Anche io ho detto “lo stesso sì”. E vi racconto perché di Fiorelle

Florelle @citoyenflorelle
www.pasionaria.it

Faccio un pubblico annuncio: a giugno di quest’anno ho detto il mio (civilissimo) stesso sì. Mi sono sposata all’estero. Mi sono sposata in un paese che non è il mio perché il mio paese non permette a me e alla mia compagna di sposarci, perché ci considera cittadine di serie B. Abbiamo doveri come tutti, ma non gli stessi diritti. Mi sono sposata e non per questo mi sento meno femminista o meno marxista.

Questi i fatti. Negli ultimi mesi si fa un gran parlare di ddl Cirinnà e unioni civili (una misura che, se mai sarà davvero approvata, sarà comunque insufficiente e discriminatoria). Le associazioni lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate) chiedono, invece, il matrimonio ugualitario. La campagna “Lo stesso sì” ha colorato i pride di tutta l’Italia.

Insieme al dibattito, si levano le voci dei contrari: da destra, per difendere la “famiglia tradizionale”, e da sinistra per difendere non ho ben capito cosa. Forse perché l’omosessualità fa ancora paura anche a tanti fra compagne e compagni. Ma non solo.

Le critiche dei cattolici

Il problema di certa destra e di tutti quei cattolici spaventati dalla prospettiva anche solo delle unioni civili, è di confondere di proposito (o di non aver capito ancora: forse c’è qualcuno davvero rimasto a una mentalità pre-illuministica) il matrimonio come sacramento cattolico e il matrimonio come istituzione laica.

Il matrimonio civile (e dunque laico) è semplicemente un contratto tra due persone, di fronte allo stato e alla società, in cui ci si impegna in qualcosa e dall’altra parte si riceve qualcosa. Non sto a farvi l’elenco per intero di cosa sia questo “qualcosa”, ma giusto cosette di poco conto come il diritto di assistere la propria compagna o il proprio compagno in ospedale, la successione ereditaria, la pensione di reversibilità.

Questo non nega che ci sia anche una componente simbolica, emotiva, affettiva che è alla base di questa scelta (almeno nella maggioranza dei casi), ma nulla c’entra con il sacramento del matrimonio nella religione cattolica. Breaking news: a noi omosessuali non interessa sindacare su quello che fa la Chiesa. Al massimo saranno gli omosessuali cattolici a dar battaglia nella loro comunità religiosa.

Le critiche della destra

Il matrimonio ugualitario, secondo loro, distruggerebbe la famiglia naturale (o tradizionale). Infatti è noto che nei paesi dove vige il matrimonio ugualitario o le unioni civili tra persone dello stesso sesso la famiglia non esista più. Niente famiglie tradizionali in Francia, Inghilterra, Spagna, Germania… mentre in Italia non esistono famiglie monoparentali, famiglie allargate, nessuno divorzia, nessuno ha fratellastri e sorellastre… La famiglia naturale è come l’araba fenice (che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa): è un’astrazione.

“Famiglia” è un concetto che cambia nelle società e nei tempi (non a caso deriva dal latino familia che indicava tutt’altra cosa). La famiglia “naturale” cioè mononucleare (madre, padre e prole) che la destra difende, è un’invenzione relativamente recente della società occidentale. Non naturale e poco tradizionale. Cambierà? Le strutture sociali cambiano comunque al cambiare della società, che lo si voglia o no. La nostra società di fatto sta già ridefinendo il concetto (o direste che chi non si sposa non è famiglia? E i genitori single? E i divorziati e risposati?), nessuna opposizione potrà comunque arrestare un processo già in atto.

Le critiche della sinistra

Ma veniamo ora alle critiche da sinistra, quelle che personalmente mi fanno più arrabbiare e che sento spesso anche da molte femministe: il matrimonio è un’istituzione borghese, è conservatrice, dunque il male.

Benissimo. Non so se vi siate accorti che viviamo in uno stato borghese e che molti dei diritti che avete sono diritti borghesi (compreso quello di dire e scrivere cosa vi pare). Esattamente, allargare un diritto a una minoranza che attualmente ne è esclusa cosa cambia? È molto facile fare i rivoluzionari con la vita delle altre e degli altri.

In un mondo ideale, sono d’accordo, i legami d’affetto non dovrebbero essere regolati dallo stato. Ma non viviamo in un mondo ideale e la rivoluzione non arriverà domani. Allora intanto facciamo in modo che lo stato borghese diventi più equo e giusto per tutti.

A chi dice che il matrimonio è un privilegio di classe, rispondo volentieri che no, semmai nello stato borghese accedere al matrimonio dà accesso a forme di tutela personale (i diritti che dal matrimonio derivano); se mai in Italia è un privilegio di una maggioranza su una minoranza. Chi dice, banalmente, che si sposa solo chi può permetterselo, confonde volutamente il piano legale con il piano simbolico (fare la festa, celebrare il rito in un luogo diverso da un ufficio comunale, gli abiti costosi, i regali, e tutto il resto, fanno parte della dimensione simbolica, che è opzionale).

Date alle persone il diritto di scegliere. In cosa negare la libertà personale a un gruppo già di per sé oppresso vi rende rivoluzionari? Senza contare che essere dalla stessa parte dei fascisti vi dovrebbe far sorgere qualche dubbio.

Le critiche femministe

Il matrimonio è un’istituzione patriarcale, dunque sposarsi non sarebbe femminista.

Le istituzioni cambiano, cambiano più in fretta se siamo noi a conferirgli un nuovo significato. Un rito civile può essere, fin dalle parole, estremamente paritario (il nostro, quello mio e di mia moglie, lo è stato). Non è neppure un obbligo cambiare cognome (ognuna di noi ha mantenuto il suo). Spiegatemi come il matrimonio fra due donne (o anche fra due uomini, fa lo stesso) propaghi uno stereotipo patriarcale.

In questa affermazione ci trovo molto sessismo e molta incomprensione: in una coppia omosessuale non ci sono ruoli di genere stereotipati. Non c’è una sottomissione, anche solo simbolica, dell’uno all’altro, ma estrema reciprocità. Le parole hanno un significato storico, certamente, ma i riti della dote, del chiedere formalmente la mano alla famiglia, del passare dalla casa del padre a quella del marito mal si applicano al matrimonio ugualitario (e, spesso, anche a un matrimonio civile di una coppia eterosessuale).

Invece di liquidare la possibilità dell’esercizio di un diritto (arrogandosi di scegliere anche per chi quel diritto vorrebbe esercitarlo), adoperiamoci per cambiare la simbologia di un’istituzione.

Le critiche della comunità lgbti

Infine vorrei rispondere a chi, all’interno della comunità lgbti, dice “no” al matrimonio ugualitario perché eliminerebbe la nostra diversità.

In che modo? Non perché mi sono sposata, mi sento meno lesbica. Non perché mi sono sposata, sono automaticamente più accettata dalla società (che, per altro, non sarebbe certo negativo). Soprattutto, essermi sposata non cambia nulla del mio vissuto, del modo in cui il mio orientamento ha influenzato e influenzerà la mia prospettiva di vita. Perché questo cambi, dovrebbe cambiare la società intera.

Semplicemente, dietro queste scuse ci vedo o del masochismo (vi piace essere cittadine e cittadini di serie B agli occhi dello Stato?) o dell’individualismo sfrenato (il ragionamento sotteso è più o meno questo: poiché io non mi voglio sposare, allora il matrimonio ugualitario non è una battaglia che il movimento lgbti dovrebbe combattere).

È ovvio, altrettanto, che il matrimonio ugualitario non può e non deve diventare l’unica battaglia della comunità lgbti e il suo unico scopo, ma questa mi sembra un’osservazione banale e credo che chi sostiene che il matrimonio ugualitario sia la tomba del movimento lgbti, nasconda malafede o benaltrismo (su quest’ultimo punto mi riservo di argomentare un’altra volta più specificamente).

La battaglia per il matrimonio ugualitario, dunque, è una battaglia di sinistra (perché si tratta di un principio di uguaglianza) e deve essere anche una battaglia femminista (sempre perché si tratta di uguaglianza, ma anche di dare nuovo senso a un’istituzione che per secoli è stata interpretata in modo oppressivo nei confronti delle donne).