazia. Ciò dà molto fastidio a qualcuno. E cercherà di far pesare questa insofferenza all’uguaglianza con la prossima discussione sulle unioni civili.

Dulcis in fundo: riprendiamoci la parola “gender” nella sua unica accezione. Alla domanda “vuoi introdurre la teoria del genere a scuola?” risponderemo con: “sì, voglio un mondo in cui le persone (maschi e femmine, etero e persone Lgbt, ecc) siano educate al rispetto reciproco”.

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Finiamola con il gender

Roberto Oddo
das-kabarett.blogspot.it

In questi giorni di follia che precedono l’inizio della scuola – e appunto: ancora chissà che dobbiamo vedere! – continuiamo ad assistere a liti furiose telematiche e non sul cosiddetto gender. La voglia di dire “basta!” è lì a portata di mano, ma più ci avviamo alla stagione autunnale, più gli scontri si fanno vivaci a suon di condivisioni di post che testimoniano due vizi incancellabili del confronto mediatico: il ricorso all’argumentatio ex autctoritate, ovvero all’appoggio sull’autorevolezza riconosciuta di una figura e della sua posizione pubblica da un lato; e, dall’altro, l’incapacità sistematica di entrare nel cuore del discorso in modo onesto e razionale.

Per quanto riguarda il primo vizio, viene spesso condiviso e citato Dario Accolla, che scrive sul Fatto quotidiano. Ne condividiamo spesso i post noi persone interessate a una difesa dei diritti civili (più o meno “attivisti”) e lo criticano come portavoce di un discorso aggressivo e molto “gender” (nel senso malato della comunicazione attuale) tutti coloro che ci accusano di voler “omosessualizzare” il mondo e di minare alla base le radici della nostra società. Ora, sebbene a lui possa non importare nulla del mio sostegno, non ne ha certo bisogno, vorrei si sapesse che io sto con Dario Accolla. E se quest’affermazione, con tanto di hasttag iniziale, non è addirittura il titolo di questo post è proprio per la frequentissima incapacità di affrontare un problema.

Sono certo che Dario mi perdonerà se, in tutta franchezza, dico qua che la mia urgenza fondamentale non è difendere lui, ma il discorso che fa sul cosiddetto gender. Ora: non è accettabile, dal mio punto di vista, che abbiano posto nel dibattito mediatico persone che mentono spudoratamente alle spalle degli altri parlando di masturbazione in classe (da zero a quattro anni) e di identità di genere come una specie di capriccio momentaneo (e sempre ammesso che conoscano e usino la terminologica corretta). Ancora meno è accettabile quando poi senti dire che la questione “non è tanto questo o quell’aspetto” di un famoso messaggio che circola su Whatsapp e Facebook, quanto il senso generale: se si parla di qualcosa, il tema è quello. E se degli irresponsabili, che non hanno il coraggio di firmare un messaggio a larghissima diffusione sugli smartphone di tutta Italia, parlano di masturbazione da 0 a 4 anni la questione è anche e soprattutto la masturbazione da 0 a 4 anni e di quello si deve avere il coraggio di parlare con dati e documenti alla mano. Altrimenti il tema è quello della libertà individuale.

Chiunque segua i discorsi politici delle associazioni LGBTQI sa benissimo che nessuno si sogna di fare un discorso educativo che passi per l’autogratificazione genitale in età infantile. Ma le associazioni LGBTQI non vengono ascoltate e, con tutti i difetti che possono avere Arcigay, il MIT e tante altre loro consorelle, obiettivo comune di tutte è la libertà della persona e i diritti correlati. Perché anche l’essere biologicamente maschio, avere l’identità di uomo e essere orientato sessualmente verso le donne è una libertà, una libertà immensa e impagabile, che alle persone omo-/bi-/transessuali/transgender viene negata, millantando non ben specificati diritti individuali che già esistono. Codice civile alla mano, specifichiamo di cosa stiamo parlando e quale ne è il costo che le persone LGBTQI devono sostenere mentre chi accede ai contratti riservati agli eterosessuali non deve pagare. Per ogni diritto e per tutti.

In quanto attivisti per i diritti civili – che poi sono diritti umani – ci sono persone, tra le quali Dario Accolla, che tra pregi e difetti, tra meriti e demeriti, (se vogliamo, aggiungiamoci pure i tentativi di alcuni di scalare qualche gradino di una fantomatica gerarchia), provano a indicare una strada che metta a confronto la libertà personale con l’imposizione di un dogma sociale. Questo è il nodo del problema: da un lato una maturazione consapevole, adulta, responsabile di ogni aspetto della propria personalità, dall’altro l’imposizione conservativa di una cosiddetta natura che equivale al destino di una persona in società, ai ruoli che dovrebbe assumere e a ciò che dovrebbe essere. La differenza è tra chi vuole ascoltare e aiutare una persona per quello che è, assistendone la maturazione, dando tutti i contributi possibili perché la crescita sia sana e armoniosa, e chi invece impone identità obbligate con il pretesto che sarebbero le uniche possibili. Si tratta di un’alternativa antropologica? Sì, e la difendo con orgoglio.

Faccio mia allora l’obiezione di una mia amica e collega, eterosessuale e cattolica, il cui nome non pubblico solo perché non so quanto le faccia piacere: tutta questa polemica sul gender, oltre a danneggiare le libertà personali delle donne e delle persone LGBTQI, e in definitiva di tutti, mina alla base il rapporto di fiducia che ci deve essere tra famiglie e scuola, ovvero è una minaccia al rapporto educativo. Finché si continuerà a dire che l’educazione affettiva è competenza delle famiglie – le stesse famiglie che contano sostanzialmente sul fai-da-te degli ormoni e del gruppo dei pari, o che ricorrono a un “catechismo” più o meno laico di precetti non negoziabili – ci si troverà di fronte a preadolescenti o adolescenti che non vengono guidati, ma ammaestrati a essere copie. La scuola non vuole sovrapporsi ai dogmi o ai valori delle famiglie, ma affiancarle tutte per consentire e favorire una crescita matura e responsabile dei nostri giovani.